Ospiti non graditi

di Suora X (Tratto dalla rivista cattolica statunitense di cultura, politica e religione “Commonweal”)
da Adista Contesti n. 106 del 24/10/2009

Visita apostolica alle suore Usa: quali sono le reali intenzioni del Vaticano? Le riflessioni anonime di una religiosa

Sono una religiosa da più di trent’anni, parte di una comunità che è attiva in questo Paese da oltre un secolo, e la cui opera ruota intorno all’insegnamento e all’assistenza sanitaria. La nostra congregazione appartiene ad un ombrello di organismi, la Leadership Conference of Women Religioius (Lcwr) che rappresenta il 95% delle congregazioni religiose femminili statunitensi.

Grazie a recenti iniziative vaticane, l’Lcwr ha conquistato le prime pagine dei giornali. A febbraio il Vaticano ha annunciato che avrebbe condotto una “visita” di tre anni per valutare la “qualità della vita” delle suore americane. Un mese dopo, la presidente dell’Lcwr ha ricevuto una lettera del card. William Levada, ex arcivescovo di San Francisco e ora a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf), che la informava che ci sarebbe stata anche un’investigazione, o “valutazione dottrinale”, nella Lcwr stessa. Alcuni problemi, ha spiegato Levada, dovevano essere affrontati. A quanto risulta, hanno a che fare con il presunto fallimento dell’Lcwr nell’esprimere con sufficiente rigore dottrinale l’adesione a diversi documenti ecclesiali recenti. Evidentemente il Vaticano è preoccupato che la Lcwr non sia stata contenta degli insegnamenti magisteriali riguardo all’ordinazione sacerdotale delle donne, alla relazione della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, e alla natura “intrinse-camente disordinata” degli atti omosessuali.

La visita del Vaticano – condotta sotto gli auspici della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le società di Vita Apostolica (Ciclsal) – non giudica la “qualità della vita” delle congregazioni claustrali delle Carmelitane, Benedettine, Domenicane o altre comunità dedite alla vita monastica contemplativa. Né si occupa delle congregazioni internazionali con membri che lavorano negli Stati Uniti le cui case madri sono fuori dal Paese. Ha per oggetto, invece, esclusivamente le religiose attive i cui centri e le cui case di formazione si trovano negli Stati Uniti, donne educate e formate qui alla vita religiosa, donne che lavorano con grandi istituzioni sanitarie e educative in questo Paese, e che collaborano finanziariamente su progetti come quelli relativi alla pace e alla giustizia.

Perché solo le suore americane? Un’area condivisa di preoccupazione, certo, è il crollo netto delle vocazioni negli ultimi decenni. Quarant’anni fa, c’erano 180.000 religiose professe nel Paese; oggi sono meno di 60.000. Eppure anche il numero dei preti è crollato a precipizio nello stesso periodo, lasciando più del 10% delle parrocchie senza pastori residenti. Perché la carenza di preti non è anch’essa motivo di una visita? Durante lo stesso periodo i vescovi Usa hanno esercitato il loro ministero in uno scandalo di abusi sessuali costato alla comunità cattolica più di 2 miliardi di dollari e all’episcopato gran parte della sua credibilità morale. Allora perché non c’è nessuna visita per i vescovi? (…).

Voglio iniziare dicendo che credo nella buona volontà della Chiesa istituzionale. Parte essenziale del mio impegno verso Cristo è la convinzione della santità della Chiesa; che è ciò che ho professato quando ho preso i voti. (…). Eppure, la mia reazione alla visita, e specialmente alla prospettiva della “valutazione dottrinale”, contiene più di un po’ di scetticismo. Mentre sono contenta che “Roma sappia la verità” sulla nostra vita e la nostra dedizione a Cristo, non posso non sospettare che coloro che stanno dietro a queste iniziative non siano interessati in primo luogo alla qualità della mia vita spirituale. Per dirla schiettamente, sento che le religiose americane sono vittime di una prepotenza. Il fatto che la visita venga apparentemente pagata da donatori anonimi, e che le leader delle nostre comunità non possano vedere i rapporti investigativi che ne risulteranno, non genera fiducia. Le dinamiche della visita, poi, e dell’investigazione, fino ad ora sono state vissute dalle religiose come improntate al segreto, non amichevoli e unilaterali.

