Una recessione temporanea… o la fine della crescita?

di Richard Heinberg
da www.voltairenet.org

Contrariamente alla convinzione dominante che attribuisce la crisi economica attuale ai soli disordini del sistema finanziario, Richard Heinberg, sostiene che essa sia una conseguenza sistemica del picco petrolifero. In questo articolo di fondo, “il papa della decrescita” espone le sue argomentazioni. Noi lo pubblichiamo sulle nostre colonne perché presenta elementi di riflessione indispensabili alla comprensione delle attuali sfide, pur non condividendone la filosofia malthusiana che sottende al suo pensiero. Detto questo, al di là del problema del se abbia interamente torto o ragione, è necessario conoscere e comprendere un pensiero che ormai esercita una influenza considerevole nel mondo anglosassone in generale, e sulle amministrazioni Obama e Brown in particolare.

Tutti concordano su questo fatto: la nostra economia è messa male. I sintomi inevitabili comprendono un declino dei consumi e della fiducia dei consumatori, così come un ribasso degli scambi commerciali mondiali e del credito disponibile. Aggiungete a questo un crollo del valore degli immobili, una carneficina tra le industrie automobilistiche e del trasporto aereo, e così facendo ottenete decisamente un quadro molto cupo.

Ma perché l’economia statunitense e, in una prospettiva più ampia, l’economia mondiale cedono entrambe? Da parte dei media dominanti, dei dirigenti mondiali e degli economisti in capo statunitensi (Timothy Franz Geithner, segretario al Tesoro e Ben Shalom Bernanke, direttore della Federal Reserve), si rileva un’opinione quasi unanime: queste recenti turbamenti si spiegano principalmente con la combinazione di cattivi mutui immobiliari e di una regolamentazione insufficiente dei prodotti derivati della finanza.

Ecco la diagnosi convenzionale. Se fosse corretta, allora il trattamento della nostra malattia economica dovrebbe logicamente includere, da una parte, ingenti somme consacrate al salvataggio di istituzioni finanziarie, banche dei mutui immobiliari e costruttori automobilistici alla deriva; dall’altra parte, una migliore regolamentazione dei prodotti finanziari derivati e dei mercati a termine; infine programmi di rilancio destinati a rinvigorire i consumi.

Ma se questa diagnosi fosse sbagliata? La metafora non necessita certo di spiegazioni: sappiamo bene quali tragedie possono risultare da un’errata valutazione dei sintomi da parte di un medico e dalla sua confusione di più malattie.

Un simile fenomeno si osserva nel caso della nostra affezione economica nazionale e mondiale. Se non comprendiamo perché il metabolismo industriale e finanziario del mondo soffre, è poco probabile che si possa applicare il rimedio giusto, rischiando, alla fine, di aggravare la situazione ben più di quanto sarebbe altrimenti.

Non ne dubitiamo: la diagnosi convenzionale è in parte sicuramente pertinente. La relazione causale tra mutui a rischio e la crisi di Fannie Mae, Freddie Mac e Lehman Brothers è stata largamente analizzata e non se ne fa più mistero. Chiaramente, nel corso degli ultimi anni, le bolle speculative nel settore immobiliare e finanziario, sono state gonfiate a livelli colossali, di modo che una loro esplosione era inevitabile.

Sembra difficile contraddire il punto di vista del primo ministro australiano Kevin Rudd, nel suo pubblico dibattito riportato dal Sydney Morning Herald: “Le radici della crisi affondano nel decennio di eccessi appena trascorso. In questi anni, il mondo ha conosciuto un boom straordinario […] tuttavia, come abbiamo ulteriormente appreso, il boom globale riposava in gran parte […] su un castello di carte. Innanzitutto, in molti paesi occidentali il boom è stato eretto su una montagna di debiti nelle mani di consumatori, imprese e di certi governi. Come spiega il magnate della finanza George Soros: ‘In 25 anni [l’occidente] ha consumato più di quanto abbia prodotto, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. [1]

Però, al fine di cogliere pienamente le origini del crollo economico mondiale in corso, il nostro sguardo può fermarsi qui?

Si può argomentare che i tragici eventi legati all’immobiliare, ai mercati dei prodotti derivati finanziari, all’industria automobilistica e ai trasporti aerei non siano semplicemente essi stessi sintomi di una disfunzione sistemica ancor più profonda che sta a significare la fine della crescita economica come noi l’abbiamo conosciuta.

