La guerra più lunga e l’indecisione di Obama

di Stefano Rizzo
da www.aprielonline.info

Oggi, 7 ottobre, sono otto anni che è iniziata la guerra in Afghanistan:la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti, dal momento chequella del Vietnam iniziò ufficialmente con “l’incidente del golfo diTonkino” del 1965 e si concluse con gli accordi di pace del 1973 (anchese poi si trascinò per altri due anni).

All’inizio in Afghanistan le cose andarono bene per gli americani.Pochi massicci bombardamenti dall’alto e il governo talebano lasciò ilcampo, principalmente alle truppe dei “signori della guerra” checombattevano per conto degli americani e che da loro erano stati armatidurante la guerra contro i sovietici. Alcune migliaia di soldati degliStati Uniti continuarono a cercare Osama Bin Laden e il capo delgoverno talebano, il Mullah Omar, nelle montagne di Tora Bora perqualche mese tra la fine del 2001 e la primavera del 2002, ma poirinunciarono.

Da allora le cose sono andate di male in peggio.Nonostante la tanto strombazzata democratizzazione del paese, con leelezioni nel 2004 di Hamid Karzai, l’Afghanistan è rimasto un paeseconfessionale, dove alle donne e alle ragazze non viene riconosciutaalcuna libertà, un paese corrotto e basato sull’economia dell’oppio,dove l’amministrazione è a pezzi e “il governo della legge” è unmiraggio.

Intanto erano arrivate le altre truppe europee, dellaNato e di altri paesi (40 in tutto) per una missione di peace-keepingperché, così voleva la vulgata, il paese era ormai pacificato e sitrattava soltanto di aiutare e proteggere l’opera di ricostruzione.

Male cose non stavano affatto così: i 50.000 circa soldati dell’ISAF(Nato e altri paesi) si trovarono fin dall’inizio a fronteggiare nellezone da loro controllate del Nordest, del Nordovest e del centro(Kabul) una crescente serie di atti di ostilità: attentati, bombe sottole strade, scontri a fuoco. Intanto gli americani, insieme aicontingenti di Regno Unito Canada e Olanda, si scontravano incombattimenti più o meno regolari nel Sud e nel Sudest contro italebani, che anno dopo anno riconquistavano sempre più terrenoarrivando a controllare di nuovo nel giro di pochi anni larghe partidel territorio afgano.

George Bush e i suoi consiglieri erano”distratti” dalla guerra irachena, che era il loro principaleobbiettivo; dopotutto, finché il numero di caduti in Afghanistanrimaneva basso (in proporzione all’Iraq) si poteva considerarla unaguerra a bassa intensità e anche a bassa priorità.

Poi, nel2008, l’ultimo anno dell’amministrazione Bush, le cose cambiarono: gliattacchi talebani diventarono sempre più efficaci e micidiali incorrispondenza con la perdita di autorevolezza del governo di Karzai.Ritornarono anche gli attacchi suicidi: nessuna zona del paese potevaormai più considerarsi sicura e ci si accorse che così non si potevaandare più avanti.

Servivano più truppe che combattessero, cheoccupassero il territorio e, una volta conquistatolo, lo tenessero. Mada questo orecchio gli europei (Francia, Italia, Germania, Spagna) nonci sentivano. Loro, dicevano, avevano mandato le truppe per unaoperazione di peace-keeping, non per fare la guerra; nelle riunioniufficiali e nelle dichiarazioni pubbliche i leader europei confermavano”piena fedeltà alla missione”, ma quanto a mandare altre truppe o aspedire quelle che c’erano nelle zone di combattimento per dare lacaccia ai talebani, non se ne parlava neppure.

In campagnaelettorale Barack Obama aveva chiarito fin da subito le sue intenzioni:la guerra irachena andava finita il prima possibile perché era unaguerra sbagliata, che non doveva essere combattuta, mentre quellaafgana era una guerra “necessaria”, che andava combattuta e vinta. Fuuna posizione opportunistica per accontentare il suo elettoratoliberal, che voleva il ritiro dall’Iraq, senza alienare il ventrebellicoso del resto del paese? o era invece la sua convinzione?

