Le (im)pari opportunità in Italia

di Irene Buscemi
da http://www.aprileonline.info/

In parlamento si vota a favore delle pregiudiziali di incostituzionalità del disegno di legge contro l’omofobia, ma non contro quelle dello scudo fiscale. Si bocciano le aggravanti per i reati connessi alla discriminazione sessuale, ma un mese dopo si dà il via a una campagna pubblicitaria contro i pregiudizi sui gay. Questo è il paese al 72° posto per le pari opportunità

Il Ministro Mara Carfagna l’aveva detto fin dall’inizio, dalla prima conferenza stampa, dopo la vittoria elettorale del 2008, la concezione delle pari opportunità di questo governo sarà diversa dalla precedente legislatura. Sarà la donna al centro dell’attenzione. Il trattamento paritario che gli omosessuali vorrebbero riconosciuto “non importa”, è secondario. Lasciamo stare le diverse gaffe del Ministro showgirl, evidentemente imbarazzata nel maneggiare qualcosa che lei non concepisce.

“Roma capitale della cristianità”.. a si? pensavamo della Repubblica. Le coppie che vanno riconosciute sono solo quelle che procreano. Chissà quale sussulto avrà colto le coppie eterosessuali, impossibilitate a fare figli. “Le pari opportunità sono qualcosa di più” -giusto Ministro?- “di quanto in passato ci si sia occupati. Troppo spesso il Ministero della Pari Opportunità è rimasto incastrato nelle definizioni di genere o nel dibattito relativo alle differenze di orientamento sessuale”.

Il Ministro vuole superare le contrapposizioni ideologiche e sterili sessantottine, dedicandosi a problemi sentiti prioritari, come la sicurezza, la tutela delle donne e dei minori. Viene introdotto il reato di stalking, inesistente nel nostro codice penale. Ci si occupa della mercificazione del corpo della donna, con tutte le incoerenze che vengono segnalate a causa del suo passato un po’ discusso. Inizia la battaglia contro la prostituzione in strada. Multe salate e pene aggravate per chi esercita “la professione” e per gli “utilizzatori finali”.

Ovviamente quelli che ne usufruiscono in pubblico, in privato vige la libera scelta. Misure contro le violenze sessuali, garanzie per l’infanzia e l’adolescenza, pene aggravate se la vittima di un reato è un minore. Anche la sinistra, in quella brevissima parentesi, voleva introdurre il reato di stalking, però voleva elaborare un disegno di legge più ampio che desse garanzie e tutele anche agli omosessuali vittime di discriminazioni e violenze.

Per la Carfagna l’omosessualità «non è più un problema, perlomeno così come ce lo vorrebbero far credere gli organizzatori di queste manifestazioni (si riferisce ai gay pride “demagogici e folkloristici” che non ha voluto patrocinare). Sono sepolti i tempi in cui gli omosessuali venivano dichiarati malati di mente. Oggi l’integrazione nella società esiste. Sono pronta a ricredermi. Ma qualcuno me lo deve dimostrare». La dimostrazione arriva e come. L’escalation di violenze e di pestaggi contro omosessuali a Roma, ne sono un esempio. Scoppiano bombe carta nelle gay street, al Qube, noto locale mondano che organizza serate per gli omosessuali. Alcune coppie vengono pestate a sangue, solo per due bacetti in strada.

E’ necessaria una legge che rinforzi le pene contro l’omofobia dilagante. L’ Udc pone problemi di incostituzionalità, il disegno salta. Allora che fare? Facciamo uno spot, una campagna per far capire che se sei eterosessuale o omosessuale “non importa”. In una situazioni d’emergenza, per esempio, quando vai al pronto soccorso perché stai per crepare, non è importante conoscere le scelte private e i gusti personali del medico che ti cura. Quindi cerca di attuare questa filosofia giornalmente, se no sei tu il diverso.