In breve, propongo una diagnosi alternativa. Questa spiegazione della crisi è sconsigliata agli animi sensibili perché se dovesse risultare cosi, significa che il paziente è ben più gravemente malato di quanto non affermino gli stessi economisti più pessimisti. Ma se fosse corretta, allora ignorarla farebbe incorrere in pericoli ben più seri.

Crescita economica, crisi finanziaria e picco petrolifero

Da alcuni anni, un movimento di commentatori (di cui faccio parte) pronosticava un crash finanziario basandosi sulla constatazione della fissazione imminente di un massimo della produzione petrolifera mondiale.[2] Il nostro ragionamento si articola in questo modo:

Il continuo incremento della popolazione e del consumo non può proseguire indefinitamente in un pianeta limitato. Si tratta di un’osservazione assiomatica sulla quale, chi ha familiarità con la matematica della crescita esponenziale non può che condividere, quand’anche limitasse il suo consenso utilizzando vaghi riferimenti alla “sostituibilità” e ad altre “transizioni demografiche” [3]

Questi limiti assiomatici della crescita implicano che il rapido aumento, tanto della popolazione quanto del consumo per individuo, di cui siamo stati testimoni nel corso degli ultimi due secoli, devono necessariamente finire ad un certo punto. Quand’è possibile che ciò accada?

Lo studio ingiustamente denigrato e intitolato I limiti dello sviluppo, pubblicato originariamente nel 1972 e da allora regolarmente aggiornato, ha cercato di fornire una risposta a questo problema avvalendosi dell’analisi delle risorse disponibili e della loro deplezione, come anche dei vari scenari della futura crescita demografica e dei ritmi di consumo. Il più pessimista degli scenari del 1972 suggeriva una fine della crescita economica mondiale intorno al 2015.[4]

Ora, probabilmente esiste un modo più semplice di pronosticare la fine della crescita.

L’energia è il precursore inevitabile della crescita (ancora una volta, questa affermazione è assiomatica: tanto la fisica che la biologia ci insegnano che senza energia, non si può produrre nulla.) L’espansione industriale dei due ultimi secoli si è sistematicamente basata su un aumento del consumo di energia.[5] Più nello specifico, l’industrializzazione è sempre stata intrinsecamente legata all’accessibilità e al consumo d’energia a buon mercato, dal carbone al petrolio (e più recentemente, il gas naturale). Tuttavia, i combustibili fossili sono per natura risorse soggette a deplezione e non sono rinnovabili. Così (e secondo la tesi del picco petrolifero), l’impossibilita’ a termine di mantenere un approvvigionamento crescente di energia fossile abbordabile condurrà verosimilmente all’arresto della crescita economica in generale, a meno che le risorse di energia alternativa e l’efficacia dell’uso delle risorse possano essere accresciute rapidamente e in proporzioni sufficienti.[6]

Tra i tre combustibili fossili convenzionali, il petrolio e’ senza dubbio economicamente il piu’ vitale, perche’ fornisce il 95% di tutta l’energia utilizzata nei trasporti. Per di piu’, e’ il combustibile che ci dara’ piu’ rapidamente problemi di approvvigionamento, poiche’ le scoperte di giacimenti su scala mondiale diminuiscono da decenni e la maggior parte dei paesi produttori di petrolio sta gia’ conoscendo una abbassamento della produzione.[7]

Così, secondo questa logica, la fine della crescita economica (come la
si definisce convenzionalmente) sara’ inevitabile e il picco del petrolio ne e’ il probabile fattore scatenante.

Perche’ il picco petrolifero portera’ non solo a dei problemi nel settore dei trasporti, ma anche a una crisi economica e finanziaria generale? Nel corso dell’ultimo secolo, la crescita si e’ istituzionalizzata nel cuore stesso nel nostro sistema economico. Tutte le citta’ e le industrie vogliono crescere. Questo fatto e’ comprensibile, non fosse altro che in ragione della natura umana: praticamente tutti cercano un vantaggio competitivo in rapporto a qualcun altro, e la crescita fornisce l’occasione di raggiungerlo.