L’accusa implicita soggiacente alla valutazione dottrinale dell’Lcwr è che i suoi vertici non sono abbastanza cattolici agli occhi della Chiesa. Avendo vissuto, lavorato e pregato con queste donne per decenni, trovo questa supposizione offensiva e assurda, talmente assurda, in realtà, da chiedersi se l’investigazione non intenda, in realtà, minare alla base la fiducia nella leadership femminile delle congregazioni. Il diritto canonico, così come le costituzioni delle congregazioni, assicura che i membri professi possano eleggere liberamente i loro vertici, piuttosto che vederseli imporre da un vescovo. Come in altre congregazioni religiose, ho agito nella convinzione che il governo democratico della mia comunità fosse guidato in definitiva dallo Spirito Santo. Aiutandomi a scegliere chi ci guidava, ho fatto affidamento sulla conoscenza dei talenti delle mie consorelle e sulla mia storia di preghiera e dipendenza dallo Spirito Santo. Ciononostante ora il card. Levada ci informa che l’integrità dottrinale di quelle superiore è discutibile.

La minaccia di un’azione disciplinare rende difficile alle religiose parlare apertamente su questo tema. Ecco perché scrivo in forma anonima. Fortunatamente ho fiducia nel mio vescovo e per questo ringrazio le mie buone stelle. Ma se un vescovo di qualche altra diocesi o un uomo del clero in Vaticano o un vescovo di una commissione della Usccb che volesse dar mostra di ortodossia dottrinale decidesse di prendermi di mira per ciò che ho scritto? È accaduto ad altre consorelle. Nel clima attuale, il mio vescovo sarebbe disposto a violare la norma tacita secondo cui i vescovi “non si criticano a vicenda in pubblico” per intervenire a difendermi? Non voglio metterlo in questa situazione.

E questa non è l’unica preoccupazione. Quando un vescovo vuole prendere di mira una singola suora, spesso – e che “sia di esempio per tutte” – fa scrivere da un ufficio vaticano al superiore o al presidente della sua congregazione, operando una pressione sui vertici affinché “facciano qualcosa”. La regola è prima il giudizio, poi la prova; e se le superiore non fanno qualcosa per punire la consorella che si presume sia refrattaria, il Vaticano si muoverà contro di loro. È una forma di punizione collettiva, e la minaccia tiene le religiose nei ranghi in religioso silenzio sui temi controversi, come la visita. E così, con poche notevoli eccezioni, come sr. Joan Chittister e Sandra Schneiders, la massa è stata in silenzio sulla visita, fin da quando è iniziata, nove mesi fa. Le religiose non vogliono dire nulla che scateni l’ira del Vaticano sulla loro superiora.

Il cardinal Levada ha delegato il lavoro di valutazione dottrinale della Lcwr al vescovo Leonard Blair di Toledo, Ohio. Il vescovo Blair sembra un uomo cordiale; ciononostante la sua dissertazione per il dottorato all’Angelicum a Roma era intitolata “Simbolismo maschile e femminile nella Chiesa: una rivalutazione della dimensione mariana/femminile”. Me ne scuso, ma tendo a innervosirmi quando i vescovi cominciano a pontificare sul simbolismo dell’eterno femminino. Blair era anche membro di una commissione episcopale che doveva incontrarsi all’Università di Notre Dame l’anno scorso, ma spostò l’incontro fuori dal campus per protestare contro uno spettacolo dei Monologhi della Vagina. Basti dire che moltissimi vescovi sono uomini buoni e benintenzionati; eppure, raramente si trova un vescovo che comprenda realmente la vita delle donne.

