La guerra lampo di Silvio B.

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«VivaBerlusconi, viva l’Italia». Un giorno si ricorderanno queste parolepronunciate da Silvio Berlusconi sul portone di palazzo Grazioli. E siricorderà questa data: il 7 ottobre del 2009. Questo giorno verràricordato sicuramente per via del salto di qualità del populismo diSilvio Berlusconi, che segna un passaggio-chiave nel quindicenniosegnato dalla discesa in campo del serial-leader.

Sono passate pocheore dalla sentenza della Corte costituzionale che boccia il lodo Alfanosenza appello sia nella forma [è necessaria una legge costituzionaleper sancire l’immunità del premier, dei presidenti dei due rami delparlamento, del presidente della repubblica e di quello della cortesuprema] che nel merito [l’articolo 3 della legge fondamentalestabilisce che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge] mastavolta non siamo di fronte a un qualche dietrofront. Sembra semprepiù evidente il passaggio di scala del disegno berlusconiano.

Fino a oggi quando parlavamo di populismo ci riferivamo a una tendenzastrisciante della strategia di B.: di fronte alla disgregazione delleclassi sociali e delle forme produttive e ridistributive del Novecento,sulle macerie dei partiti della prima repubblica il premier costruivacon la forza delle televisioni un «popolo» e se ne faceva al tempostesso interprete e trascinatore.

Adesso, il populismo di cui è protagonista l’uomo di Arcore eccededefinitivamente la sfera – diciamo così – meramente sociologica dellaVideocrazia e fa irruzione una volte per tutte e con violenza nellaclaudicante forma-Stato, irrompe nei meccanismi istituzionali, si gettaa peso morto nell’equilibrio delicato della divisione dei poteri.

Quelgioco di allusioni, attacchi smentiti, avanzamenti improvvisi eritirate tattiche che fino ad oggi aveva segnato la meticolosastrategia berlusconiana ieri sera è stato interrotto da una specie diguerra-lampo contro i giudici, la corte costituzionale e il presidentedella repubblica dichiarata in diretta televisiva al salotto di BrunoVespa. Berlusconi dice chiaramente e senza mezzi termini che siccome havinto le elezioni, e il «popolo» è con lui, può comandare sondaggi etelecamere alla mano, senza rispettare i vincoli costituzionali.

Mai come in questo anno e mezzo di governo il potere legislativo èstato mortificato e cancellato a colpi di fiducia. Dopo avertrasformato il parlamento in un votificio delle proposte di leggedell’esecutivo, Berluskane passa all’attacco del potere giudiziario.«Ci sono due processi farsa, risibili, assurdi, che illustrerò agliitaliani, anche andando in tv. Mi difenderò più spesso nelle aule deitribunali, facendo esporre al ridicolo gli accusatori, mostrando atutti gli italiani di che pasta sono fatti loro e di che pasta sonofatto io», ha detto ancora oggi il leader Pdl, che ha poi ribadito loslogan di ieri: «Per fortuna che Silvio c’è, altrimenti il Paesesarebbe nelle mani della sinistra».

Oggi, tanto per svelenire il clima,è atteso il programma di Michele Santoro, «Anno Zero» che si occuperàdi mafia con il figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino instudio. Faceva una certa impressione, questa mattina, sentire unconsumato commentatore come il direttore di Radio Radicale MassimoBordin, conduttore del rassegna stampa di culto della mattina e avidoconsumatore di tabacco, politica e sarcasmo, paragonare la foto diSilvio e dei suoi che avanzavano verso i giornalisti, alla scena di unfilm di Martin Scorsese [indovinate quale?]. «Meno male che almenohanno la caravatta a righe», ha chiosato il giornalista.

Ha tutto da guadagnare, Umberto Bossi che conduce la solita partita alrialzo che ha segnato tutta la vicenda politica della Lega: da un latomostra il petto e promette che mobiliterà «il popolo», dall’altroincontra Gianfranco Fini e concorda di evitare il ricorso alle urne inquello che si trasformerebbe in un pericolosissimo plebiscito sulpresidente del consiglio. Il doppio gioco di Bossi non è solo dettatodalla formula «di lotta e di governo». È il destino del suo partito,oltre che la vera contraddizione che prima o poi lo farà a pezzi,quello di dipendere contemporaneamente dal militante in pelliccia daunno di Pontida e dalle casse e dal potere centrale di Roma Ladrona. Ilpresidente della Camera Gianfranco Fini cerca di salvare il salvabile:«L’incontestabile diritto politico di Berlusconi di governareconferitogli dagli elettori non può far venir meno il suo precisodovere costituzionale di rispettare la Corte costituzionale e il Capodello Stato».

La giustizia, che si tratti di quella costituzionale o quella penale,al centro dello scontro politico risveglia i bassi istinti della destra[il condirettore del giornale Alessandro Sallustri ieri ha sentito ilbisogno di sottolineare che «Napolitano è stato complice dei criminidel comunismo»] ma risveglia l’opposizione giustialista: Antonio DiPietro è ormai la macchietta di se stesso quando chiede le dimissionidel governo, mentre il Fatto quotidiano di Antonio Padellaro e MarcoTravaglio ostenta un paio di manette inquietanti in prima pagina epropone una ricostruzione della giornata di ieri che pare un monologosatirico ma che non sta in piedi, agenzie alla mano: Travaglio ipotizzache a convincere gli indecisi della Corte costituzionale siano state lesparate di Bossi sulla Padania «pronta alla guerra». Ma quelledichiarazioni sono arrivate dopo le 13, quando la notizia dellabocciatura del lodo Alfano era già trapelata e Berlusconi aveva giàconvocato i suoi per decidere, contravvenendo ai consigli di Fini, ilBlitzkrieg istituzionale.

Se siamo arrivati fino a questo punto significa che il problema è moltopiù grande di Berlusconi. Il passaggio dalla guerra di trincea elogoramento a quella di aggressione e movimento impone la presa d’attodella crisi radicale della rappresentanza: difendere le garanzie el’equilibrio dei poteri della Costituzione formali non dovrebbeimpedire di capire come rimediare al deperimento della politicarappresentato dal manifestarsi di una costituzione materiale del paeseche istituisce legislazioni speciali per i migranti, cancella i dirittidi milioni di precari nonostante «la Repubblica fondata sul lavoro».

L’escalation, insomma, impone un punto di vista dal quale l’anomaliaberlusconiana è indice di una crisi sociale e che la situazionedell’Italia presenta qualche analogia con la crisi economica e socialeche si respira in tutto l’Occidente. Purtroppo, o forse per fortuna,non basteranno né una sentenza della magistratura né un sondaggio delpremier per ristabilire una qualche forma di sovranità.