Messaggio toccante, peccato che, come il Ministro stesso afferma, le pari opportunità sono ben altro. L’Europa lavora da anni attraverso le sue direttive a un diverso concetto di pari opportunità, che elimini l’idea di un ruolo subalterno tra diversi individui nella società. Il Trattato di Lisbona ratificato dai 27 paesi dell’UE, inclusa l’Italia, assembla questa logica. Rafforzare la tutela di tutti gli individui, considerati uguali, senza discriminazione di sesso, razza, etnia, religione.

Si elaborano politiche di gender mainstreaming e azioni specifiche. Significa cercare di eliminare stereotipi nei metodi educativi e nei contesti culturali, tutelare i soggetti contro la violenza, il mobbing e pressioni nei diversi contesti sociali, ma avere in mente per ogni progetto di legge, le discriminazioni che si potrebbero determinare, anche involontariamente. Le misure specifiche invece servono a ridurre le differenze concrete tra i soggetti. Nel contesto lavorativo non significa solo parità salariale, ma accesso al lavoro e possibilità di carriera.

Garanzie di welfare, servizi per entrambi i coniugi, nel caso di maternità o congedi parentali, per responsabilizzare il soggetto maschile nella vita familiare. Uguale partecipazione nei luoghi decisionali, funzioni dirigenziali ben distribuite. Precari e lavoratori a tempo indeterminato che godano delle stesse tutele sanitarie, familiari ed economiche. Una donna singole con bimbo a carico che possa godere di assegni statali, come una famiglia con parti plurigemellari. Stesso diritto alla pensione, di curare i figli, di poter ammalarsi senza perdere il posto. Promuovere e salvaguardare i diritti sociali e civili di tutti, con leggi che impediscano discriminazioni e salvaguardino i soggetti da ogni tipo di violenza. Questo include, anche le aggravanti per i reati a sfondo razzista, sessuale e discriminatorio, ma sono il fanalino di coda di una logica che deve mutare.

Per questo non stupisce la classifica 2009 del World Economic Forum che tra 137 paesi analizzati, posiziona l’Italia al 72° posto. I paesi Scandinavi primeggiano e il paese nostrano, terzultimo in Europa, viene superato dal Paraguay, dal Vietnam, Romania e precede di poco la Tanzania (73). Già, le pari opportunità sono qualcosa di più, significa prima di tutto riconoscere un mondo che cambia.

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Contro l’omofobia? Certo non per gay e lesbiche

di Elena Tebano
da http://www.refo.it/

Alle associazioni glbt gli spot contro l’omofobia della ministra Mara Carfagna sono piaciuti. Il ministero delle Pari opportunità, il 9 novembre scorso, li ha presentati come una grande conquista: è “la prima campagna contro l’omofobia organizzata da un governo in Italia”, ha spiegato orgogliosa la Carfagna, che in passato aveva definito “costituzionalmente sterili” gli omosessuali. Dopo l’affossamento (con voti bipartisan e argomentazioni assurde) del disegno di legge sull’omofobia, questa è la prima risposta concreta del governo alle ripetute aggressioni dei mesi scorsi contro omosessuali e trans. E agli impegni sottoscritti dall’Italia con il trattato di Lisbona. “Un primo segno”, l’ha definito il presidente di Arcigay Aurelio Mancuso.

A me, invece, sembra l’ennesimo segno dell’omofobia dilagante in Italia. Gli spot, infatti, confermano e convalidano la mentalità che dovrebbero combattere. Tanto per cominciare, non hanno neppure il coraggio di nominare l’omosessualità. Nelle immagini i gay, le lesbiche e i trans non esistono. Si vedono, all’inizio, solo un uomo e una donna, che in qualche modo fanno pensare a una coppia etero. La parte migliore della campagna è quella che segue: paragona l’orientamento sessuale ad altre caratteristiche (fisiche) personali: la somiglianza con i genitori, la grandezza dei piedi. Un messaggio giusto: l’omosessualità è una delle varianti naturali della sessualità umana, una caratteristica come altre delle persone.

