Siamo alla delegittimazione del giudice e alla intimidazione di tutti i magistrati

di Livio Pepino
da www.articolo21.info

Piero Calamandrei (nel libro Elogio dei giudici scritto da un avvocato) racconta di un miliardario che non riesce a fermare il processo contro suo figlio, che con l’auto ha sfracellato contro un muro un povero passante. Al difensore il miliardario raccomanda ripetutamente di non guardare a spese, purché cessi lo “sconcio” del processo. L’avvocato cerca di spiegargli che «la giustizia non è una merce in vendita» e che «quel giudice è una persona per bene…». Allora il miliardario salta su sdegnato: «ho capito… lei non me lo vuol confessare: abbiamo avuto la sfortuna di cadere in mano di un giudice criptocomunista».

La boutade di Calamandrei oggi – cinquant’anni dopo – è diventata una pericolosa deriva illiberale e disgregante. Ma ancora non basta. Accade persino che, oltre ad essere definiti “comunisti”, i magistrati autori di decisioni sgradite e indipendenti vengano indicati come bersagli (con numero telefonico e indirizzo di abitazione) su quotidiani prossimi a una delle parti interessate.

È il caso del giudice Mesiano, autore della sentenza con cui la Fininvest è stata condannata a risarcire la Cir per i danni «a lei cagionati dalla corruzione del giudice Vittorio Metta», del quale una rete televisiva di proprietà del premier si è spinta a riprendere e mandare in onda i scene di vita quotidiana (accompagnando la diffusione con commenti sarcastici sul suo passeggiare da solo, sul suo aspettare il turno dal barbiere e sul colore dei suoi calzini).

Non si tratta (solo) di un eccesso di servilismo, a cui pure troppa parte della stampa scritta e parlata ci ha da tempo abituati. Siamo a una svolta di sistema. La maggioranza di governo, il suo leader e i suoi cortigiani valutano sempre più la giustizia con il metro della utilità: «è giusto non ciò che rispetta le regole ma ciò che conviene».

E, coerentemente, non badano ai mezzi per ottenere decisioni utili. Indipendentemente dal fatto che siano giuste e conformi alle regole. Dopo il rifiuto di sottoporsi al processo siamo alla delegittimazione del giudice e alla intimidazione di tutti i magistrati che dovranno occuparsi in futuro di vicende analoghe.

Il salto di qualità è evidente e non può restare senza risposta da parte di tutti i cittadini onesti.

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La privacy del giudice scomodo

di Vittorio Roidi

Si discute di libertà di stampa. Non sarà mai troppa e quindi più se ne parla, meglio è. L’importante è che nessuno la voglia limitare, con leggi, con i decreti bulgari o con le intimidazioni. La censura è stata cancellata dalla Costituzione e bisogna stare attenti che non torni mai più, perché qualcuno a cui dà fastidio un articolo o un’intervista si trova spesso.

Dunque, nessun questurino o pubblico ministero può impedire a un giornalista televisivo di usare la telecamera per riprendere un giudice: mentre va ai giardinetti o dal barbiere, per scrutare cosa fa e che vestito porta. Chissà. Vuoi mettere, un’inchiestina. sull’acconciatura dei magistrati, sui jeans o sui calzini che indossano! Il giornalismo è fatto di tante cose.

Però, se quel giudice – guarda caso – è proprio quello che ha conteggiato in 750 milioni di euro il risarcimento civile che la Fininvest della famiglia Berlusconi deve pagare alla Cir di De Benedetti, allora il cittadino-spettatore di quel servizio tv qualche domanda deve porsela: che notizia è? Che mi vuole far sapere quel giornalista? Perché proprio quel giudice? E se la televisione che manda in onda quel servizio è di proprietà della famiglia Berlusconi l’attenzione del cittadino deve raddoppiare. Libertà, autonomia di quel giornalista, ma per dare informazioni ai cittadini, o per infastidire un giudice scomodo?

La libertà di stampa, dice una legge, la 675 del 1996, può essere usata per invadere la vita privata delle persone solo a certe condizioni. Il giornalista ha il diritto di fare il proprio mestiere – pubblicando anche dati “sensibili” del protagonista di un fatto di cronaca – quando l’informazione è di “interesse pubblico” e se quel particolare è “essenziale” alla comprensibilità della notizia.

Non so chi il giornalista di cui stiamo parlando e non mi interessa. Ha fatto il proprio mestiere utilizzando la propria libertà, ma ne ha fatto un uso pessimo, perché il colore dei calzini e il taglio dei capelli di quel magistrato non interessano nessuno. Dunque: rischia una bacchettata dal Garante della privacy. Ma anche dal suo direttore, se almeno questo sa e vuole fare il giornalista.