Potenza e provocazione libica

di Antonio Marafioti
da www.peacereporter.net

“Ci siamo convinti che Gheddafi abbia consolidato un atteggiamento più responsabile nella sua politica. Le prove che abbiamo dicono che direttamente o indirettamente la Libia da tempo non è più coinvolta in atti di terrorismo”. Chissà se Lamberto Dini, ex ministro degli Affari Esteri, confermerebbe oggi queste dichiarazioni rilasciate a La Repubblica il 9 aprile del 1998 all’indomani della “pace” diplomatica fra Roma e Tripoli. Già, perchè dagli undici anni intercorsi tra le parole di Dini a oggi, Muhammar Gheddafi, sovrano assoluto della Libia da quaranta anni, non è stato proprio quello che può definirsi un campione di lungimiranza diplomatica.

L’ultimo exploit in materia di relazioni internazionali il leader libico l’ha offerto tre giorni fa nel corso del suo intervento di presentazione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di cui la Libia è per quest’anno presidente di turno. In un discorso fiume durato quasi due ore, contro i quindici minuti previsti, Gheddafi ha lanciato bordate sul funzionamento del Consiglio di Sicurezza che dovrebbe essere integrato, secondo lui, da una rappresentanza dell’Unione Africana; ha suggerito che “tutte le potenze coloniali dovrebbero comportarsi nello stesso modo” dell’Italia che ha raggiunto nei mesi scorsi un accordo di risarcimento per le sofferenze arrecate dal fascismo allo stato africano; ha, infine, difeso strenuamente presunti diritti autonomisti talebani.

“Se vogliono fare uno Stato religioso come il Vaticano – ha tuonato il colonnello – va bene. Il Vaticano costituisce un pericolo per noi? No. E se i talebani vogliono creare un emirato islamico sono nemici?”. Sarebbe già sufficiente questo a trasformare in fantapolitiche le dichiarazioni del 1998 di Dini sulla responsabilità politica e l’estraneità alla causa terroristica della Libia. Ma da allora sono passati ben undici anni e il numero di boutade dello statista sono così tante da poterci scrivere un libro.

All’inizio di questo mese, subito dopo l’incontro con il premier italiano Silvio Berlusconi in visita a Tripoli per il quarantennale dell’inizio della sua dittatura, Gheddafi aveva preannunciato al mondo quale sarebbe stato il tono della sua presidenza Onu inoltrando un’istanza ufficiale per chiedere lo smembramento della Svizzera in tre zone che, secondo i suoi progetti, sarebbero dovute finire sotto il protettorato di Italia, Germania e Francia. Un piano, questo, che ha ricordato in tutto e per tutto la spartizione della Germania predisposta a Jalta durante la Conferenza post-bellica del 1945. Il colonnello sembra sia stato mosso da un sentimento paterno revanchismo nei confronti della federazione elvetica che pochi mesi prima aveva arrestato il figlio Hannibal e la moglie dopo una denunzia per maltrattamenti.

Perchè l’irriverenza diplomatica di un capo di Stato che spesso sembrano irreali farneticazioni di un vecchio politico sulla via del tramonto non viene condannata dalla comunità internazionale? Forse una serie di motivazioni politiche e finanziarie che fanno della Libia una pedina importante nello scacchiere africano e mondiale, potranno far luce sulle ragioni dell’appeasement mondiale nei confronti dello statista sessantasettenne.

In primo luogo la Libia rappresenta uno dei maggiori esportatori di petrolio a livello mondiale. Se si pensa al caso italiano ci si può rendere conto del perchè lunedì scorso il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini non abbia abbandonato l’aula – anzi si dice abbia battuto le mani – quando il colonnello cercava, invano, di strappare la carta delle Nazioni Unite. La Libia, che attualmente possiede 6,5 miliardi di tonnellate di riserve in petrolio e gas, riesce a produrne 1,9 milioni di barili al giorno, ovvero centomila tonnellate l’anno. L’Eni, di cui lo Stato italiano è maggior azionista, riesce a ricavare dagli stabilimenti in Libia circa sei milioni di tonnellate di petrolio all’anno, vale a dire un decimo della sua produzione mondiale.