Torn
iamo un po’ indietro e chiediamo: da dove è nato lo slancio per la visita e l’investigazione? Durante una visita a Roma, lo scorso aprile, diverse rappresentanti della Lcwr hanno posto questa domanda al card. Rodé, prefetto della Ciclsal, e sono state informate del fatto che l’iniziativa era partita da membri americani della Curia, da alcuni vescovi Usa e da alcuni membri di comunità religiose. Il card. Rodé ha detto alle rappresentanti Lcwr che erano state espresse “preoccupazioni” su temi che andavano dalle sistemazioni logistiche alla mancanza di nuove vocazioni e alle posizioni pubbliche che alcune religiose assumono su temi come l’ordinazione femminile, l’omosessualità e l’aborto.

All’inizio di agosto, il Vaticano ha diffuso l’Instrumentum laboris in 12 pagine che illustravano il processo della visita. Le disposizioni del documento non sono rassicuranti. Per esempio, non è previsto che alcuna rappresentante delle congregazioni americane parli con Rodé; nessuna poi potrà leggere una bozza del rapporto che gli verrà consegnato dalla “visitatrice” incaricata, madre Mary Clare Millea. Quindi, nessuna presidente di congregazione avrà la possibilità di valutare il giudizio contenuto nel rapporto o di mettere in discussione le sue conclusioni, e nemmeno di vedere una lista dei cardinali e dei vescovi americani che hanno raccomandato lo studio all’inizio. Questa segretezza non crea un clima in cui la portata pastorale della Chiesa possa essere efficacemente comunicata; e si sospetta che gli interventi di Roma difficilmente incentiveranno le vocazioni alla vita religiosa femminile.

Ci sono altre preoccupazioni. Essere un istituto pontificio e non una congregazione diocesana, dà il vantaggio di poter autogovernarsi, cosa che protegge le religiose dall’intrusione del vescovo locale nella loro vita e gestione interna. O almeno, si suppone che sia così. Malauguratamente, l’iniziativa della visita richiede la disponibilità da parte dei membri dei team della visita di fare una professione pubblica di fede e di fare un giuramento di fedeltà alla Sede apostolica. Il decreto della visita chiede al visitatore apostolico di “cercare informazioni dai vescovi diocesani” dove si trovano le “case generalizie, le case provinciali, e i centri di formazione iniziale” delle suore. Ciò rafforza il sospetto che alcuni vescovi diocesani, nel tentativo di recuperare l’autorità morale perduta negli scandali degli abusi sessuali, vogliano affermare l’autorità personale e giurisdizionale sulle religiose. Alcune comunità femminili, ad essere onesti, sono anche preoccupate dell’eventualità che i vescovi possano volere appropriarsi delle loro proprietà.

Lo spirito inquisitorio soggiacente a questa iniziativa contrasta con quello assunto da papa Giovanni Paolo II all’inizio degli anni ’80, documentato in Vita religiosa nella Chiesa statunitense: il nuovo dialogo“ (1984). Allora, il papa chiese ai vescovi di cooperare ad un processo che mirava a rafforzare e incoraggiare la vita religiosa femminile. Lo scopo era di ampliare il dialogo tra religiose Usa e vescovi, e tra membri delle comunità religiose e Chiesa nel suo insieme. Era uno sforzo credibile tendente a creare un senso più grande di comunione nella Chiesa, che ruotava intorno al ruolo delle donne e degli uomini professi. Era un’epoca in cui molte religiose partecipavano a discussioni intercongregazionali nel tentativo sincero di raggiungere i loro vescovi e la Chiesa nel suo insieme; in quel contesto l’invito al dialogo di Giovanni Paolo II fu percepito e accolto con gratitudine e candore. Oggi, l’interesse del Vaticano per le religiose americane dà – al massimo – la sensazione di un esame. Qualsiasi invito pastorale al dialogo nell’attuale visita è stato ampiamente compromesso dalla contemporanea investigazione di Levada sull’ortodossia dottrinale della Lcwr.