Ma un motivo legato alla sopravvivenza finanziaria e’ ugualmente all’opera: senza crescita, le imprese e i governi non possono onorare i propri debiti. Inoltre il debito e’ diventato parte integrante del sistema industriale. Nei due decenni passati, il settore dei servizi finanziari si e’ sviluppato più rapidamente di tutti gli altri settori dell’economia, sorpassando anche l’aumento delle spese per la sanita’ e rappresentando un terzo di tutta la crescita registrata dall’economia statunitense. Dal 1990 ad oggi, il rapporto debito/pil e’ passato dal 165% a piu’ del 350%. la salute dell’economia riposa essenzialmente sul debito e il corollario di questo e’ la scommessa secondo la quale i livelli di produzione e di consumo dell’anno successivo dovranno essere piu’ elevati di quelli dell’anno in corso.

Consapevoli che la crescita non puo’ protrarsi su un pianeta limitato, questa scommessa e la sua incarnazione nelle istituzioni finanziarie possono essere qualificate come il piu’ grande “gioco di Ponzi” della storia. Giustifichiamo l’impronta attuale con la credenza irrazionale secondo la quale la crescita perpetua e’ possibile, necessaria e inevitabile. In realta’, abbiamo preso in prestito dalle generazioni future in maniera da poter dilapidare oggi il loro capitale.

Fino a non molto tempo fa, l’argomento del picco petrolifero si articolava intorno ad una previsione: il declino ineluttabile della produzione petrolifera mondiale, quando dovesse sopraggiungere, annienterebbe la crescita. Ma ecco che la previsione diventa diagnosi: nel periodo che va 2005 al 2008, l’energia ha cessato di crescere e il prezzo del petrolio si e’ innalzato fino a livelli record.

Nel mese di luglio 2008, l’andamento del petrolio al barile sfiorava i 150 dollari- dopo l’adeguamento in funzione dell’inflazione, la meta’ del record precedente- e l’economia ha cominciato a vacillare. I settori automobilistici e del trasporto aereo hanno cominciato a tremare; il consumatore riusciva difficilmente a fare il pieno per recarsi al lavoro, dovendo gia pagare le rate dell’appartamento. Le spese dei consumi cominciarono a diminuire. Nel mese di settembre, la crisi economica, divenne così una crisi finanziaria quando le banche si misero a tremare e implodere.[8]

Tenuto conto della sfida, e’ importante pesare le due diagnosi basandosi sui fatti e non su idee preconcette.

Non e’ necessario esaminare gli elementi appoggiando o rifiutando la diagnosi convenzionale, dal momento che la sua validita’ non e’ messa in discussione in quanto intrepretazione parziale degli eventi osservati. La questione e’ piuttosto sapere se costituisce una spiegazione sufficiente e dunque una base adeguata al fine di formulare una risposta efficace.

Quali sono gli elementi che pesano in favore dell’alternativa? Mi pare pertinente cominciare da un recente articolo dell’economista James Hamilton dell’Universita’ della California, San Diego, intitolato Causes and Consequences of the Oil Shock of 2007-2008 (“Cause e conseguenze dello choc petrolifero del 2007-2008”) che parla dell’andamento petrolifero e del suo impatto economico con chiarezza, logica e cifre alla mano, spiegando come il crash economico sia legato allo choc petrolifero del 2008. [9].

Hamilton comincia col citare studi precedenti, mostrando una netta correlazione tra i picchi toccati dall’andamento del petrolio e le recessioni. Sulla base di questa correlazione, ogni economista attento avrebbe dovuto pronosticare una grave recessione per il 2008. “Effettivamente”, scrive Hamilton, “questa relazione potrebbe spiegare la totalita’ del crollo del 2007-2008[…] se qualcuno avesse potuto sapere in anticipo come si sarebbe evoluto l’andamento petrolifero nel 2007-2008, utilizzando la relazione storicamente apprezzata [tra la caduta dell’andamento e il suo impatto economico] […] avrebbe potuto predire il livello reale del PIL, tanto per il terzo trimestre 2008 che per il quarto, in modo piuttosto preciso.”

