Proposta indecente

L’ACCOGLIENZA DEL VATICANO AGLI ANGLICANI TRADIZIONALISTI: UNO “SCANDALO TEOLOGICO”

di Ludovica Eugenio
da Adista Documenti n. 118/09

Si intitola, significativamente, “Il seducente invito del Vaticano agli anglicani: uno scandalo teologico” il pungente intervento della teologa statunitense Mary E. Hunt, cofondatrice e condirettrice della Women’s Alliance for Theology, Ethics and Ritual (Water) a Silver Spring, nel Maryland. In riferimento alla recente iniziativa di Roma, che ha deciso di accogliere in piena comunione gli anglicani conservatori che non intendono seguire la loro Chiesa sul cammino dell’inclusione delle donne e dei gay nel clero, la Hunt denuncia “la nuova strategia del Vaticano” grazie alla quale gli anglicani più tradizionalisti saranno “i benvenuti per discriminare in nome di Dio”.

Il testo della Hunt è stato pubblicato qualche giorno prima della Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, del 4 novembre, che sancisce e disciplina l’ingresso degli anglicani “dissidenti” nella Chiesa cattolica tramite l’istituzione di Ordinariati personali. Il testo, firmato da Benedetto XVI e integrato da “Norme complementari” che portano la firma del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. William Levada, e del segretario, mons. Luis. F. Ladaria, mette l’accento sul fatto che “ogni divisione fra i battezzati in Gesù Cristo è una ferita a ciò che la Chiesa è e a ciò per cui la Chiesa esiste” e ribadisce che “l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, ‘sussiste nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro, e dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica’”.

Dal punto di vista canonico, gli Ordinariati personali per gli anglicani passati alla Chiesa cattolica – che godono ipso iure di personalità giuridica pubblica e sono giuridicamente assimilati ad una diocesi – vengono eretti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, da cui dipendono, “all’interno dei confini territoriali di una determinata Conferenza Episcopale, dopo aver consultato la Conferenza stessa”.

I membri dell’Ordinariato dovranno professare la fede cattolica così come è espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma, quanto alla liturgia, “l’Ordinariato – si legge nel documento vaticano – ha la facoltà di celebrare l’Eucaristia e gli altri sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, in modo da mantenere vive all’interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere”.

Quanto ad uno degli aspetti più controversi della questione, ossia quello del clero sposato, non c’è nessuna novità: la Costituzione afferma che “coloro che hanno esercitato il ministero di diaconi, presbiteri o vescovi anglicani, che rispondono ai requisiti stabiliti dal diritto canonico e non sono impediti da irregolarità o altri impedimenti, possono essere accettati dall’Ordinario come candidati ai Sacri Ordini nella Chiesa Cattolica”; per i ministri sposati “devono essere osservate le norme dell’Enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 42 (“potrà essere consentito lo studio delle particolari condizioni di ministri sacri coniugati”, ndr) e della Dichiarazione In June” (secondo cui i ministri non coniugati debbono sottostare alla norma del celibato clericale).

L’Ordinario, dunque, pro regula ammetterà al sacerdozio solo uomini celibi, mentre potrà “rivolgere petizione al Romano Pontefice, in deroga al can. 277, § 1, di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede”. Nelle Norme complementari è specificato, peraltro, che “coloro che erano stati ordinati nella Chiesa Cattolica e in seguito hanno aderito alla Comunione Anglicana, non possono essere ammessi all’esercizio del ministero sacro nell’Ordinariato” e che “i chierici anglicani che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari non possono essere ammessi agli Ordini Sacri nell’Ordinariato”.

Un Vescovo già anglicano e coniugato, invece, può essere nominato Ordinario. In tal caso sarà sottoposto all’ordinazione sacerdotale nella Chiesa cattolica ed eserciterà, nell’Ordinariato, “il ministero pastorale e sacramentale con piena autorità giurisdizionale”. Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo dell’intervento della teologa Mary Hunt, pubblicato il 22 ottobre sul sito Religion Dispatches.

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PROPOSTA INDECENTE
di Mary Hunt

La nuova strategia del Vaticano per attrarre nel suo gregge anglicani conservatori scontenti può aver preso alla sprovvista l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, ma nulla di quello che Roma fa per ampliare la sua quota di mercato può sorprendere i cattolici. Il clero conservatore, indotto a separarsi dalla Comunione Anglicana per la propria opposizione all’ordinazione di donne e di individui Lgbtq (lesbiche, gay bisessuali transgender, queer, ndt), è ora il benvenuto nel suo passaggio al cattolicesimo.

Lasciamo alla storia il compito di ricordare questo scandalo teologico per quello che è. Propagandato da Roma come un passo avanti nelle relazioni ecumeniche con una Comunione-cugina, esso è, di fatto, l’unione di due gruppi uniti dal rifiuto alle donne e agli individui “queer”, considerati indegni della leadership religiosa (il termine “queer” è usato da chi rifiuta con forza le tradizionali identità di genere, respingendo le categorie dell’orientamento sessuale, ndt).