Il fatto è che, dai primi anni ’80, il Vaticano non sembra interessato ad ascoltare ciò che le religiose stesse pensano della qualità della vita nelle loro comunità. Questa mancanza di interesse lascia perplessi e sconcerta. Queste donne sono parte di congregazioni che hanno insegnato nelle scuole cattoliche e nei licei, nelle accademie e nei college. Sono le suore impegnate in ospedali e che ancora sostengono sistemi sanitari in tutti gli Stati Uniti; che hanno messo insieme milioni di dollari nell’impegno ad assistere i senzatetto; che hanno formato coalizioni nazionali, in partnership con il governo locale e nazionale, per fornire e gestire progetti di alloggio a basso costo.

Sono le religiose che per anni hanno chiesto ai laici – pregato è la parola esatta – di contribuire al Fondo pensione per le suore, un tentativo nazionale di sostenere i fondi pensione inadeguati delle comunità religiose. Questo sforzo è necessario perché le suore sono state tristemente sottopagate dalle parrocchie e dalle diocesi, e non hanno ricevuto la pensione come insegnanti nelle scuole cattoliche; il loro alloggiamento sovvenzionato è evaporato decenni fa, quando i pastori trovarono usi alternativi per i conventi. I cattolici spesso credono che “la Chiesa si prenda cura” delle religiose. Devo ricordare alla gente che non c’è alcun assegno nella posta da parte del Vaticano o dei vescovi locali. Le residenze e le cure mediche per i preti in pensione sono a carico delle diocesi. Le comunità religiose femminili stanno per conto loro. Le suore che hanno servito in diocesi devono provvedere da sé alla pensione e all’assistenza sanitaria.

Invece di tendere una mano, Roma evidentemente vuole riverificare l’ortodossia delle suore americane. Non è la fedeltà di una vita alla Chiesa ad interessare, ma la conformità alle attuali formulazioni della dottrina, su cui peraltro non è ancora stato raggiunto un consenso tra teologi e vescovi. Perché chiedere questa uniformità di pensiero alla Lcwr, che non è un’organizzazione teologica? Perché Roma chiede alle religiose l’osservanza di insegnamenti ecclesiali che onestamente lasciano perplessi molti cattolici?

Pare che si pensi che, mettendo da parte i nostri abiti e vivendo fuori dai conventi, in qualche modo abbiamo abbandonato il nostro carisma. Posso dirvi che questo modo di vedere le religiose non è altro che una caricatura. Ammiro le innovazioni pratiche della mia comunità che ha raccolto l’appello del Concilio ad adattare il ministero e la vita comunitaria alle esigenze dei nostri tempi, a rinnovare la nostra vita spirituale e a seguire Cristo riscoprendo il carisma del nostro fondatore. Da quando sono entrata nella vita religiosa, la mia comunità ha continuato a servire la Chiesa nei nostri ministeri tradizionali, incoraggiando la fioritura di nuove iniziative che, ne sono certa, avrebbero fatto gioire il nostro fondatore.

Alcuni mesi fa, uno stimato vescovo Usa ha sottolineato, ad un incontro di clero e laici, che intendeva la sua ordinazione episcopale come un mandato per portare avanti le riforme del Concilio Vaticano II. Sentiva che c’era stata una marcia indietro rispetto a quegli sforzi e se ne lamentava, affermando che se avesse dovuto scegliere tra portare avanti il suo mandato e esser obbediente a Roma, avrebbe rassegnato le sue dimissioni. Alla luce delle sue parole, ci si chiede se la “qualità della vita” delle religiose sia piuttosto parte di una battaglia tra i vescovi sulla applicazione del Vaticano II. Forse il controllo sullo stile di vita, l’abito, la sfera del lavoro, e la voce pubblica delle religiose dipendono da quale partito vince?