Ancora una volta, non si tratta d’ignorare il ruolo giocato dal settore finanziario ed immobiliare nel malessere economico globale. Ma secondo la diagnosi alternativa, il crollo dei mercati degli immobili e dei prodotti finanziari derivati e’ percepito come amplificazione di un segnale derivante all’origine del fallimento dall’aumento del flusso di risorse in via di esaurimento: Hamilton prosegue cosi’: “e’ quanto meno chiaro che qualcosa d’altro rispetto al settore immobiliare si sia deteriorato per portare alla trasformazione di una lenta crescita in una recessione. A mio avviso, questa comprende la caduta delle vendite d’automobili, un rallentamento generale dei consumi ed un deterioramento della fiducia del consumatore, al quale lo choc petrolifero e’ un fattore che ha innegabilmente contribuito.”

Inoltre Hamilton sottolinea l’esistenza di un “effetto di interazione tra lo choc petrolifero e i problemi nel settore immobiliare”.Questo vuol dire che, in molte zone urbane, i prezzi degli appartamenti nel 2007 proseguivano la loro crescita negli agglomerati piu’ vicini ai centri urbani, ma stavano gia’ crollando in quelli che necessitano di lunghi tragitti.[10]

Perche’ l’andamento del petrolio ha raggiunto l’apice?

Coloro che aderiscono alla diagnosi convenzionale circa l’affondamento economico in corso sarebbero forse d’accordo sul fatto che ci sia stato, in certa misura, un legame causale tra l’aumento dell’andamento petrolifero e la recessione, rifiutando pero’ il fatto che la crescita del prezzo al barile sia legata, per un verso o per l’altro ai limiti in termini di risorse, perche’ -affermano- era soprattutto imputabile alla speculazione sui mercati petroliferi a termine e non avrebbe molto a che vedere con i fondamentali della domanda e dell’offerta.

A questo proposito, la diagnosi convenzionale e’, ancora una volta, in parte fondata. La speculazione sui mercati petroliferi a termine durante il periodo in questione ha quasi certamente contribuito a fare aumentare l’andamento petrolifero piu’ di quanto i fondamentali non lo giustificassero. Ma perche’ gli investitori puntavano sul petrolio? L’infatuazione per i contratti petroliferi non erano solo un’altra bolla speculativa, come la frenesia borsistica di internet alla fine degli anni ’90 o il boom del settore immobiliare tra il 2003 e il 2006?

Durante il periodo che va dal 2003 alla meta’ del 2008, la domanda di petrolio si e’ amplificata, particolarmente in Cina (che e’ passata da una situazione di autosufficienza nel 1995 a rango di secondo paese importatore al mondo dopo gli Stati Uniti nel 2006). Ora, l’approvvigionamento di petrolio restava piu o meno stabile: i dati mensili della produzione di greggio oscillavano in una forbice relativamente ristretta, tra i 72 e i 75 milioni di barili al giorno. Mentre l’andamento era in crescita, i volumi prodotti decollavano appena. Tutto indicava allora che l’insieme dei produttori estraeva alla massima capacita’: anche i sauditi sembravano precipitarsi per trarre beneficio dalla manna occasionata dal prezzo.

Sarebbe anche sensato notare che la speculazione sui mercati petroliferi a termine non faceva che amplificare una tendenza dell’andamento inevitabile rispetto ai fondamentali dell’offerta e della domanda. James Hamilton (nella pubblicazione menzionata piu’ sopra) si esprimeva in questo modo: “ob
biettivamente, pare difficile negare che l’aumento sia stato troppo alto nel luglio 2008, e che questo cattivo calcolo sia stato in parte influenzato dall’afflusso di investimenti nei contratti di approvvigionamento a termine. Sarebbe, tuttavia, importante sottolineare che i due ingredienti necessari per rendere coerente una tale visione, ossia una debole elasticita’ della domanda in termini di prezzo e l’impossibilita’ fisica di crescita della produzione, siano le stesse componenti essenziali per la spiegazione del fenomeno basata sui fondamentali. Vorrei anche concludere dicendo che i due fattori, piu’ che la speculazione di per sé, dovrebbero essere designati come la causa principale dello choc petrolifero del 2007-2008.”

Conseguenze del picco

A che livello i tormenti del settore automobilistico, dei trasporti su ruota ed aerei sarebbero responsabili della scalata dei prezzi o del crash dell’economia, anche questo e’ ugualmente oggetto di dibattito. Ben inteso, nell’ipotesi che la diagnosi alternativa sia corretta, questi due ultimi avvenimenti, sono in ogni modo legati in modo causale. Nondimeno potrebbe essere utile esaminare la situazione piu’ da vicino.

