L’ONU adotta il rapporto Goldstone su Gaza

di Enrico Campofreda
da www.aprileonline.info

Nel rapporto di 575 pagine la commissione d’indagine guidata da Richard Goldstone, un ex giudice costituzionale sudafricano, chiede che Israele e Hamas indaghino entro sei mesi in modo credibile sui crimini di guerra commessi durante l’offensiva Piombo Fuso, tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, chiedendo in caso contrario che il Consiglio di sicurezza dell’Onu deferisca la questione al Tribunale penale internazionale

Aperta condanna del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per Israele e Hamas entrambi accusati di crimini di guerra dalla relazione del giudice sudafricano Richard Goldstone, capo delle indagini Onu che s’era occupato anche delle stragi in Rwanda e nella ex Jugoslavia. A Ginevra venticinque nazioni hanno votato a favore del suo dossier di quasi seicento pagine, undici paesi si sono astenuti e sei, fra cui Stati Uniti e Italia, si sono dichiarati contrari.

Goldstone pone sotto accusa l’operazione “Piombo fuso” dell’Idf sulla Striscia di Gaza e il lancio dei razzi su alcune località del sud di Israele da parte dei militanti della fazione islamica, che hanno rispettivamente prodotto 1.415 vittime gazesi (oltre la metà civili e più d’un terzo bambini) e 13 morti, di cui tre civili, fra gli israeliani. Le cifre spesso non sono prova assoluta delle atrocità ma, come in altri casi, nel conflitto israelo-palestinese a pagare con la vita è solo un popolo. Nonostante il rapporto metta quasi sullo stesso piano la potenza di fuoco con cui l’aviazione di Tel Aviv distruggeva col fosforo bianco scuole dell’Unrwa o interi palazzi abitati per far fuori Nizar Rayan o Siad Syam e i razzi katyusha dei resistenti, Hamas ha valutato favorevolmente la risoluzione. Nel ringraziare i paesi che l’hanno sostenuta un suo portavoce a Gaza, Taher al-Nanu, ha manifestato la speranza che si possa giungere a processi individuali contro i colpevoli di occupazione e stragi.

Netanyahu ha definito il rapporto un premio al terrorismo e un insormontabile ostacolo al processo di pace. Quale esso sia allo stato attuale è difficile comprendere visto il pericoloso stallo, pieno di tutte le emergenze post massacro, in cui versa la vita del milione e mezzo di abitanti della Striscia. Mentre Abu Mazen, voltando per l’ennesima volta le spalle alla sua gente e quasi in sintonia col premier israeliano, aveva nelle scorse settimane puntato a far slittare la presentazione del dossier e per questo ricevuto un’infinità di critiche. Solo alla fine aveva giocoforza mutato opinione.

In base all’invito dell’Onu sia Israele sia i palestinesi dovrebbero avviare proprie commissioni d’inchiesta per verificare se quanto denunciato risponde a verità. Probabilmente nessuno farà nulla, allora potrebbe essere la Corte Internazionale dell’Aja ad agire di sua sponte con un’indagine ufficiale. Naturalmente in base a quanto scritto la posizione più grave è quella delle Forze armate israeliane accusate d’aver causato “omicidi intenzionali e procurato grandi sofferenze a persone protette”, cui s’aggiunge la “violazione del diritto alla vita” per l’arbitraria e reiterata uccisione di civili palestinesi. Sproporzionato è giudicato l’uso della forza dell’esercito israeliano nell’uccisione di civili e nella distruzione di proprietà e infrastrutture, comprese quelle religiose. C’è il noto caso dell’abbattimento d’una moschea con quindici religiosi all’interno.

Ricordiamo come già in altri periodi s’è cercato di dare nome e volto a stragisti di Tsahal, nella fattispecie ad Ariel Sharon, ministro della difesa all’epoca dei massacri di Sabra e Shatila che furono molto più che coperture offerte ai macellai falangisti. Ma i tentativi processuali caddero nel vuoto. Nonostante l’istituzione della commissione Kahan, che valutava le responsabilità israeliane sul crimine del massacro perpetrato a freddo per due giorni consecutivi che superò le tremila vittime, e sugli 88 giorni di bombardamenti che ridussero Beirut in una città fantasma, Sharon la passò liscia.

