Il mostro e la bella

di Tiziana Plebani ⋅
da www.womenews.net

Nel dibattito che sta accompagnando le vicende del premier italiano, molti e molte hanno sottolineato l’intreccio tra sesso e potere, per lo più associando i due termini: il sesso sarebbe quello delle donne, il potere quello degli uomini. Siamo proprio sicure che la questione stia in questi termini?

Mona nel Veneto e a Venezia si riferisce alla nota parte del corpo femminile; per estensione è usata anche per qualificare una bella donna (che mona, che toco de mona ecc.), prendendo una parte per il tutto (figura retorica a nome sineddoche), cosa che non succede invece per il parallelo termine maschile: oseo infatti è solo dispregiativo e ci riporta al disgusto che la tradizione giudaico-cristiana ha associato alla sessualità e alle parti del corpo che più la rappresentano.

Non propongo a caso queste osservazioni linguistiche, piuttosto pertinenti invece di questi tempi : sono stata sollecitata a soffermarvisi da uno scambio a cui ho assistito l’altra mattina, transitando, come di consueto, nel percorso per giungere al lavoro, davanti alla sede del Servizio Tossicodipendenze.

Abitualmente un gruppetto di persone, per lo più uomini non più giovanissimi, vi staziona attendendone l’apertura. Afferro sempre brandelli di discorso, pezzi di dialogo, anche perché il tono della voce non è propriamente confidenziale. L’altra mattina uno degli assidui frequentatori spiegava all’amico che aveva visto un conoscente a la Bienal (Festival del Cinema della Biennale), accompagnato da una mona imperial. Tale definizione, ribadita più volte, era ulteriormente enfatizzata dalla descrizione delle fattezze dell’uomo in questione, che non giustificavano la presenza al suo fianco di una bellezza di tale portata: bruto come che el xe, la paga de certo.

Siamo alle storie di oggi, direte voi.
No. Riflettiamo come il linguaggio comune e in particolare quello di matrice popolare si distanzi nettamente dal vocabolario dei media e della politica. Escort è un termine inglese che si presenta freddo e neutro, associato a un’emissione di un servizio lavorativo. Ma soprattutto nasconde totalmente ciò che invece lo scambio tra i due tossici rivela: la potenza della bellezza femminile implicata in questa dimensione, che invece mona imperial definisce ed esalta con precisione di lingua e contenuto.

La bellezza delle donne ha sempre avuto nella storia uno statuto di grandezza: era associata al sublime del creato, era testimonial della magnificenza del mondo e del divino, sollecitava il movimento dello stupore, evocava la forza generativa femminile. Nel passato, alle feste dei regnanti, come si legge nelle cronache, erano invitate le donne più belle per illuminare il convito. La letteratura del passato, dalla poesia alla fiaba, ha reso omaggio a questa risorsa di civiltà e possibilità di riscatto. Il mondo, per continuare ad ammaliarci, del resto, ha bisogno della bellezza delle donne, come ha necessità dell’audacia dei giovani e dell’esperienza dei vecchi.

Nella sua essenza, la bellezza ha il potere di fare agire, di muovere e commuovere. Insomma, ha in sé potenza.
Ciò non toglie che le donne l’abbiano messa a frutto, anche facendone mestiere. Gli uomini peraltro sono piuttosto disarmati, da questo punto di vista. Eppure c’è mestiere e mestiere, ci dice la storia. Attraverso una sapiente mistura di bellezza, grazia e strumenti culturali, alcune sono riuscite nel Cinquecento a ottenere l’appellativo di honesta cortigiana, che ai nostri giorni pare solo un ossimoro. Ma non è così, e basta rivolgerci al campo dell’arte per avere una prova della potenza della bellezza e della sua regalità, anche di quella profana. Mona imperial ci riporta, in fondo, a tutto questo e forse quegli utenti del Servizio Tossicodipendenze si sono dimostrati più coscienti o veritieri di altri in ben diverse posizioni.

Nell’interessante dibattito che sta accompagnando le note vicende del premier italiano, molti e molte hanno sottolineato l’intreccio tra sesso e potere, per lo più associando i due termini: il sesso sarebbe quello delle donne, il potere quello degli uomini.

Siamo proprio sicuri che la questione stia in questi termini? È forse potere dimostrare così ossessivamente di avere bisogno di prestazioni sessuali? Non c’è palese invece una continua richiesta, perfino umiliante, di rassicurazione e di presa in carico del corpo? Dove starebbe il potere? Dove il manto, dove lo scettro? Il re da tempo è nudo e indubbiamente malato, come ha detto Veronica Lario. Questa impellente necessità di rimanere giovane e di nutrirsi della giovinezza di corpi interscambiabili, ci parla della sua paura della fine e dell’assenza della coscienza del limite, del resto ben rintracciabile nella dimensione politica e pubblica.

Queste non sono le insegne del potere.
A prima vista il potere parrebbe stare dall’altra parte, nella mani di queste giovani donne belle che soddisfano un bisogno quasi come delle infermiere ma senza eccessiva pietas: esibiscono, svelano e ricattano. Anche questo è un potere senza potenza e la loro bellezza non redime, non riscatta, né muove verso altro. Non sono mone imperiali, no davvero.

Non so neppure se si possa chiamare sesso quello che appare in questa vicenda. Sesso è identità, godimento, estasi che si raggiunge nell’unità corporea, comunicazione per eccellenza e non meccanica di un corpo, reso stantuffo dalla chimica. La vicenda svela il peggio che la sessualità maschile e quella femminile possono mettere in campo, nell’autismo più totale, nei corpi scambiabili e infinitamente giovani, sgradevolmente funzionanti a dovere o quasi.