Bollettino migranti

Un video mostra i pestaggi all’interno del Cie di Gradisca d’Isonzo

di Gabriele Del Grande
da www.peacereporter.net

Finalmente cattivi. Qualcuno deve aver preso sul serio le parole del ministro Maroni. E le ha applicate alla lettera. Almeno a giudicare dal numero di ematomi che si possono contare sui corpi degli immigrati detenuti nel centro di identificazione e espulsione (Cie) di Gradisca d’Isonzo.

Siamo in provincia di Gorizia, a due passi dalla frontiera slovena. I fatti risalgono a lunedì scorso, 21 settembre. Ma le prove sono arrivate soltanto ieri. Si tratta di un video girato di nascosto all’interno del Cie e diffuso su Youtube. È un montaggio di riprese fatte con un videofonino. Inizia con un primo piano sul volto tumefatto di un detenuto tunisino. “Guarda il polizia” – ripete indicando l’ematoma sull’occhio. I pantaloni sono ancora imbrattati di sangue. E le gambe segnate dagli ematomi delle manganellate e in parte bendate. Il video prosegue mostrando le gabbie dove gli immigrati sono rinchiusi in attesa di essere espulsi, da ormai più di tre mesi. Ma il pezzo forte arriva alla fine. Si vede un uomo sdraiato a terra, esanime, tiene una mano sull’inguine, ha il volto sanguinante, il sangue ha macchiato anche il pavimento. Nel cortile una squadra di poliziotti e militari in tenuta antisommossa prepara un’altra carica. Dalle camerate si alzano cori di protesta. Ma quando i militari entrano, i detenuti non sanno come difendersi e scappano gridando “No, no!” Ma cosa è successo davvero quel giorno?

È un montaggio di riprese fatte con un videofonino. Inizia con un primo piano sul volto tumefatto di un detenuto tunisino. “Guarda il polizia” – ripete indicando l’ematoma sull’occhio. I pantaloni sono ancora imbrattati di sangue. E le gambe segnate dagli ematomi delle manganellate e in parte bendate. Il video prosegue mostrando le gabbie dove gli immigrati sono rinchiusi in attesa di essere espulsi, da ormai più di tre mesi. Ma il pezzo forte arriva alla fine. Si vede un uomo sdraiato a terra, esanime, tiene una mano sull’inguine, ha il volto sanguinante, il sangue ha macchiato anche il pavimento. Nel cortile una squadra di poliziotti e militari in tenuta antisommossa prepara un’altra carica. Dalle camerate si alzano cori di protesta. Ma quando i militari entrano, i detenuti non sanno come difendersi e scappano gridando “No, no!” Ma cosa è successo davvero quel giorno?

Lo abbiamo chiesto alla Prefettura di Gorizia. “Al Cie di Gradisca non c’è stato nessun pestaggio – dice il capo di Gabinetto Massimo Mauro -, anzi l’unico a essere stato ricoverato è stato un operatore di polizia che si è preso un calcio in una gamba”. Ma allora qualche tafferuglio c’è stato! La versione della Prefettura parla di un tentativo di fuga di una trentina dei reclusi, la notte del 20 settembre, sventato dal personale di vigilanza senza particolari momenti di tensione. I problemi – continua Mauro – sarebbero arrivati intorno alle 13.00, quando un gruppo di trattenuti avrebbe rifiutato di rientrare nella camerata dopo il turno della mensa, “inscenando una protesta e lanciando bottiglie di plastica vuote contro il personale di polizia” che avrebbe quindi provveduto a farli rientrare con la forza. Le immagini diffuse su Youtube, Mauro non le ritiene attendibili. Chi dice che sono state a Gradisca? E chi dice che non sia materiale vecchio riciclato a uso e consumo di qualche associazione antirazzista?