Con l’accordo firmato nel 2008 tra Italia e Libia le concessioni dell’Eni nello Stato nordafricano verranno prorogate di altri 25 anni. Inoltre l’Italia investirà 28 miliardi di dollari per dieci anni per esplorare un’area di oltre trentaseimila metri quadrati dove sorgeranno nuovi giacimenti di petrolio e gas. L’Eni controllerà il 50 percento delle quote. Il cerchio sulla politica di appeasement, quanto meno italiano, si chiude se ai numeri dell’energia si aggiungono i 250 milioni di euro con i quali il governo libico ha salvato a febbraio scorso l’Unicredit di Alessandro Profumo e Dieter Rampl, lasciata scoperta di cinquecento milioni dopo la marcia indietro della fondazione Cariverona di Paolo Biasi.

Infine bisogna considerare quella che il prestigioso The Guardian ha definito, lo scorso 6 settembre, la “Gheddafi-Berlusconi connection” per la quale i due statisti sarebbero connessi “da qualcosa di più della convenienza politica”. Il quotidiano londinese ha fatto riferimento al 10 percento di quote di partecipazione libiche di Lafitrade, controllata dalla Lafico – società della famiglia Gheddafi – nella Quinta Comunication. Quest’ultima è una compagnia di produzione cinematografica fondata da Tarak Men Ammar, storico socio di Berlusconi. La Quinta e Mediaset posseggono il 25 percento di una nuova tv satellitare araba, la Nessma Tv, che opera anche in Libia e che, pertanto, potrebbe offrire al colonnello – che possiede il 10 percento di Quinta – un valido strumento mediatico per influenzare l’opinione pubblica del suo paese.

Oltre alla potenza finanziaria Gheddafi può vantare dal 13 febbraio anche quella politica in quanto presidente dell’Unione Africana, organizzazione fondata sul ripudio del genocidio, dei crimini di guerra e quelli contro l’umanità. Dall’alto di quest’altro pulpito offertorgli dai capi della maggior parte dei paesi del continente nero, il leader libico ha pronunciato proprio durante il suo discorso d’insediamento, tenuto ad Addis Abeba, un’arringa difensiva nei confronti della pirateria somala definita “un atto di autodifesa” contro i torti coloniali e l’avidita delle nazioni occidentali.

Proprio contro la più potente di queste, gli Stati Uniti, la Libia ha adottato una linea provocatoria lo scorso 20 agosto in seguito alla liberazione di Abdel Basset al-Megrahi, l’attentatore di Lockerbie condannato all’ergastolo nel 2001 per la strage del 1988 nella quale morirono 270 persone. Dopo la scarcerazione dell’uomo, malato terminale di cancro, da parte del governo scozzese, il leader libico ha inviato un aereo personale a prelevarlo per accoglierlo in patria con gli onori di stato.

E che dire del primo consiglio diplomatico dispensato al neopresidente degli Stati Uniti Barack Obama subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca? Nel gennaio scorso, l’ex acerrimo rivale di Ronald Regan, sostenne che “Se il nuovo presidente degli Stati Uniti vuole davvero essere quell’uomo del dialogo che dice dovrebbe concedere una chance anche a Bin Laden. Egli dovrebbe essere considerato come una persona a cui viene data una chance per cambiare”.

Nella stessa occasione, in video collegamento con la Georgetown University di Washington, Gheddafi rispolverò la vecchia soluzione per dirimere la controversia fra Israele e Palestina. “Si potrebbe offrire loro – argomentò – la possibilità di vivere in un solo Stato e chiamarlo ‘Isratina’. Se poi agli israeliani non andasse bene la soluzione di un unico Stato potrebbero sempre trasferirsi alle Hawai, in Alaska o in qualche isola del Pacifico. In un luogo isolato potrebbero vivere in pace “.
Si spera solo a questo punto che gli interessi degli States nei confronti della Libia siano meno importanti di quelli italiani. Altrimenti il dialogo ripreso a Washington tra Netanyau e Abbas sotto gli auspici di Obama potrebbero far suggerire a quest’ultimo di bloccare gli insediamenti a Gaza per spostarli ad Honolulu.