Tutti sanno che General Motors e Chrysler sono fallite a causa del crollo drammatico delle vendite di automobili. L’attuale previsione conta sulle vendite intorno ai 10,3 milioni di veicoli negli Stati Uniti nel 2009, in ribasso in rapporto ai 13,4 milioni dell’anno passato e dei 16,1 milioni del 2007. Le vendite di auto statunitensi non hanno mai registrato un livello cosi basso dagli anni ’70. Le vendite dei camioncini, quelli che in genere producono maggior profitto, hanno maggiormente accusato il colpo nel 2008, quando i prezzi dei carburanti sono saliti e i compratori evitavano l’acquisto di veicoli ad alto consumo. E’ stato allora che i costruttori automobilistici hanno realmente cominciato a risentirne.

I mali che colpiscono il settore del trasporto aereo sono riassunti da una recente pubblicazione del GAO [11] “ Dopo due anni di profitti, il settore del trasporto aereo commerciale ha accusato una perdita di 4,3miliardi di dollari durante i primi 3 trimestri del 2008 [di pari passo con l’aumento del prezzo del cherosene]. Collettivamente, le compagnie aeree statunitensi hanno ridotto la loro capacita’ a livello locale, come attestano le numerose piazze messe in servizio, in una proporzione del 9% tra il quarto trimestre del 2007 e lo stesso periodo del 2008 […] per ridurre la propria capacita’, hanno altrove diminuito il numero di apparecchi in servizio del 18%[..] le compagnie nell’insieme hanno ridotto il loro personale di circa 28.000 posti, ossia circa il 7% tra fine 2007 e fine 2008 [..] Il recesso del settore aereo nel 2008 ha fatto cadere le entrate degli aeroporti, l’accesso dei passeggeri alla rete aerea nazionale, e i profitti delle casse di previdenza”.[12]

Riguardo al trasporto stradale, le spese di carburante rappresentano circa il 40% dei costi generali di gestione. Nel 2007, mentre il prezzo del diesel aumentava, i trasportatori cominciarono a subire perdite finanziarie e apposero rincari del carburante; allo stesso tempo il volume dei trasporti comincio’ a diminuire. Dopo il mese di luglio 2008, quando l’andamento petrolifero scese, il tonnellaggio continuo’ il suo declino. Globalmente, il basso accumulo di carichi caricati su semi-rimorchi, camion cisterne e furgoni scesero del 15-20% per il solo periodo che va da giugno a dicembre 2008.[13]

Questa ultima serie di dati solleva alcune questioni cruciali in vista della comprensione della diagnosi alternativa: perche’, se la produzione petrolifera mondiale aveva appena raggiunto il suo massimo, l’andamento del greggio crollo’ durante gli ultimi cinque mesi del 2008? Se il prezzo del petrolio rappresenta un fattore essenziale nella crisi economica, allora perche’ l’economia non ha avviato una svolta dopo la mitigazione dell’andamento del greggio?

Perche’ il prezzo del petrolio e’ crollato? E perche’ un andamento piu’ basso non ha portato ad una rapida ripresa?

La tesi del picco petrolifero prevede, mentre la produzione petrolifera mondiale si attesta al suo massimo livello per poi cominciare a scendere, un aumento drammatico dell’andamento del greggio. Ma questa prospetta per di piu’ un severo aumento della volatilita’ del prezzo.

Ecco come si articola la sua logica: mentre si esaurira’ il petrolio, il suo prezzo aumentera’ fino al momento in cui comincera’ a scalzare le basi dell’economia in generale. Il ribasso economico generera’ a sua volta un abbassamento sostanziale della domanda del petrolio, che creera’ un abbassamento temporaneo del prezzo del greggio. Allora si verifichera’ uno dei due seguenti scenari: A. l’economia avviera’ una ripresa, rinfocolando un rinnovamento della domanda di petrolio, portando nuovamente ad un alto andamento che nuovamente minera’ l’attivita’ economica; B. se l’economia non si rimette in fretta, la produzione petrolifera cadra’ progressivamente in ragione dell’abbassamento della domanda finche’ la capacita’ di produzione supplementare (generata da una domanda piu’ debole) condurrà nuovamente a prezzi elevati e contrazione economica. In entrambi i casi, l’andamento del petrolio rimane volatile e l’economia conoscera’ una recessione.