Eppure anche questo brandello di messaggio posit
ivo è ambiguo: l’omosessualità viene tacciata di irrilevanza e confinata nel privato. È il trito luogo comune (molto di destra) del “non mi importa quello che fate a letto, l’importante è che non me lo facciate vedere”. Trascura il fatto che l’orientamento sessuale diventa rilevante nel momento in cui qualcuno ti discrimina, o ti accoltella, in suo nome. Fa a pugni con decenni di conquiste dell’orgoglio omosessuale. Rinforza il divieto di esistenza sociale per chi è gay, lesbica o trans.

Per capire la distanza di questa posizione dalle battaglie culturali del movimento glbt, basta confrontare questa campagna con quella della Regione Toscana dell’ottobre 2007, realizzata con la consulenza di Alessio De Giorgi (fondatore di gay.it).

Lì lo slogan era “L’orientamento sessuale non è una scelta”. Quel manifesto aveva fatto discutere, dividendo i sostenitori della teoria secondo cui l’orientamento sessuale è innato da quelli (tra cui molte associazioni lesbiche) che vedono la sessualità come una scelta. Ma in ogni caso rivendicava con chiarezza la differenza e la legittimità della condizione omosessuale.

Lo slogan scelto dalla Carfagna recita: “Rifiuta l’omofobia, non essere tu quello diverso”. Sottintende, cioè, che essere diversi è sbagliato. Oltretutto “diverso” è l’epiteto pruriginoso usato per gli omosessuali. Non dice: essere gay, lesbiche e trans va bene. Ma che l’omofobia – un concetto piuttosto remoto per la maggioranza degli italiani – va rifiutata.

La presentazione della campagna sul sito del ministero è ancora peggio: “Capita ancora troppo spesso che gli omosessuali vengano giudicati non in quanto persone capaci come altre di aiutare e di amare il prossimo, ma in base a un aspetto privato: il loro orientamento sessuale. Vittima di questa superficialità discriminatoria non è solo l’omosessuale, è la società intera. Siamo tutti noi. Perché siamo costretti ad assistere ad aggressioni e molestie contro innocenti, gesti che consideriamo estranei alla vita civile”.

Un’infiorata di pregiudizi: si sente il bisogno di riassicurare tutti che le persone glbt possono aiutare e amare gli altri. Perché? È quello il dubbio che fa impugnare i randelli agli omofobi? Si parla dell’affettività come di un aspetto privato. Si riduce la violenza omofobica a “superficialità”. Si dice che va evitata perché le aggressioni non sono belle da vedere. Presupposti tutti molto discutibili, anche a volersi mettere dalla parte del senso comune.In tutto ciò le persone glbt sono sempre vittime senza volto. Anche le immagini dello spot rimandano a questa idea: è ambientato in un’ambulanza, fa pensare a qualcuno che è vulnerabile o ferito. E nessuno dei protagonisti è identificabile come gay, lesbica, trans. Non c’è orgoglio, non c’è neppure il diritto di esserci.

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Gli errori comunicativi dello spot governativo contro l’omofobia

di Gatto Nero
da http://www.gaycampitalia.org/

Mi esimo dal dare valutazioni sull’operato del Governo nei confronti degli omosessuali. Quello che mi preme fare, piuttosto, è analizzare questo spot dal punto di vista comunicativo e spiegare perché questo video è assolutamente deleterio e inadatto per la causa in favore del quale è stato realizzato. Ne parlo in questa sede, e non sul mio blog personale, proprio perché la comunicazione del rispetto per le diversità è – per quanto mi riguarda – uno degli aspetti più importanti fra quelli che saranno trattati all’interno del GayCamp della prossima primavera. Ma torniamo allo spot.

