Crocifisso: quello che gli evangelici non sono riusciti a dire

di Paolo Naso
da NEV-notizie evangeliche 45/09

Personalmente non vedo nulla di male che talvolta, e su alcuni temi, alcuni credenti ed alcuni atei si ritrovino a dire la stessa cosa

Un coro pressoché unanime di scandalo e sconcerto ha accolto la sentenza della Corte europea per i diritti umani di Strasburgo secondo cui l’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica costituisce “una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”.

Che la sentenza avrebbe fatto discutere era nell’ordine delle cose: quello che stupisce e preoccupa, però, sono stati i toni esasperati e radicalizzati che hanno impedito a chi invece ha apprezzato la sentenza di spiegare le ragioni e il senso della sua opinione. Con un linguaggio molto vigoroso e diretto le gerarchie cattoliche hanno invocato una “reazione generalizzata” (cardinale Bertone) ad una sentenza “surreale” figlia della cultura “laicista” dilagante in Europa (cardinale Bagnasco); sino all’appello diretto ai “credenti” a “non dormire e ad alzare la voce” lanciato da un personalità solitamente moderata come il cardinale Kasper.

In questa occasione, insomma, le gerarchie cattoliche hanno rinunciato ai loro toni classicamente felpati per adottare il linguaggio popolare ed estremo di certa cultura politica che in generale criticano.

Quanto ai politici il quadro è ancora più preoccupante perché sarebbe a loro – a tutti loro, sia di quelli schierati a destra che di quelli schierati a sinistra – che corre l’obbligo di rispettare le istituzioni nazionali ed europee e di promuovere una coscienza civica attenta al principio di laicità ed ai diritti inderogabili delle minoranze. Attesa delusa: con qualche prevedibile eccezione dal PD del neoeletto Bersani alla Nuova Destra dell’ex governatore del Lazio Storace è stato un unico peana celebrativo del crocifisso come simbolo dell’unità nazionale, delle italiche tradizioni e quindi – paradossalmente – del valore della mitezza e del dono di sé.

Prudenti anche gli ebrei (“Da un punto di vista teorico ritengo che gli edifici pubblici come casa di tutti non debbano avere simboli di una fede specifica; tuttavia mi rendo conto che l’applicazione rigorosa di questo principio in Italia potrebbe offendere sensibilità e storie radicate” ha affermato il rabbino capo di Roma, Di Segni) e molto perplessi i musulmani preoccupati di trovarsi impelagati in una “guerra al crocefisso”. Dal Parlamento europeo, in evidente imbarazzo, giunge oggi la proposta di aggiungere altri simboli al crocifisso: suggestione creativa ma più tesa a legittimare il crocifisso senza troppi clamori che ad aggiungere la mezzaluna o menorah sulle pareti scolastiche.

Gli evangelici si sono così ritrovati pressoché soli ad apprezzare la sentenza, non di rado accomunati e intenzionalmente confusi con gli atei, i razionalisti, i relativisti, insomma con quanti attenterebbero all’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa.

Personalmente non vedo nulla di male che talvolta, e su alcuni temi, alcuni credenti ed alcuni atei si ritrovino a dire la stessa cosa: fondamentali principi costituzionali e importanti battaglie per i diritti civili si sono affermati proprio grazie all’incontro tra culture diverse. Ma questa volta gli evangelici – più uniti e univoci che su altri temi – hanno cercato di dire qualcosa di diverso proprio a partire dalla loro fede. Sostanzialmente hanno provato ad affermare tre idee.

La prima: la croce di Cristo è un simbolo fondamentale della fede cristiana e non è una bandiera dell’identità occidentale, della democrazia o dell’Unione europea. Da cristiani, in altre parole, hanno affermato che il posto naturale della croce è nelle nostre coscienze e non sulle pareti delle aule; ridurla a simbolo di una religione civile, oltre che paradossale, annulla e ridicolizza il suo significato teologico.

La seconda: come cittadini hanno ribadito che gli spazi pubblici siano appunto “pubblici”, che cioè debbano esprimere l’idea di una comunità civile che non discrimina e non esclude sulla base dell’appartenenza etnica, del genere o della religione.

La terza: come cittadini e come credenti hanno rivendicato il valore del pluralismo di diverse tradizioni culturali e spirituali che hanno tutte il diritto di esprimersi nello spazio pubblico. Non sono cristiani delle catacombe e anche loro vogliono, invece, “gridare dai tetti” la Verità di cui sono testimoni. Ma proprio perché amano la libertà sanno di dover rispettare e tutelare anche quella degli altri. Non è relativismo, è coscienza del valore e della ricchezza del pluralismo proprio di ogni democrazia.

Questo è quello che hanno cercato di dire. E che evidentemente non sono riusciti a comunicare.