Se ne andò per un lustro a vivere nel deserto e venne ripescato e sdoganato da Shamir per le nuove offensive che lo videro propugnatore della politica dell’entrismo degli insediamenti coloniali nei territori palestinesi e fautore del Muro dell’apartheid. Dopo aver provocato la Seconda Intifada col famigerato passeggio sulla spianata delle Moschee Sharon venne definito da Bush jr politico di pace (sic). Insomma i tentativi d’ottenere giustizia dai Tribunali hanno trascorsi tutt’altro che confortanti. Resta in tutta la sua drammaticità l’emergenza quotidiana a Gaza, dove una delegazione italiana compie in queste ore un sopralluogo. Non solo dopo dieci mesi dai massacri nessun ospedale, scuola, casa distrutti sono stati ricostruiti perché l’Idf tiene cemento e acciaio fuori dai varchi, ma tonnellate di macerie sono lì a rendere difficilissima la vita dei gazesi. Scarseggiano sempre medicinali e viveri, e prosegue il ‘conflitto degli stipendi’ gestiti dall’Anp per il 40% della popolazione locale.

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Il dossier della vergogna

di Antonio Marafioti
da www.peacereporter.net

“Ciò constituisce una ulteriore violazione del diritto internazionale umanitario”. E’ questa la frase posta in calce in ognuna delle 575 pagine che compongono il rapporto delle Nazioni Unite stilato da una Missione inquirente sul conflitto di Gaza.

Il dossier, noto come “rapporto Goldstone”, – dal nome del presidente della Missione Richard Goldstone ex giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa e ex procuratore dei tribunali penali internazionali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda – ha convinto il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu a riaprire il dibattito sui crimini di guerra commessi nella e dalla striscia di Gaza fra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio del 2009 dall’esercito israeliano e dai militanti palestinesi.

Per riuscire a completare l’analisi, che più di una volta viene dichiarata non esaustiva della molteplicità dei fatti, i membri della Missione hanno lavorato per tre mesi, dal maggio al luglio 2009, su diverso materiale informativo. Dopo aver sostenuto e ribadito “la mancanza di cooperazione da parte di Israele” gli esperti hanno specificato di essersi avvalsi di varie fonti: la rilettura delle inchieste giornalistiche e delle ONG, interviste con i familiari delle vittime, con i testimoni e con altre persone in possesso di informazioni rilevanti; la visita presso i siti degli incidenti a Gaza; video satellitari, referti medici e udienze pubbliche a Ginevra.

Risultato: 188 interviste individuali, 300 fra fascicoli e documentazioni varie per un totale di 10,000 pagine, oltre 30 filmati e circa 1.200 fotografie. Le indagini hanno accertato la morte di 13 israeliani, fra militari e civili, e circa 1400 palestinesi, fra i quali numerosi bambini. Fra le storie di questi spicca per crudeltà quella di Amal, Souad e Samar tre sorelle cadute sotto i colpi delle Forze di Difesa Israeliane durante un’incursione a Izbat Abd Rabbo, periferia est di Jabaliyah.

“Nella tarda mattinata del 7 gennaio 2009 – si legge nel report – i carrarmati israeliani si spostarono in un piccolo pezzo di terra agricola di fronte alla casa. Poco dopo le 12:30, gli abitanti di quella parte di Izbat Abd Rabbo udirono dei messaggi al megafono che invitavano tutti i residenti a lasciare [le loro case ndr]

Verso le 12:50, Khalid Abd Rabbo, sua moglie Kawthar, le loro tre figlie, Souad (9 anni), Samar (5 anni) e Amal (dai 3 anni), e sua madre, Hajja Souad Abd Rabbo, uscirono fuori di casa, tutti portando bandiere bianche. A meno 10 metri dalla porta c’era un carro armato,
si voltò verso la loro casa. Due soldati erano seduti su di esso e stavano consumando uno spuntino (uno stava mangiando patatine e l’altro del cioccolato, secondo uno dei testimoni). La famiglia si fermò, in attesa degli ordini dei soldati come avrebbe dovuto fare, ma nessuno lo diede. Senza preavviso, un terzo soldato uscì dall’interno del carro armato e iniziò a sparare sulle tre bambine e poi anche sulla loro nonna. Diversi proiettili colpirono Souad al torace, Amal allo stomaco e Samar nella nuca. Khalid e Kawthar Abd Rabbo trasportarono le loro tre figlie e la madre all’interno del casa. Lì, loro ed i membri della famiglia che erano rimasti dentro cercarono di chiamare aiuto da un telefono cellulare.