Questo scenario corrisponde molto precisamente alla realta’ che si dipana dinnanzi ai nostri occhi, rimane solo da vedere quale situazione A o B gli succedera’.

Negli ultimi tre anni, l’andamento del greggio e’ aumentato e diminuito piu’ violentemente di quanto non sarebbe successo senza il fenomeno della speculazione generalizzata sui mercati petroliferi a termine. D’altra parte, la direzione generale dei prezzi prima molto alta e successivamente molto bassa, poi in parte di nuovo verso l’alto, si iscrive perfettamente nel quadro della tesi del picco petrolifero e della diagnosi alternativa.

Perche’ l’economia non ha conosciuto una rapida ripresa, sapendo che l’andamento del greggio si situa d’ora in avanti a meta’ del suo livello di giugno 2008? Anche in questo caso, il picco petrolifero non e’ l’unica causa della crisi economica attuale. Enormi bolle nel settore immobiliare e della finanza costituiscono altrettanti imprevisti pronti a sopraggiungere, e l’implosione di queste bolle ha generato una severa crisi di credito bancario (cosi’ come una crisi di solvibilita’ e un’altra, emergente, di denaro) che necessitera’ probabilmente di parecchi anni prima di riassorbirsi anche se l’approvvigionamento energetico non ponesse dai problemi.

Ma d’ora in poi, il potenziale per il ritorno ad un livello elevato del prezzo del greggio agisce come un plafond rispetto alla ripresa economica. Inoltre, quando l’economia sembra effettivamente mostrare segni di ripresa (come abbiamo visto tra maggio e luglio di quest’anno, con i mercati borsistici in rialzo e il ritmo generale della contrazione economica un po’ rallentato), il prezzo del greggio decolla nuovamente mentre gli speculatori petroliferi anticipano un ristabilimento della domanda. Effettivamente , l’andamento del petrolio si e’ risollevato dai 30 dollari in gennaio fino agli attuali 70, provocando l’inquietudine generale quanto alla possibilita’ che un alto livello del prezzo dell’energia uccida la ripresa fin dalle sue prime fasi.[14]

Ora che tutti i giacimenti piu’ facilmente accessibili sono sfruttati, un barile di petrolio proveniente da sorgenti di recente sviluppo costa approssimativamente 60 dollari per produrlo: oggi, scoprire nuovi campi petroliferi implica generalmente trivellare a profondita’ di svariati chilometri sotto la superficie del mare o in paesi politicamente instabili dove l’equipaggiamento e il personale incorrono in seri rischi .[15] Cosi’, quando la domanda dei consumatori di petrolio riprendera’ vigore, l’andamento dovra’ mantenersi significativamente al disopra di questa soglia, al fine di incoraggiare i gestori a trivellare.

L’instabilita’ dell’andamento infligge danni
sia a monte che a valle. Il crollo del prezzo del greggio tra agosto e dicembre 2008, combinato con l’aggravarsi della crisi del credito, ha provocato un drammatico ribasso degli investimenti nel settore petrolifero, producendo il blocco di nuovi progetti di sfruttamento che rappresentano una somma di circa 150 miliardi di dollari di investimenti, quando invece la capacita’ di produzione potenziale di questi nuovi progetti e’ necessaria per compensare il declino di produzione dei giacimenti gia’ sfruttati e mantenere un livello di produzione mondiale stabile.[16] Questo significa che anche se la domanda si mantiene ad un livello debole, la capacita’ di produzione diminuira’ quasi certamente al fine di allinearsi al livello della domanda, ingenerando un nuovo rialzo dell’andamento in termini reali da un momento all’altro, forse da qui a due o tre anni. Un andamento del petrolio instabile nuoce inoltre allo sviluppo di energie alternative, come e’ avvenuto nei mesi recenti quando l’abbassamento del prezzo del greggio ha attentato alla salute finanziaria dei produttori di etanolo. [17]

In un modo o nell’atro, la crescita sara’ altamente problematica, se non semplicemente irraggiungibile.

Diagnosi generale: seguendo la pista della logica

A questo punto della discussione, molti lettori si chiederanno perche’ le risorse energetiche alternative e le misure volte a migliorare l’efficacita’ energetica, non possano essere messe in atto al fine di dare una soluzione alla crisi del picco petrolifero. Dopo tutto, dal momento che il pertolio divetera’ piu’ costoso l’etanolo, il biodiesel e le macchine elettriche saranno suscettibili di avere piu’ attrattiva tanto per i produttori che per i consumatori. La magia del mercato non interverra’ di modo da contenere l’impatto della penuria del petrolio sulla crescita futura?