Come Sandra Schneiders ha scritto sul National Catholic Reporter, nei documenti del Vaticano II sono presenti due visioni teologiche di Chiesa e vita religiosa. La dichiarazione del Concilio sul rinnovamento della vita religiosa può essere letto con la lente della Lumen gentium (Chiesa come istituzione, fortezza, e testimonianza ad un mondo senza Dio) o attraverso la Gaudium et spes (Chiesa come popolo di Dio, Chiesa pellegrina che unisce i cr
edenti nel ministero della consolazione dalla sofferenza e della promozione del Regno di Dio). La tensione tra “abbandono del mondo” e “abbraccio del mondo” crea inevitabilmente conflitti sul modo in cui la vita religiosa professa debba essere organizzata. Ora, Roma sembra propendere per la visione della Lumen gentium, e ciò provoca la necessità di un dialogo teologico in cui le religiose spieghino perché e come hanno lasciato il abito, hanno abbracciato nuovi ministeri, riuscendo allo stesso tempo a conservare una vita spirituale fedele anche quando vivono fuori dalle mura di un convento.

Sono orgogliosa dell’appoggio dato dalla mia comunità alle consorelle che sono tornate a scuola per avere un grado superiore di istruzione e hanno cominciato nuovi tipi di lavoro. Riflettendo l’appello del Concilio, il senso di impegno religioso della Lcwr è conformato al dialogo con il mondo e i suoi sistemi politici. Per quasi tre decenni, le risoluzioni pubbliche dell’organizzazione sono state il riflesso dell’attenzione ai temi affrontati dai vescovi Usa: accesso universale al sistema sanitario e giustizia economica per tutti; protezione dei rifugiati e degli immigrati; opposizione alla guerra, alla pena di morte, all’apartheid; promozione dei diritti umani delle donne; revoca del debito per i Paesi poveri e attenzione per l’ambiente. Per le comunità che appartengono alla Lcwr, i voti comprendono l’assunzione di una posizione pubblica su temi sociali e pubblici. (…)

Forse esiste un problema basilare di comunicazione. Forse il linguaggio personale e interpretativo che le religiose usano tra loro non è sufficientemente “vaticanese”. La visione teologica delle donne è evoluta in modi che i vescovi possono non capire, figuriamoci accettare. Quando sono entrata nella vita religiosa, dopo il Vaticano II, era quasi dato per scontato nella formazione delle religiose che il linguaggio tradizionale e le categorie della teologia, del misticismo e della spiritualità non fossero adeguate ad esprimere e a rendere conto dello sviluppo all’interno della vita religiosa. Tradizionalmente, certo, le religiose si sono descritte come “spose di Cristo”. Oggi, però, grazie a ciò che abbiamo imparato dallo studio moderno delle Scritture e dal lavoro delle femministe cristiane sul ruolo della donna nella Chiesa delle origini, le religiose hanno cercato di rivendicare i loro ruoli storici accanto ai “dodici” come discepole di Gesù, leader di comunità, e missionarie. Siamo state introdotte ai fondamenti della vita religiosa: l’unione con Dio nella preghiera, l’identità con la Chiesa, la Scrittura, i voti, la missione e l’apostolato, la vita comunitaria. Ma abbiamo anche letto sociologia, psicologia e letteratura. Accanto ai nostri documenti del Vaticano II e alla Bibbia di Gerusalemme, abbiamo letto Jung, romanzi storici, e poesia. Ai nostri ritiri abbiamo letto i Salmi, ma abbiamo anche visto film meditativi sulla natura. C’è stato un grande sforzo di integrare la nostra vita spirituale con quella “reale”. Siamo arrivate a identificarci con Maria, che Gesù stesso ha chiamato “donna” nel Vangelo di Giovanni, e con Maria Maddalena, prima testimone della Resurrezione; o con una delle donne guarite nel Vangelo che esce e racconta agli altri l’esperienza che le ha cambiato la vita, e induce gli altri ad andare anch’essi da Gesù. È stato un processo che è servito a me e a molte altre, rendendo le donne in grado di creare un corpo intero di racconti su di sé, di riflessione e di analisi teologica.