Una futura Costituzione Apostolica definirà i dettagli: gli anglicani contrari all’ordinazione di donne e di persone Lgbtq (come il vescovo Gene Robinson, per esempio) sono in piena comunione con Roma. Perché scomodarsi, allora, con richieste di conversione individuale o scartoffie superflue? Questi anglicani possono persino compiere il passaggio come congregazioni o diocesi intere, se preferiscono. Saranno cattolici, ma, come i cattolici di rito orientale, lo faranno a modo loro. Possono portare i propri incensi e le proprie campane e il proprio Libro di Preghiera Comune, e persino i propri preti e vescovi, che andranno a presiedere gli “Ordinariati Personali”, i quali funzioneranno come diocesi. Venite così come siete, sentitevi i benvenuti per discriminare in nome di Dio.

Roma non cambia neppure di una virgola con l’arrivo degli anglicani dissidenti. Mantiene al suo posto il clero celibatario, mentre accoglie con piacere anglicani sposati. Prevedo più di una piccola costernazione nelle file romane in relazione a ciò. Le attuali politiche permettono che i pastori episcopaliani e luterani sposati saltino lo steccato con la famiglia a rimorchio. Però, agli uomini cattolici romani che desiderano sposarsi, indipendentemente dalle donne cattoliche romane che potrebbero anche essere d’accordo sul celibato, è proibita l’ordinazione sacerdotale. Nessuna autorità cattolica romana sembra capace di dire in modo franco e diretto perché sia così. Borbottano qualcosa sulla tradizione e su certe distinzioni. Ma la retorica si indebolisce progressivamente mentre essi difendono l’indifendibile contro la loro stessa pratica. Questo non è bene.

Roma mantiene la sua liturgia e la sua teologia completamente intatte. L’educazione teologica continua ad essere la stessa, con l’aggiunta di piccoli gruppi di formazione per candidati anglicani al sacerdozio, che possono ap
prezzare il proprio “patrimonio”, ricevendo anche una buona dose di pensiero romano. In nessun modo il Vaticano affronta le questioni che hanno portato alla Riforma Inglese del XVI secolo. Al contrario, Roma intende essere flessibile e moderna rispetto a tutto ciò, graziosa e accomodante come una volpe. Quando inizieranno le lotte per le proprietà, prevedo che le gentilezze lasceranno il posto ad alcune serie dispute, e vedremo quanto Roma non sarà accomodante.

Le confessioni religiose sono, dopotutto, imprese di affari e, in quanto tali, esse prestano attenzione tanto agli utili quanto ai propri insegnamenti. Forse di più ai primi. In questo caso, l’opportunità più facile è data dagli anglicani britannici che ancora non hanno capito come riorganizzarsi alla luce dei cambiamenti della propria denominazione. Il gruppo nordamericano guidato dal rev. Martyn Minns, della Virginia, ha detto di stare molto bene, grazie, e che sta mettendo in piedi le proprie strutture e che quindi non ci sarà bisogno di convertirsi.

Qualcuno può chiedersi quanto tempo essi potranno resistere al fascino di Roma. Si immaginino le opportunità immobiliari, visto che le chiese cattoliche romane statunitensi chiudono e gli anglicani conservatori hanno bisogno di edifici. Si pensi alla brillante soluzione al problema della mancanza di sacerdoti, con i preti anglicani di fedeltà garantita alle norme che sostituiscono i ragazzi romani, quando scompaiono e/o pensano per sé. Si contempli la visione di una messa solenne con una grande quantità di ministri all’altare e di incenso, così abbondante da far persino dimenticare ai parrocchiani che una volta ci fu un Vaticano II. Per i più “cattolici” tra i dissidenti anglicani, è un matrimonio ideale. Ma gli anglicani conservatori più evangelici possono considerarlo il loro peggiore incubo.

Che cosa impedirà che altre confessioni seguano la linea di Roma? E se la Comunione Anglicana, per esempio, creasse un’ala cattolica, in cui i cattolici romani che difendono l’ordinazione delle donne e un clero omosessuale possano essere anglicani di rito cattolico romano? I mennoniti potrebbero creare un rito cattolico per coloro che li seguono sulle questioni della pace, diventando mennoniti cattolici. Ne dubito. È più probabile che Roma decida che qualcuno non abbia nemmeno bisogno di essere cristiano; che la discriminazione contro donne e gay sia un asse comune sufficiente a creare cattolici di rito musulmano, per esempio. Le trasformazioni sono infinite, ma il risultato è lo stesso: una perversione di tutto quello che il movimento ecumenico ha promosso negli ultimi cento anni. I cristiani ecumenici hanno tentato di imparare dalle rispettive tradizioni e di trovare punti positivi di accordo, non piccole sacche di pregiudizio condiviso.

Mi dispiace molto per Rowan Williams se non sapeva chi aveva di fronte quando si è impegnato nelle relazioni bilaterali con Roma, solo per esporsi al suo tradimento. Assediato da tutte le parti all’interno della propria Comunione, egli ora presiede al potenziale esodo di alcuni dei suoi membri che troveranno, nella nuova dispensa, un posto confortevole per vivere le proprie antiquate idee sull’umanità. Spero solo che Williams e gli altri si consolino con il fatto di stare in buona compagnia tra colleghi ecumenici che rispettano le tradizioni gli uni degli altri, comprendono le dinamiche delle dispute interne e resistono alla tentazione di approfittare dei problemi degli altri. Roma, d’altro canto, è più unica che rara, per quanto meschina.