Come dicevo, questo spot è mal concepito. Per tutta una serie di ragioni, che vanno a intrecciarsi fra loro in un pericoloso effetto domino…

L’ambientazione – La prima cosa che viene da pensare, guardando il video, è: “Che lugubre!”. L’ambulanza, la notte, il suono della sirena all’inizio dello spot; i corridoi (vuoti) dell’ospedale e il rumore della barella, poi; e, per finire, la sala operatoria: buia, buissima. Tutto dà una sensazione di urgenza, di claustrofobia, di mancanza di alternative.

Gli attori – Ci sono due gruppi distinti di personaggi in questo spot: i potenziali omofobi (la ragazza malata e il suo partner, a cui potrebbe o non potrebbe “importare” la sessualità di chi la cura) e i potenziali omosessuali. Il casting, in questo caso, mi pare quanto meno bizzarro: i primi sono di bell’aspetto, sia il ragazzo (di cui si coglie solo il profilo) che – soprattutto – la ragazza che ha un bel viso solare, sereno, “luminoso”; i secondi, invece, sono cupi, nervosi, tesi. In un’escalation: se l’autista ha ancora dei bei lineamenti, pur nella tensione del ruolo, i personaggi successivi diventano più maturi d’età e dai lineamenti più complessi e duri. A questo aspetto si unisce la prossemica: l’infermiera si gira e indossa i guanti; il dottore si gira e fa altrettanto. L’impressione generale, anziché di fiducia, è paradossale: sembrano minacciosi.

Le immagini – Una cosa balza subito all’occhio: l’omosessualità non viene mai mostrata. È una scelta coerente col messaggio complessivo dello spot, ovvio, che ruota attorno al concetto di “dubbio”. Ma in uno spot che vuole lottare contro l’omofobia si rischia l’incoerenza, trasmettendo indirettamente un messaggio pericoloso: l’omosessualità è qualcosa da nascondere.

Il messaggio che si vuole trasmettere – Che, per inciso, è diverso dal messaggio che lo spettatore percepisce: “Non importa che una persona sia omosessuale o eterosessuale”. Che è diverso dal dire “È sbagliato discriminare gli omosessuali”. Non c’è un giudizio etico che condanni l’omofobia, in questo spot: viene detto, semplicemente, che non importa / è superfluo conoscere la sessualità di una persona quando usufruisci delle sue capacità o funzioni. È un messaggio che si ricollega all’ambientazione ospedaliera, all’urgenza.

Le parole utilizzate per trasmettere il messaggio – La scelta delle parole pronunciate all’interno dello spot è, allo stesso modo degli altri elementi finora analizzati, quanto meno superficiale. Del “Non importa”, e della sua mancanza di valutazioni etiche positive/negative, abbiamo già parlato. Lo stesso slogan, “Nella vita certe differenze non possono contare”, soffre dello stesso bias.

Aggiungendo un altro aspetto, quello del buon viso a cattivo gioco: “nella vita” certe differenze non contano, “puoi anche non pensarla così ma non ti conviene”; ricorda, come frase, quelle massime disincantate dei vecchi del paese, che consigliano di abbandonare i bei sogni dell’infanzia perché “nella vita non funziona così”. Paradossalmente, di nuovo, sembra che si strizzi l’occhio all’omofobo: hai ragione, per carità, ma nella vita non puoi permetterti di rendere esplicite le tue idee. Un significato rinforzato dalla ripetizione ossessiva della frase “Ti interessa”, durante lo spot.

L’errore più grosso, nella scelta delle parole, viene fatto proprio nello slogan: “Rifiuta l’omofobia, non essere tu quello diverso”. Il tentativo del pubblicitario è quello di prendere un concetto tipico dell’omofobia (”il diverso”) e rivoltarlo usandolo contro l’omofobo. Tentativo non riuscito, perché – e qui si sfiora l’assurdo, usando la frase “non essere tu quello diverso” si conferma la diversità dell’altro. Non essere TU quello diverso. TU sei quello NORMALE. Anziché neutralizzare il messaggio della diversità, lo si è rafforzato.

