Razzismo e libertà di coscienza

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Poniamo subito il problema in termini brutali: il razzista, ossia colui che discrimina gli uomini in base alla loro religione o alla loro etnia, alle loro convinzioni politiche o ai loro orientamenti sessuali, ha una coscienza? E questa coscienza deve essere rispettata? E che cosa si deve intendere per rispetto della coscienza del razzista, ossia di un signore che, per principio, non rispetta le coscienze altrui? Quando, tanti anni fa, ero studente all’Università di Roma, nel corso di una accesa discussione fra studenti di differente orientamento ideologico, sentii enunciare da un rappresentante di un’organizzazione studentesca neofascista, una massima politica di intonazione, oggi si direbbe, relativista, per lo meno di quello che il sociologo francese Raymond Boudon ha definito il “relativismo cattivo”, per distinguerlo da quello “buono”che apre, invece, alla tolleranza. Quel giovane fascista dei lontani anni Cinquanta affermò dunque, in perfetta buona fede (non c’è motivo di dubitarlo), questa regola di convivenza politica: voi liberali ci dovete concedere, in nome dei vostri principi, ogni libertà, ma noi fascisti, in nome dei nostri, ai quali non possiamo non essere fedeli come voi lo siete ai vostri, ve le toglieremo ogni che le riterremo contrarie al giusto ordine della società.

Proprio in questi giorni di polemiche sulla bocciatura in Parlamento della legge contro l’omofobia, mi è capitato di leggere un saggio della filosofa americana Martha C. Nussbaum, “Libertà di coscienza e religione” edito dal Mulino, che porta, in apertura, una frase di un pensatore americano del Seicento, Roger Williams, autore fra l’altro di un libro (1644) intitolato “La sanguinaria dottrina della persecuzione per causa di coscienza”. Ebbene, la citazione di Williams, tratta da una sua lettera al governatore del Massachusetts e del Connecticut, dice qualcosa che fa proprio al caso nostro : “Voi rivendicate la libertà di coscienza, ma ahimé, l’unica divinità cui tenete davvero siete voi stessi”. Ecco toccato il punto sostanziale della questione: quei parlamentari che, in nome della libertà della loro coscienza, si rifiutano di concedere ai loro concittadini che hanno orientamenti sessuali che essi disapprovano, i diritti che concedono volentieri a se stessi, sono dei “cattivi” relativisti morali, rigidamente chiusi nella difesa della loro cultura da essi ritenuta coincidente con le presunte leggi della natura umana. Sono paradossalmente, al tempo stesso, dogmatici e relativisti, rinserrati nel loro particolarismo culturale (per quanto maggioritario) e pronti a difenderlo con lo strumento di una legge imposta coattivamente a coloro che hanno altre pulsioni, sentimenti ed idee.

Dobbiamo avere rispetto per individui simili e per la loro coscienza? E dobbiamo accettarli all’interno di partiti che si propongono, nei loro programmi, di riconoscere a tutti i cittadini uguali diritti, quali che siano le loro differenti identità anche sessuali? Se per rispetto s’intende il riconoscimento della libertà di professare idee che non possiamo condividere, una coscienza liberale non può avere esitazioni: anche il razzista, politico o religioso che sia, ha il diritto di manifestare liberamente le proprie idee. Va però subito aggiunto che, quando queste idee si concretizzano nella violazione di quei principi di pluralismo e di reciproco riconoscimento che debbono reggere la vita e lo sviluppo di una società democratica, la coscienza dei razzisti non merita più alcun rispetto e va combattuta con tutte le armi, naturalmente pacifiche, che abbiamo a disposizione. Nessuno contesta (tanto per fare un esempio, ma sia ben chiaro che non è l’unico e neppure il più pericoloso) all’onorevole Paola Binetti il diritto di pensare che l’omosessualità è contraria alla legge di Dio e della natura, ma questo non significa che è lecito violare impunemente la Carta universale dei diritti dell’uomo, emanata dall’Onu, varie convenzioni delle istituzioni europee, e infine (non è certamente cosa di poco conto) la stessa Costituzione italiana. Come è possibile sostenere che stabilire un’aggravante di pena per i delitti contro le persone omosessuali è incostituzionale? Questi delitti, queste violenze che tendono sempre più a diffondersi nella nostra società, non nascono forse da motivi particolarmente abbietti, dal considerare queste persone, alla pari di altri gruppi etnici e religiosi ai quali vengono negati diritti fondamentali, come uomini e donne che non hanno la stessa dignità morale degli altri, pur contribuendo, con il loro lavoro e con il loro rispetto della legge comune, alla vita della nostra collettività?

Se la signora Binetti (e i tanti altri che la pensano come lei) rivendica la libertà di coscienza di sostenere che gli eterosessuali debbono godere di diritti che vengono invece negati agli omosessuali, vada a difendere questa sua convinzione assieme a coloro che la pensano nello stesso modo, non pretenda di restare in compagnia di chi professa principi morali del tutto contrari ai suoi. E in quanto ai partiti, va bene essere pluralisti e accogliere in sé una grande quantità e varietà di tradizioni politiche e culturali, ma non è ammissibile che si vogliano far convivere razzismo e pluralismo, fondamentalismo religioso e riconoscimento universale dei diritti. Diceva Gaetano Salvemini che la chiarezza è l’onestà della mente, e di questa chiarezza, nella politica italiana, c’è oggi un gran bisogno.