Abbiamo fatto le stesse domane a un detenuto di Gradisca. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente. Per motivi di sicurezza non sveleremo la sua identità. Questa persona, non soltanto ci ha confermato che il video era stato girato in quei giorni. Ma ci ha anche descritto nel dettaglio il tipo di ferite che si vedono nelle riprese. La sua versione dei fatti coincide con quella della Prefettura per quanto riguarda il fallito tentativo di evasione la notte e il rientro pacifico nelle camerate all’alba. Il resto però è tutta un’altra storia. Alle 13.00 sarebbe iniziata una irrispettosa perquisizione. “Hanno rotto i carica batterie dei telefoni, a alcuni hanno tagliato i vestiti, e in una camerata hanno strappato un Corano”. Un gesto quest’ultimo che avrebbe provocato l’ira dei detenuti, che hanno cominciato a inveire contro la polizia. “In una camerata hanno rotto le finestre e cominciato a lanciare cose”. Finché polizia e militari hanno deciso la carica. Nelle camerate numero tre, due e sei. Alla fine della rivolta, secondo il nostro testimone, 12 persone sarebbero finite in ospedale. E in ospedale tornerà il detenuto tunisino con l’occhio tumefatto. Lunedì ha un appuntamento per un’operazione, all’ospedale di Udine. Chi ha ragione? La Prefettura? I detenuti? È presto per dirlo. Anche perché i detenuti vittime delle violenze si sono detti pronti a sporgere denuncia. E in quel caso sarebbe un giudice ad avere l’ultima parola.
Intanto però le proteste si sono diffuse a macchia d’olio nei Cie di tutta Italia. Quella del 2009 è stata un’estate di rivolte, incendi, tentate fughe, scioperi della fame e in alcuni casi pestaggi e arresti. Tutto ha avuto inizio l’otto agosto. Il giorno in cui è entrato in vigore il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, la legge 94/09, che ha portato da due a sei mesi il limite del trattenimento nei Cie ed è stata applicata in modo retroattivo anche a chi era già trattenuto nei centri.

Il giorno stesso in due sezioni del centro di identificazione e espulsione di via Corelli a Milano inizia uno sciopero della fame e della sete. Il giorno dopo a Gorizia metà degli oltre 200 trattenuti riescono a salire sui tetti del Cie inscenando una protesta contro il prolungamento della loro detenzione e provocando ingenti danni alle suppellettili e alla struttura. Una decina di persone tentano la fuga ma sono bloccati dalla polizia. Dal giorno dopo le sezioni del centro rimangono chiuse per isolare i trattenuti. Trenta rivoltosi sono trasferiti a Milano. Il 13 agosto è la volta di Torino, dove per due giorni consecutivi due sezioni del cie rifiutano il cibo e protestano, fino a arrivare a uno scontro con gli agenti di polizia il 14 agosto. Lo stesso giorno a Milano si verificano degli scontri tra la polizia e i trattenuti che appiccano il fuoco in una sezione del centro. Alla fine vengono arrestate 14 persone (9 uomini e 5 donne nigeriane) e rinviate a giudizio per direttissima con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamenti.

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«Gli italiani» clandestini

di Stefano Galieni
da www.carta.org

Il prolungamento dei termini di trattenimento nei centri – fino a sei mesi – sta portando a rivolte, scioperi della fame, atti di autolesionismo, ingestibilità nei Cie. A Ponte Galeria, Roma, la situazione è esplosiva già da mesi: la convenzione per la gestione del più popolato centro italiano tarda ad essere rinnovata e si avrà forse un nuovo ente gestore. Gli operatori della Croce rossa, che ancora gestisce il centro, sono pochi, insufficienti, mentre cresce il disagio fra i trattenuti.

Li chiamano «gli italiani» perché gran parte di loro vive in Italia da anni, anche più di venti. Ex detenuti, ma anche lavoratori, persone entrate con il precedente decreto flussi, persino una sedicenne – i minori non potrebbero essere trattenuti – che però non ha documenti che comprovano la sua età. Dopo due morti annunciate e vari tentativi di suicidio, nella sezione maschile è iniziato il 28 uno sciopero della fame ad oltranza.