Ricapitolando, quindi, il messaggio percepito dallo spettatore è destabilizzante: gli omosessuali sono persone cupe, minacciose, diverse, “sbagliate” (e in maniera obliqua anche “cattive”), ma ci servono. E quando ci servono non importa che
siano omosessuali, l’importante è che facciano bene il loro lavoro.

Essere omofobi non è sbagliato – l’omofobia non viene mostrata né condannata – ma può andare contro il nostro interesse. Una dottrina molto simile a quella dell’esercito americano, in vigore fino a pochissimo tempo fa (e ancora non sradicata), del “don’t ask, don’t tell”. Fai quello che vuoi con la tua sessualità, ma non farlo sapere in giro. Ma questo messaggio, veicolato da questo spot antiomofobia, non è forse esso stesso omofobo?

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Spot anti-omofobia: la sanità italiana ci fa un figurone!

di Enza Panebianco
da http://femminismo-a-sud.noblogs.org

Che dire, un po’ l’avevamo previsto. God save the Carfagna, avevamo detto. Qui c’è una critica diplomatica. Per ciò che ci riguarda: non è un uccello che si schianta sulla finestra, come avevamo immaginato, ma è comunque una dimensione claustrofobica con un personaggio in fin di vita che viene trasportat@ d’urgenza in ospedale. Abbiamo solo sbagliato categoria animale ma l’aria da tragedia resta tutta. Il prossimo spot in stile via crucis su cosa lo farà? L’estinzione delle foche sarebbe un buon argomento?

Senza voler infierire, davvero, dopo la corsa in autoambulanza, il trasporto barella e l’ingresso in sala operatoria, la scena successiva sembrerebbe essere quella dell’obitorio: di un cadavere o di un becchino, ti interessa sapere se è omo, etero o non ti interessa?

La stessa cosa si potrebbe dire di un affittuario, un acquirente alla bottega dei salumi, un insegnante, un qualunque componente pagante o di utilità collettiva per la società. Invece la scelta è stata da spararsi sulle falangi per non scrivere quello che sto scrivendo.

Il dramma, nel dramma, del dramma. E poi la fine. Che tristezza. Ma perchè si riesce a parlare di “omosessuali” senza chiamarli gay, lesbiche o trans, solo in relazione ad una emergenza?

Cioè: l’italiano medio dovrebbe smettere di essere omofobo per non fare incazzare il medico che lo opererà o era solo un modo per dire “attenti, cazzoni, che quei pervertiti sono tra noi. Meglio che fate i bravi, che potreste trovarvi sotto i loro ferri e potreste pentirvene.”?

Perchè non immaginare una situazione positiva, un insegnante che aiuta un bambino a crescere con più intelligenza e senza pregiudizi, per esempio. O abbiamo deciso che i gay dovranno essere tutti impiegati tra croce rossa e protezione civile? Sarebbero perfetti anche sotto le bombe, non vi pare? Un bel modo per espiare l’imperfezione sarebbe quello di beccarsi tutti i carichi umani che la società non sa affrontare, non credete? Alle negre facciamo fare le badanti e ai froci gli infermieri, i portantini e volendo, ma proprio volendo, i medici in prima linea.

E poi: perchè la persona che dovrebbe rappresentare l’essere diffidente e tendenzialmente omofob@ è una donna? Perchè non è un naziskin con la svastica al braccio che si è schiantato in motorino e si ritroverà a farsi fare la respirazione bocca a bocca da un medico gay?

Perchè è una donna? Qualcun@ ci spiega il perchè? Da quale mente fascio-futurista-creativa è venuta fuori l’idea che l’omofobia, come tutto ciò che è negativo al mondo, risieda in una donna?

Terza domanda: Come ha fatto il ministero per le im-pari opportunità a spendere 2 milioni di euro per questa cagata pazzesca?

Ps: considerando l’inefficienza delle nostre strutture sanitarie, il delirio per gli errori volontari di comunicazione per la nuova influenza, si potrebbe dire che il video rappresenta la sanità di un’altra nazione?