Non e’ possibile, nell’ambito di questa discussione, spiegare in modo dettagliato perche’ il mercato, probabilmente, non sia nella situazione di risolvere il problema del picco petrolifero. Una tale spiegazione necessita di trattare la questione dei criteri di bilancio energetico, cosi’ come l’analisi delle numerose alternative energetiche individuali alla luce di questi criteri. Ho proposto una breve anteprima su questo soggetto e uno studio piu’ approfonfido e’ in corso di stampa.[18]

Il riassunto delle mie conclusioni a questo riguardo e’ il seguente.

Circa l’ 85% della nostra attuale energia proviene da tre fonti primarie, ossia il petrolio, il gas naturale e il carbone, che sono non rinnovabili, il cui prezzo avra’ verosimilmente tendenza ad aumentare radicalmente nel corso dei prossimi anni e decenni, generando gravi penurie e, inoltre, il cui impatto sull’ambiente e’ inaccettabile. Se queste risorse sono state storicamente dotate di un valore economico importante, non potremo dipenderne per l’avvenire; in effetti, piu’ tarderemo nel passaggio a risorse di energia alternative, piu’ questa transizione sara’ faticosa a meno che venga individuato un ventaglio pratico di sistemi energetici alternativi e si pensi a caratteristiche economiche e ambientali superiori.

Nondimeno, determinare una tale ventaglio e’ piu difficile di quanto lo si possa pensare a priori. Ogni risorsa energetica presenta caratteristiche altamente specifiche. Difatti, sono le caratteristiche delle nostre attuali risorse energetiche (principalmente petrolio, carbone e gas naturale), che ci hanno permesso di sviluppare una societa’ a grande mobilita’, vatsa popolazione e alto tasso di crescita. L’esame delle risorse d’energia alternative, disponibili secondo criteri di densita’ energetica, impatto ambientale, dipendenza difronte a materie prime in via di esaurimento, intermittenza o costanza nell’approvvigionamento e percentuale di energia prodotta in funzione di quella investita, ci indicano che nessuna di queste sembra in grado di perpetuare questo genere di societa’.

In piu’, le infrastrutture nazionali di produzione energetica sono onerose e lente da sviluppare. La performance energetica, allo stesso modo, necessita di investimenti che, incrementati nel tempo, presentano generalmente dei ritorni in deficit, dal momento che e’ impossibile realizzare lavoro senza alcuna energia di partenza. Dove sono volonta’ e capacita’ di riunire sufficiente capitale in vista dello spiegamento di risorse energetiche alternative e della messa in opera di misure economiche al livello richiesto?

Se esistono numerose installazioni produttrici di energia alternativa funzionanti nel mondo (dai piccoli sistemi fotovoltaici individuali ai grandi “appezzamenti” di turbine eoliche di tre megawatt), in compenso sono poche le nazioni moderne e industrializzate capaci di ottenere attualmente l’essenziale della loro energia da risorse diverse da petrolio, carbone e gas naturali.

La Svezia rappresenta a tale riguardo un buon esempio, visto che ottiene una gran parte della propria energia dal nucleare e dall’energia idroelettrica. Un altro esempio e’ l’Islanda, che beneficia di risorse geotermiche eccezionalmente abbondanti e inesistenti nella maggior parte degli altri paesi. Anche per queste due nazioni la situazione e’ complessa: la costruzione dell’infrastruttura delle loro centrali si e’ essenzialmente appoggiata sui combustibili fossili, sia per cio’ che riguarda l’estrazione dei minerali, che per le materie prime, per la trasformazione delle materie, i trasporti la fabbricazione dei loro elementi, per l’energia necessaria alla loro costruzione, ecc. Quindi, tutto il passaggio concreto lontano dai combustibili fossili, non resta che teoria e ottimismo incosciente, certamente non realta’.

