Salari dignitosi come antidoto alla crisi

di Deborah Lucchetti

da www.abitipuliti.org
Cento milioni di lavoratori del settore tessile mondiale chiedono aigrandi distributori di fare il primo passo per ottenere un salariodignitoso. Un modo per legare i salari al potere reale d’acquisto ebloccare la corsa al ribasso che danneggia i lavoratori del Sud quantoquelli del Nord.

Gli operai della Alstom di Colleferro sonoricorsi al «sequestro» dei tre manager per scongiurare la chiusuradella loro fabbrica, un’azienda da 76 mila dipendenti in 70 paesi delmondo di cui 2.500 in Italia.
Non si tratta di storie umane a tinte forti buone per qualchetrasmissione strappalacrime ma di spie di un malessere sociale ampio edilagante, che anche le statistiche non possono più ignorare; nonpossiamo dimenticare l’allarme che lo stesso Cnel ha lanciato a luglioparlando di almeno 350 mila posti di lavoro a rischio solo nel 2009.Nel frattempo la crisi ha bruciato risorse economiche pubblicheingenti, tutte destinate a ripianare i danni della finanza e diun’economia intossicata dal debito a livello globale; è lo stesso Fmiad avvertirci che il gioco è costato circa il 13 per cento del Pilmondiale.

All’altro capo del mondo i lavoratori non stanno meglio; nei paesi dovesi produce la gran parte dell’abbigliamento destinato ai nostri grandimagazzini, si lavora anche 12 ore al giorno per produrre abitidestinati alle esportazioni, che non potranno mai essere acquistati dacoloro che li confezionano. Costano troppo e poi sono roba nostra,pensata per nutrire le catene distributive mondiali che siapprovvigionano dove conviene, sfruttando le opportunità del dumping«legalizzato». Meglio chiudere uno stabilimento qui e lasciare a casaqualche operaio, per vincere la competizione globale e spuntare uncosto del lavoro che può arrivare al livello minimo del Bangladesh,dove un lavoratore tessile è pagato 16,60 euro al mese, al di sottodella soglia di povertà assoluta pari a un dollaro al giorno.

In India,Sri Lanka,Vietnam, Pakistan e Cambogia i minimi retributivi siattestano intorno a 2 dollari al giorno mentre si arriva a 4 in Cina,Cina, Indonesia e Thailandia. Cifre che non consentono alle famiglie di100 milioni di lavoratori, tante sono oggi le persone impiegatenell’industria tessile, di condurre una vita dignitosa. A questo vaaggiunto il crollo dei prezzi pagati alla produzione; se prendiamo unat-shirt e analizziamo l’andamento dei prezzi pagati dai marchi e dallagrande distribuzione ai loro fornitori, scopriamo che oggi si puòarrivare anche al 50 per cento in meno rispetto al 2004.

Viene subitoda chiedersi come è possibile garantire salari dignitosi e aumentare ilcosto del lavoro, se le grandi imprese multinazionali del retail e igrandi marchi continuano a usare pratiche di acquisto che impedisconoun’equa distribuzione della catena del valore. E visto che unlavoratore tessile percepisce in salario circa il 3 per cento delprezzo finale prodotto che confeziona, c’è tutto lo spazio perintervenire e consentire un riequilibrio distributivo.

Per questo è nata l’Asia Floor Wage [l’Afw], un’alleanza che oggi conta70 membri, fra organizzazioni sindacali e non governative, gruppi adifesa dei diritti umani e delle donne, studiosi e ricercatori, in 17paesi in Asia, Europa e Nord America. Il suo obiettivo è la definizionedi un nuovo modello di economia mondiale, fondato sul rispetto deidiritti dei lavoratori a cominciare dalla determinazione di un salariocommisurato alle esigenze della vita: una prospettiva della qualebeneficerebbero non solo i lavoratori del Sud ma anche i lavoratori delNord.

L’Afw, usando l’indice di Parità del potere di acquisto della Bancamondiale [Ppp], ha calcolato un livello di salario minimo mensile paria 475 dollari Ppp al mese, che consentirebbe ai lavoratori diacquistare lo stesso paniere di beni e servizi in tutti i paesiproduttori chiave dell’Asia. Si tratta di un contributo storico, cheper la prima volta rende esplicita e comparabile una formulaimmediatamente applicabile. Ovviamente il percorso per l’applicazionedi tale proposta è articolato e può raggiungere l’obiettivo soltanto secoloro che hanno il potere di determinare le condizioni di lavoro nellecatene di fornitura globali, assumono questo come il parametro minimosul quale costruire le proprie politiche di prezzo.

Per questo la CleanClothes Campaign ha lanciato la campagna di pressione internazionalerivolta ai grandi nomi della distribuzione globale come Carrefour,Aldi, Tesco ,Wal-Mart e Lidl affinché adottino da subito la propostadell’Afw creando le condizioni che possono consentire ai lavoratori dipercepire il giusto salario. In Italia la campagna farà pressione anchesu Coin-Oviesse, Coop, Rinascente e Upim, tra le più importanti impresedella distribuzione che offrono anche tessile e abbigliamento.

Senza dubbio la crisi in corso è una crisi di sistema, che richiederisposte complesse e multi-livello; tuttavia è fuori di dubbio che undeciso riequilibrio dei salari a livello globale porterebbe un fortebeneficio non soltanto ai lavoratori asiatici che chiedono giustizia;anche a quelli italiani avrebbero molto da guadagnare, costretti comesono a cimentarsi con azioni dirette sempre più sensazionali per nonessere invisibili. Per saperne di più