Uno schiaffo ai diritti delle donne

di Ludovica Eugenio
da www.adistaonline.it

Obama ce l’ha fatta: il progetto di riforma sanitaria da lui fortemente voluto è passato alla Camera degli Stati Uniti, ancorché con uno scarto di soli 5 voti (220 a 215): con tutti i repubblicani contro, tranne uno (il deputato Joseph Cao), e 39 democratici scettici che non si sono lasciati convincere dal presidente Usa, ora si dovrà vedere quale sarà l’esito del voto al Senato, dove la maggioranza democratica non è così chiaramente schierata.

Tra i temi più scottanti, quello del finanziamento pubblico dell’aborto: oggi è consentito, a livello federale, soltanto nei casi di stupro, incesto o rischio di morte per la madre. L’approvazione alla Camera dell’emendamento Stupak-Pitts – l’unico votato sul progetto di riforma sanitaria grazie all’appoggio dei democratici antiabortisti e della Chiesa cattolica – conferma nella legge di riforma sanitaria, con i suoi 240 voti a favore e 194 contrari, il divieto di destinare fondi federali all’aborto.

Una vittoria per i vescovi statunitensi che avevano condotto una campagna contro il linguaggio ambiguo utilizzato nel progetto dalla deputata democratica Lois Capps proprio al riguardo del finanziamento pubblico delle interruzioni di gravidanza (i finanziamenti privati avrebbero potuto essere finalizzati all’aborto, quelli federali no) insistendo sul fatto che l’appoggio alla riforma sarebbe stata possibile solo se essa avesse “protetto la vita e la dignità di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale”.

Il deputato cattolico democratico del Michigan Bart Stupak, che ha promosso l’emendamento, aveva chiesto di unirsi su un principio: “Nessun finanziamento pubblico per gli aborti, nessun finanziamento per assicurazioni con cui si pagano gli aborti”. La presidente della Camera, la democratica pro-choice Nancy Pelosi, ha dovuto quindi ammettere alla votazione l’emendamento, suscitando peraltro le ire dei deputati pro-choice, tra i quali il deputato democratico dell’Illinois Jan Schakowsky.

Superato l’ostacolo dell’aborto, i vescovi ora possono appoggiare liberamente la riforma e l’estensione dell’assistenza sanitaria: “Crediamo che la copertura universale debba essere davvero universale e che non debba negare l’assistenza sanitaria a coloro che sono in difficoltà per la loro condizione, età, origine o arrivo negli Stati Uniti”, hanno scritto alla Camera dei Deputati il 6 novembre. “Ripetiamo la nostra tradizione cattolica che insegna che l’assistenza sanitaria è un diritto umano basilare, essenziale alla protezione della vita e della dignità umana”. I vescovi hanno sollecitato l’assistenza anche per gli immigrati clandestini, chiedendo l’eliminazione dei cinque anni necessari agli immigrati regolari per accedere a Medicaid e ad altri programmi sanitari federali.

Variegate, ovviamente, le reazioni nel mondo cattolico Usa. Per Patrick Whelan, presidente dei democratici cattolici, ora bisogna sollecitare i membri cattolici del Congresso “che non hanno appoggiato l’approvazione di questo progetto di legge a seguire l’esempio coraggioso del deputato Joseph Cao, cattolico ed ex seminarista gesuita, e ad appoggiare ora questa legislazione di portata decisiva. Questa riforma rappresenta un progresso nell’aiutare la nostra nazione a realizzare l’imperativo evangelico di rendere la sanità e le terapie accessibili a tutti gli americani”.

“Sistemata la questione dell’aborto – scrive l’ex direttore della rivista America, il gesuita p. Thomas Reese, docente alla Georgetown University –, si spera che ora il Senato focalizzi l’attenzione su altri aspetti della sanità: copertura universale, controllo dei costi, riforma delle assicurazioni”. Molto critico, invece, Frances Kissling, già presidente dell’organismo pro-choice Catholics for a Free choice. In un intervento pubblicato sul sito Religion Dispatches. “Come siamo finiti ad avere un progetto di legge che taglia i diritti all’aborto?”, si chiede.

“Dopo tutto, abbiamo un presidente pro-choice che appoggia il finanziamento pubblico dell’aborto, una maggioranza democratica alla Camera e al Senato, una piattaforma del Partito Democratico che appoggia la scelta e il finanziamento pubblico, sostegno dalle maggiori confessioni ebraiche e cristiane per il capovolgimento dell’emendamento Hyde (approvato nel 1976, nega il finanziamento dell’aborto con la tassazione) e sondaggi nazionali che ci dicono che la maggior parte degli americani – compresi i cattolici – è convinta che l’assicurazione sanitaria debba includere l’aborto”.

Il dito viene puntato contro i vescovi: “Non vi è dubbio – afferma – che la lobby che ha esercitato lo sforzo maggiore” sia stata la Conferenza episcopale statunitense. I loro lobbyisti, infatti, si sono recati al Campidoglio ogni giorno per cercare appoggio all’emendamento Stupak e nelle ore finali hanno usato tutte le risorse possibili inviando un bollettino a 19mila parrocchie in tutto il Paese chiedendo ai fedeli di manifestare, in occasione della messa domenicale, contro il finanziamento federale dell’aborto.

“Il presidente, poi – accusa Kissling -, aggiunge la sua opinione pontificando in toni papali stranamente orgoglioso, assicurandoci che ‘nessun dollaro federale verrà usato per l’aborto’. L’ha fatta sembrare una cosa positiva invece che il deficit morale che è in realtà”. È stato un ko, conclude Kissling. “I vescovi hanno colpito duramente le donne, proprio sul ventre e il colpo di grazia è stato lo schiaffo dei democratici antiabortisti. La violenza contro le donne non deve stupire”: “Nessuno ha avuto la decenza di notare” che l’approvazione del progetto di riforma “è stata ottenuta limitando la libertà riproduttiva delle donne. È una crociata morale andata storta”.