Ha anche accelerato una crescente diffidenza tra suore e episcopato? La diffidenza è presente da molto tempo. Alla fine degli anni ’60, dopo che l’arcivescovo di Los Angeles James McIntyre ordinò alle suore del Cuore Immacolato di Maria di riprendere i loro abiti e le loro o di andarsene dalla diocesi, la Lcwr ha cercato di affrontare temi relativi all’uguaglianza ministeriale delle donne. Più tardi, nel 1976, è venuta la Inter insigniores, il rifiuto “definitivo” della Congregazione per la Dottrina della Fede della possibilità di ordinare le donne. Ha chiuso qualsiasi discussione formale sull’uguaglianza delle donne nella Chiesa. Per molte religiose, l’attenzione è passata allora a questioni di giustizia sociale.

Da allora, Roma si è occupata di erigere barricate dottrinali e nel processo è sembrata intenta a relegare il femminismo nell’oscurità. Sotto Giovanni Paolo II il Vaticano si è innamorato di una lettura della Scrittura e della tradizione che faceva appello ad ogni donna a sentirsi spiritualmente “sposa”. Trovo questo in contraddizione con la presentazione della donna nella Scrittura, e vorrei sottolineare che Gesù non ha mai usato né l’essere sposa né il matrimonio come modello di discepolato. Al contrario. Questa antropologia riduzionista, inoltre, è diventata così arcana e lontana dalla vita reale che molto di ciò che è scritto riguardo al modo in cui la Chiesa intende il simbolismo sessuale ha assunto un carattere autenticamente gnostico. Davvero vogliamo limitare le nostre nozioni sulla natura essenziale e sull’incarnazione a poco più che la funzione fisica di padre e madre e alla relazione sociale di sposo e sposa, marito e moglie? Di continuo negli ultimi anni questo sembra essere il mantra di Roma. Particolarmente offensiva è stata la lettera del 2004 ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione di donne e uomini nella Chiesa e nel mondo diffusa dal card. Joseph Ratzinger, che riduceva la teologia femminista a qualcosa di contrario al bene comune della Chiesa, della famiglia, della società e, come risultato logico di quest’analisi, si esprimeva contro l’ordinazione delle donne. Secondo me, la sua lettera esprimeva una grande ostilità verso ciò che le donne hanno tentato di dire di se stesse negli ultimi quarant’anni. Certo non incoraggiava il dialogo.

Ciò che io oggi avverto è che il Vaticano non cambierà il modo in cui pensa teologicamente a che cosa è una donna; né prenderà in considerazione di aprire spazi di reale autorità ecclesiale alle donne. Semplicemente, non c’è modo di eludere il fatto che nella Chiesa cattolica sono gli uomini a dire alle donne come devono comprendere se stesse come donne. Roma vuole che le religiose accettino questa comprensione non solo senza dissentire, ma anche senza commentare. Il Vaticano non vuole teologhe o bibliste che ragionino con la propria testa, e a quanto sembra non le leggeranno o non le citeranno a meno che le donne non scimmiottino la voce e le posizioni del Vaticano, cioè degli uomini. Ma noi non siamo “uomini” né “umanità”. Siamo persone con cervello e cuore e voci, che hanno vissuto vite di integrità e fedeltà, e che restano leali verso questa Chiesa, anche quando questa ci tratta come cittadine di seconda e ci costringe a implorare un sostegno finanziario per la vecchiaia. (…).

Si chiedono davvero perché continuiamo a diminuire? Potrebbero fare un esame delle loro azioni. La visita e l’investigazione continuano; la valutazione dottrinale scoverà le nostre chiazze di eterodossia. Sulla tomba di una consorella anziana mi sono ricordata, come se fosse ieri, una domanda che innocentemente mi rivolse anni fa in un incontro di gruppo. “Abbiamo diritti, noi?”, si chiedeva. “E quali sono?”. Erano buone domande allora, e le consorelle americane devono porle ora. (…)