Hanno anche chiesto aiuto a un vicino di casa, Sameeh Atwa Rasheed al-Sheikh, che era un conducente di un’ambulanza e aveva la sua ambulanza parcheggiata vicino alla sua casa e che decise di venire in loro aiuto. Si mise i vestiti d’equipaggiamento per l’ambulanza e chiese a suo figlio di indossare un giubbotto fluorescente.

Guidarono per pochi metri dalla loro casa nelle immediate vicinanze di Abd Rabbo, quando i soldati israeliani vicino alla casa Abed Rabbo ordinarono loro di fermarsi e uscire dalla veicolo. Al Sameeh-Sheikh protestò dicendo che stava aiutando la famiglia Abd Rabbo e doveva portare i feriti in ospedale. I soldati ordinarono a lui e suo figlio di spogliarsi e poi rivestirsi. Poi ordinarono loro di abbandonare l’ambulanza e di camminare verso Jabaliyah. Quando la famiglia tornò a Izbat Abd Rabbo il 18 Gennaio, trovò che l’ambulanza era ancora nello stesso posto, ma era stata schiacciata, probabilmente da un carrormato.

All’interno della casa Abed Rabbo, Amal e Souad morirono per le ferite. […] Samar venne trasferita all’ospedale Al-Shifa e poi, attraverso l’Egitto, in Belgio, dove è attualmente ricoverata in ospedale. Secondo quanto detto dai suoi genitori, Samar ha subito una lesione spinale e resterà paraplegica per il resto della sua vita”.

Le violazioni al diritto internazionale rilevate a carico del Governo di Gerusalemme vanno dall’uso sproporzionato della forza militare – il fascicolo Goldstone ricorda che l’esercito israeliano è uno dei più potenti al mondo – all’impiego, accertato per mezzo di prove e testimonianze, delle bombe al fosforo bianco vietate dalle convenzioni internazionali. Nel rapporto sono inoltre contenuti capitoli riguardanti la distruzione di case e ospedali e l’utilizzo dei civili come scudi umani per fermare i lanci dei razzi dei militanti palestinesi.

Agli attacchi condotti da questi dentro il territorio israeliano è dedicata la terza parte del rapporto che specifica “la Missione è stata impossibilitata a condurre un’investigazione sul sito a causa della decisione del Governo di Israele di non cooperare” .
Per questo motivo il pool ha potuto condurre solo interviste telefoniche e pubblicare dati riguardanti l’attività terroristica condotta dai tre principali gruppi armati palestinesi: Izz al-Din al Qassam Brigades987, al Aqsa Martyrs’ Brigades e Islamic Jihad. A loro è ascritto il reato di aver lanciato circa 8000 razzi dal confine di Gaza verso il territorio israeliano dal 2001.
Per ciò che concerne il periodo preso in esame dalla Missione il dossier riporta:

“Tra il 18 giugno 2008 e il 31 luglio 2009, ci sono stati quattro morti in Israele come un conseguenza di razzi e colpi di mortaio da Gaza, fra i quali tre vittime civili e un
militare.

Il 27 dicembre 2008, Beber Vaknin, 58 anni, di Netivot è stato ucciso quando un razzo sparato da Gaza ha colpito un edificio residenziale a Netivot. Il 29 dicembre 2008, Hani al-Mahdi, 27 anni, di Aroar, un insediamento beduino a Negev, è stato ucciso quando un missile tipo Grad sparato da Gaza è esploso in un cantiere in Ashkelon. Lo stesso giorno, in un altro incidente, Irit Sheetrit, 39 anni, è stato ucciso, e diversi sono stati i feriti, quando un razzo Grad è esploso nel centro di Ashdod. Le brigate al-Qassam hanno rivendicato la responsabilità per l’attacco.

Il 29 dicembre 2008, un membro delle forze armate, Warrant Officer Lutfi Nasraladin, 38 anni, del comune di drusi Daliat el-Carmel, è stato ucciso da un attacco di mortaio su una base militare vicino a Nahal Oz”.

