Israele-Palestina, la pace si perde in un bicchiere d’acqua

di Enrico Campofreda
da www.aprileonline.info

L’ennesimo allarme è lanciato da un rapporto di Amnesty International sull’acqua. In Cisgiordania almeno 200.000 abitanti sono impossibilitati a servirsi d’un rubinetto d’acqua corrente nonostante a poche centinaia di metri i villaggi dei coloni riempiano piscine e irrighino l’erba dei loro giardini. Israele, che gode di ulteriori risorse, s’impossessa dell’80% dell’acqua destinata alla West Bank e la convoglia unilateralmente verso gli insediamenti

Se la spianata delle Moschee torna a essere luogo di tensione fra ebrei e musulmani è perché dietro il simbolo del sito sacro la questione israelo-palestinese resta drammaticamente irrisolta e accresce il tasso conflittuale. A riaccendere la miccia della polveriera che Israele conserva e amplia col silenzio-assenso degli alleati occidentali può servire molto meno d’una nuova provocatoria passeggiata d’un membro della Knesset come nel Duemila fece Sharon. Troppe antiche vessazioni s’uniscono a nuove nequizie e accanto ai massacri di “Piombo fuso” c’è l’avvelenamento della quotidianità.

Qualsiasi palestinese viva a Gerusalemme, in Cisgiordania, a Gaza o sia da generazioni profugo vede, ben oltre i limiti del proprio frammentario e spesso impotente panorama politico, che il presente non riserva alcuna soluzione della sua condizione. Israele persegue imperterrito la politica che da sessant’anni ha prodotto pulizia etnica, fuga, esilio, occupazione indebita e apartheid per l’etnìa palestinese. Di quattro nodi irrisolti e da decenni dibattuti: insediamenti, Gerusalemme, rifugiati, indipendenza economica anche nei momenti di colloquio fra le parti, non uno prospetta un’equa soluzione.

Al contrario ciò che non doveva più accadere (nuove colonie) o su cui bisognava recedere (l’occupazione di ulteriori territori palestinesi e di Gerusalemme che risalgono al ’67) viene conservato con proclamata volontà da ogni premier e coalizione israeliani. Dopo privazioni, soprusi, violenze operati da Tsahal l’umiliazione ricompare periodicamente e può solo rinnovare Intifade. Ciò che a più d’un osservatore appare palese è che anche l’amministrazione Obama sia prigioniera della forza di ricatto del sionismo interno, le varie Aipac, Aief, Winep che coi loro parlamentari influenzano la linea d’ogni presidente americano in Medio Oriente.

L’invito rivolto a Netanyahu di bloccare il piano degli insediamenti nei quartieri di Gerusalemme est (Maal’e Adumim, Givat Zeev, Gush Etzion) che hanno definitivamente separato questa parte della città dal resto della West Bank, è stato ampiamente inascoltato a conferma dello strapotere della lobby ebraica. Su Gerusalemme Netanyahu dichiara tranciante che una restituzione non può neppure essere ipotizzata e difende quella legge della Knesset del 1980, dichiarata nulla dalla risoluzione 478 dell’Onu ma tuttora efficace.

Il piano abitativo pro coloni dell’attuale governo d’Israele marcia con la totale sintonia fra il Likud del premier e il Labur di Barak, antico sostenitore di quell’infiltrazione subdola nei territori destinati palestinesi già quand’era primo ministro. Questi continui ampliamenti hanno portato oltre 200.000 ebrei d’Europa nei citati quartieri di Gerusalemme, città di 700.000 abitanti in cui anche l’antichissimo cuore arabo di Sheik Jarrah subisce sventramenti a favore dei palazzi per i coloni. Case di cui sono proprietari lo Stato e la municipalità ma che vengono offerte a fitti stracciati a famiglie che intendono abitarli.

Il modello Hebron, località dove una minoranza di 8.000 coloni ultranazionalisti protetta dall’esercito tiene sotto il tiro delle armi 170.000 palestinesi, subisce imitazione ed evoluzione ampliando a proprio favore il numero degli insediati. Il tema dei rifugiati palestinesi, sacrificato nel 1993 dallo stesso Arafat sull’altare degli Accordi di Oslo, men che meno vuol essere affrontato da Israele che ha confezionato leggi capaci (nel 1950 e ampliata nel 1970) di garantire un diritto al ritorno a senso unico: quello ebraico verso i territori dello Stato nato nel 1948 e delle sue colonie disseminate in Cisgiordania e difese coi carri armati.

Netanyahu non vuole discutere della sorte dei milioni di palestinesi tutt’oggi bloccati nei campi profughi di Libano, Siria, Giordania senza patria né diritti. Né quei palestinesi, un milione e duecentomila, che vivono in Israele riscontrano un trattamento dignitoso. Sentite il parere dell’avvocato Iyad Rabi, membro del Raggruppamento democratico arabo Altajammua, in questi giorni in Italia per alcune conferenze. “Noi arabo-israeliani facciamo i conti con un oggettivo razzismo constatato anni fa anche da personalità politiche come Tutu e Carter.

Non solo la Knesset ma la stessa Alta Corte di Giustizia avallano comportamenti altamente discriminatori verso i cittadini arabi che s’aggiungono a vecchie leggi come quella “sulla proprietà degli assenti” del 1950 un vero esproprio verso chi s’era allontanato dopo le violenze dell’Irgun. O quella del 1958 di appropriazione della terra per motivi di sicurezza militare rivolta unicamente contro i proprietari palestinesi. Israele si definisce Stato non israeliano ma ebraico, sottolineando la matrice etnico-religiosa d’impronta razziale che esclude chiunque non sia ebreo.

Seguono altre vessazioni che noi israelo-palestinesi conosciamo bene quando veniamo penalizzati a causa dell’esenzione dal servizio militare, differentemente dagli ultraortodossi che pur senza vestire la divisa non perdono alcun diritto civile. E non dimentichiamo proposte di legge come quella sulla fedeltà al sionismo con cui Israel Beiteinu cerca di togliere la cittadinanza a chi non presta giuramento”.

A soffocare l’esistenza nei Territori sopraggiungono anche penurie da quarto mondo. L’ennesimo allarme è lanciato da un rapporto di Amnesty International sull’acqua. In Cisgiordania almeno 200.000 abitanti sono impossibilitati a servirsi d’un rubinetto d’acqua corrente nonostante a poche centinaia di metri i villaggi dei coloni riempiano piscine e irrighino l’erba dei loro giardini. Israele, che gode di ulteriori risorse, s’impossessa dell’80% dell’acqua destinata alla West Bank e la convoglia unilateralmente verso gli insediamenti.

Il fronte di disperazione estrema si vive a Gaza dove per il blocco totale dell’ingresso di materiale edile non è possibile effettuare nessuna riparazione anche delle reti idrica e fognaria distrutte dai bombardamenti dello scorso gennaio. Ne deriva un allarme endemico che si ripete da mesi. La falda acquifera della Striscia è inquinata per infiltrazioni d’acqua marina, il 90% della fornitura non è potabile e può venire usata solo per i servizi. Ma Ue e Stati Uniti lasciano che i soldati di Tsahal continuino a bloccare i valichi di frontiera. L’Europea non resta invece sorda alla richiesta israeliana di equiparare l’antisionismo all’antisemitismo. Lo farà a breve.