I 178 trattenuti oltre a rifiutare il cibo, già scadente, preferiscono dormire all’aperto: in molti sono stati presi quando i termini di trattenimento erano di 60 giorni. Ma questo è solo uno degli effetti del pacchetto sicurezza. Altri già colpiscono la vita dei migranti, a partire dall’introduzione del reato di clandestinità.

L’altra norma varata dal governo, la sanatoria per badanti e colf, si è rivelata un vero e pr
oprio flop. La richiesta di un reddito di almeno 20 mila euro per chi assume, i timori e gli egoismi dei datori di lavoro, la caoticità e la scarsa informazione fornita hanno fatto sì che, in provincia di Roma, per esempio, a un giorno dalla scadenza dei termini erano pervenute poco più di 33 mila domande, un terzo di quelle previste.

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Perché la sanatoria è fallita

di Sarah Di Nella
da www.carta.org

«Un flop». È l’espressione che più ricorre sulla sanatoria per colf e badanti iniziata il primo settembre e che andrà avanti fino al 30. Il 27 agosto, in un’intervista, il capo del Dipartimento per l’immigrazione, Mario Morcone, spiegava al Giornale che «in tutto arriveranno almeno 500 mila domande, che potrebbero lievitare a 750 mila». In Italia non esistono dati sul numero di persone senza documenti ma si stima che siano circa un milione. Al 29 settembre però, secondo i dati del ministero dell’interno, le domande erano solo 257955, presentate per lo più da ucraini, moldavi, marocchini e bengalesi. Eppure, secondo il Censis una famiglia su dieci ricorre ai servizi di colf e badanti: in tutto circa un milione e mezzo, il 71,6 per cento di origine straniera.

La sanatoria si sta rivelando un’occasione persa. C’è chi, come la Cgil di Firenze, denuncia il costo troppo alto: 500 euro per la richiesta e alcune centinaia di euro di contributi in seguito, che spesso è lo stesso lavoratore a pagare. E anche il fatto che il datore di lavoro debba disporre di un reddito annuo lordo di almeno 20 mila euro o 25 mila euro se si tratta di una coppia, limita le possibilità. Il governo starebbe pensando di permettere ai datori di lavoro di garantire le 20 ore di retribuzione e contributi settimanali, modificando il decreto, che prevede invece che i costi siano sostenuti da un’unica persona. Ma per molti non basta a spiegare la sanatoria vada così a rilento. «Ci sono aspetti tecnici – spiega l’avvocato Salvatore Fachille, dell’associazione romana Impronte – che hanno scoraggiato i datori di lavoro, a partire dalla poca chiarezza sulle responsabilità penale. Le infrazioni stabilite dalla legge si estinguono quando la procedura va a buon fine. Ma non quando la richiesta viene respinta. Ecco perché Morcone ha da subito voluto rassicurare i datori di lavoro: ‘La banca dati dell’immigrazione non è quella della polizia criminale. Però i dati degli stranieri potrebbero servire nel caso in cui commettessero reati’».

Nonostante queste rassicurazioni preventive e una procedura semplice, sono in molti ad aver preferito licenziare il proprio dipendente invece di regolarizzarlo. E su internet aumentano gli annunci nei quali migranti offrono soldi in cambio di una finta assunzione. Tra chi fa richiesta, molti fanno un altro lavoro. Cosa che il governo sapeva benissimo. «La Lega ha voluto fare una sanatoria solo per posizioni professionali di grande subalternità. Il simbolismo è demenziale ed elementare: se vuoi venire in Italia devi fare il servo», conclude Fachille.

Il fallimento della sanatoria è anche un danno economico notevole: sta infatti provocando un mancato incasso per il governo che ha fatto dei respingimenti e del reato di «clandestinità» il suo marchio. E che pensava di poter contare su almeno 300 milioni, se non 450, grazie al forfait di 500 euro, che non viene rimborsato nel caso in cui la domanda viene respinta. Se si sommano anche i contributi versati per il primo anno di lavoro dei migranti [circa 390 euro], la cifra diventerebbe 1,2 o 1,6 miliardi di euro. A quanto pare, però, il business della regolarizzazione questa volta non sarà così redditizio.