Questi, fra gli altri, i reati compiuti dalle due fazioni in guerra che, secondo quanto rivelato nel rapporto avrebbero infranto la maggior parte delle leggi interne e internazionali sui diritti umani dalla Convenzione di Ginevra del 1949 alla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
La Missione che – si legge – “ha investigato un grande numero di casi […] ha rilevato che molti di questi hanno sostanza”.

Dopo il dibattito di oggi, precedentemente rinviato a marzo per le proteste ufficiali di Israele e poi riaperto dopo le pressioni di Amnesty International e dell’Europa, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu potrebbe richiedere a Israele e all’Autorità palestinese di dimostrare l’avvio di un’indagine imparziale sui crimini di guerra accertati nel dossier. Allo scadere dei sei mesi dalla possibile istanza l’Onu dovrebbe inviare i fascicoli al procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja.

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Porre fine alla cultura dell’impunità

di Nicola Sessa
da www.peacereporter.net

Porre fine alla cultura dell’impunità. Nonostante le intense attività diplomatiche di Benjamin Netanyahu, il rapporto Goldstone è stato approvato dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu (Un Hrc): 25 voti a favore, 6 contrari (tra cui Israele, Usa e Italia), 11 astenuti e 5 non votanti (tra cui Francia e Gran Bretagna). Il voto di per sé invita semplicemente il Consiglio di Sicurezza Onu a trasferire la competenza sui crimini compiuti da Israele e Hamas alla Corte Criminale Internazionale dell’Aja (Icc), qualora entro sei mesi le due parti in conflitto nell’operazione Piombo Fuso dello scorso dicembre non abbiamo portato a termine indagini indipendenti e interne sulle accuse di crimini di guerra e contro l’umanità.

Di fatto, però la risoluzione adottata esplica delle pesanti conseguenze sui rapporti tra Israele e Autorità Palestinese. Gli analisti di Debka File, un sito israeliano molto vicino a governo e servizi segreti israeliani, ritengono che la risoluzione adottata oggi avrà un effetto devastante sul processo di pace. Addirittura “lo seppellisce”. Israele, infatti, non rinuncerà mai al suo diritto di autodifesa e ha bollato la risoluzione e lo stesso rapporto Goldstone come un provvedimento “a senso unico, anti israeliano e favorevole ai terroristi”. Navy Pillay, l’Alto commissario Onu, presidente del Consiglio per i diritti umani ha preso una posizione molto netta sostenendo che “era giunta l’ora di porre fine alla cultura di impunità che da sempre prevale in Israele e nei Territori palestinesi”.

Lobby e diplomazia. Netanyahu ci aveva provato con tutti i mezzi, Francia e Gran Bretagna avevano chiesto uno slittamento del voto. Tutto per convincere gli indecisi a schierarsi al fianco di Tel Aviv. Hamas ha invece plaudito all’esito della votazione e ha auspicato che questo provvedimento non cada nel nulla ma che serva a creare un nuovo punto di partenza nell’affermazione dei diritti dei palestinesi. Il delegato Usa Douglas Griffiths ha aderito alle posizioni di Israele criticando la risoluzione, che non si è limitata al solo rapporto Goldstone ma ha fatto riferimento anche agli ultimi comportamenti di Israele a Gerusalemme Est. Gli Stati Uniti, come riferito da Griffiths in una nota, avrebbe preferito che la questione fosse stata risolta all’interno della cornice in cui si svolgono le trattative in corso tra Israele e Autorità Palestinese. Trattative che ora sono seriamente compromesse.

La tranquillità di Israele. È presumibile che Israele non darà avvio alle indag
ini così come richiesto dalla risoluzione. A riguardo dovrebbe essere premonitrice una dichiarazione ufficiale del ministro della Scienza, Daniel Herschkowitz, secondo cui “è un vero peccato che l’Onu abbia reso irrilevante il suo ruolo”. Ciò vorrebbe dire che Olmert, Livni e i comandi dell’esercito (così come pure i vertici di Hamas) potrebbero essere processati per crimini di guerra, “per aver fatto ricorso a una forza sproporzionata, per aver colpito deliberatamente i civili, per aver usato i palestinesi come scudi umani e per aver distrutto infrastrutture civili. Ma difficilmente accadrà, dal momento che arriverà puntuale, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’ostruzione degli Stati Uniti.