Comeche sia, tra le sue primissime decisioni, una volta entrato nellacarica a gennaio del 2009, ci fu quella di ordinare l’invio(dirottandoli dall’Iraq) di 18.000 nuovi soldati: a questo punto a fineanno le truppe occidentali complessivamente presenti in Afghanistansarebbero state più di 100.000, 40.000 europei e 68.000 americani. Lamissione? Quella di sempre: cacciare i talebani e instaurare lademocrazia.

Instaurare la democrazia si è rivelato un obbiettivoirraggiungibile, ancor più dopo le ultime elezioni presidenziali in cuiHamid Karzai ha vinto grazie a diffusi brogli, che hanno aumentato ilsuo discredito all’estero e soprattutto in patria (e tra gliamericani). Oltretutto, per vincere si era alleato ai signori dellaguerra più sanguinari e più coinvolti nel traffico dell’oppio.L’esercito afgano corrotto e inefficiente, la polizia quasiinesistente. La giustizia in mano ai fondamentalisti islamici. Servizipubblici e infrastrutture zero.

L’altro obbiettivo, cacciare italebani per impedire che nuovamente dessero asilo agli uomini di alQaeda, apparve da subito irrealistico, nonostante il nuovo comandantenominato da Obama, Stanley McCrystal, aveva tutte le carte in regolaper farlo: un duro, un comandante delle forze speciali, si era distintocon l’uccisione di noti terroristi in Iraq (al Zawahiri), senza curarsise con loro ammazzava le mogli, i figli e i vicini di casa. McChrystalè uno specialista di controinsurrezione, come il suo capo di statomaggiore David Petraeus.

I manuali di strategia militare gli dicevanoche per vincere una guerra non convenzionale contro i talebani civolevano molti più uomini, almeno 100.000 (poi si è accontentato dichiederne “solo” 40.000).

Ma anche così si tratta di una richiestaimpensabile per l’attuale amministrazione, dal momento che il fronteinterno, l’elettorato democratico è stufo di otto anni di guerra, vuolevederne la fine, soprattutto non vuole che vengano mandati altrisoldati e chiede al presidente di indicare una exit-strategy. Quantoagli europei, Obama si è reso conto che non vale la pena di insistereperché non accetteranno mai aumenti di truppe o cambiamenti dellamissione. Quindi gli americani devono sbrigarsela da soli.

Earriviamo all’oggi in cui niente ancora è stato deciso. Ogni giorno,alla Casa bianca, al Congresso, nelle commissioni parlamentari, tra gliesperti militari si succedono le riunioni per prendere una decisione:più truppe? meno truppe? e per cosa? cambiare la strategia? proteggerela popolazione? addestrare l’esercito afgano? dare la caccia ai”terroristi” (chi? di al Qaeda o talebani o tutti e due?). Le opinionisono diverse e Obama sembra tentennare (anche se i suoi lo negano).

Sache in ogni caso rischia molto. Se si ritira, vuol dire ammettere diavere perso la guerra (anche se non l’ha iniziata lui, adesso è la suaguerra). Se rimane e aumenta le truppe, rischia di trovarsi contro ilsuo elettorato che è già molto nervoso per altri motivi (politicasanitaria, economia, disoccupazione) e mettere a rischio le elezioni dimidterm dell’anno prossimo. Se non fa nulla continua ad essere immersonel pantano, con uno stillicidio quotidiano di morti (solo sabato inuno dei più violenti combattimenti della guerra ce ne sono stati 10).

Mala domanda cruciale è: se Obama vince, che cosa vince? Un paesedisastrato, senza un governo degno di questo nome, dove molto prestoritornerebbe il caos, i talebani e con loro al Qaeda. E i talebani sipossono vincere? I talebani non sono “pochi terroristi”, sono centinaiadi migliaia di combattenti, crudeli quanto si vuole, ma induriti datrenta anni di guerra contro i sovietici e contro gli occidentali.Potranno lasciare il campo per un certo periodo, ma non rinuncerannomai al loro obbiettivo che è sempre stato quello di cacciare tutte letruppe straniere dal paese.