Cosi’,la conclusione che ho tratto da un esame attento sulle energie alternative, e’ che sia poco probabile che tanto i combustibili fossili convenzionali, quanto le risorse di energia alternative, possano fornire la quantita’ e la qualita’ di energia necessarie a mantenere la crescita economica, agli stessi livelli attuali di attivita’ economica, per il resto di questo secolo.[19]

Ora, il problema si estende ben al di la’ del petrolio e degli altri combustibili fossili: le risorse mondiali di acqua sono esaurite al punto che miliardi di esseri umani rischiano di trovarsi ben presto solo con un accesso precario all’acqua potabile e a quella utilizzata per l’irrigazione. La biodiversita’ declina rapidamente. A causa dell’erosione, perdiamo 24 miliardi di tonnellate di terra coltivabile ogni anno. Altrove, numerosi minerali economicamente significativi, dall’antimonio allo zinco, sono in via di rapido esaurimento, e cosi’ e’ necessaria l’estrazione mineraria di qualita’ inferiore, in zone sempre piu’ remote. Anche la crisi del picco petrolifero non e’ che il lato tranciante di un dilemma del picco generale piu’ largo.

In modo generale, l’umanita’ e’ confrontata ad un pericolo interamente prevedibile: la nostra popolazione e’ prodigiosamente cresciuta nel corso degli ultimi 200 anni (passando da meno di un miliardo di individui a quasi 7 miliardi), mentre il nostro consumo di energie per individuo è ugualmente aumentato. Per numerose specie, questa e’ praticamente la definizione di successo biologico. Eppure, tutto questo si e’ sviluppato nel contesto di un pianeta limitato e dotato di una quantita’ determinata di risorse non rinnovabili (combustibili fossili e minerali), di una capacita’ limitata di generare delle risorse rinnovabili e assorbire le scorie industriali (come il diossido di carbonio). Se facciamo un passo indietro e osserviamo il periodo industriale da una prospettiva storica di piu ampio respiro e avendo coscienza dei limiti ecologici, e’ difficile passare oltre alla conclusione che viviamo oggi la fine di una parentesi relativamente breve: una fase di rapida espansione di 200 anni, resa possibile da una manna energetica temporanea (sotto forma di combustibile fossile a buon mercato) e che sara’ ineluttabilmente seguita da una recessione ancora piu rapida e drammatica con l’esaurimento dei combustibili.

Il sopraggiunge
re di questa rincorsa crescita-contrazione non significa necessariamente la fine del mondo, ma questo implica effettivamente la fine di una certa forma di economia. In un modo o nell’altro, l’umanita’ deve tornare ad un modo piu normale di esistenza caratterizzata dall’appoggio dall’afflusso solare immediato (con le colture, il vento o la conversione diretta dell’irradiamento solare in elettricita’) piuttosto che su una vecchia energia solare in stoccaggio.

Questo non significa affermare che il resto del XXI secolo debba consistere in un affondamento dell’industria, una sparizione della maggior parte della popolazione umana e un ritorno dei sopravvissuti ad un tipo di vita praticamente identico a quello dei contadini del XVI secolo o dei primitivi cacciatori-raccoglitori. E’ possibile invece immaginare dei modi accettabili e anche appetibili per l’umanita’ di adattarsi ai limiti ecologici sviluppando ancora di piu’ la propria ricchezza culturale, la comprensione scientifica e la propria qualita’ di vita (vedi sotto).

Ma poco importa come viene condotto, il passaggio sara’ sinonimo della fine della crescita economica nel senso convenzionale. E sembra che questa transizione si sia gia’ avviata.

Come sapere quale sia la diagnosi giusta?

Se il paziente e’ uno solo e la causa del disturbo e’ incerta, possono essere prescritti nuovi esami. Ma a quali tipi di analisi del sangue, raggi x e scanner possiamo sottoporre l’economia nazionale o mondiale?

In un certo senso, questi esami sono gia’ stati fatti. Negli ultimi decenni, migliaia di inchieste scientifiche aventi per oggetto le risorse naturali, la biodiversita’ e gli ecosistemi, hanno mostrato tassi di esaurimento e di declino crescenti.[20]. Il continuo aumento della popolazione, dell’inquinamento e dei consumi e’ ugualmente ben documentato. Questo insieme di informazioni costituiva la base dello studio I limiti della crescita, menzionato piu’ sopra, che ricorre a un modello informatico per mostrare come si delineeranno probabilmente le attuali tendenze, e la maggior parte degli scenari ottenuti indicano che condurranno alla fine della crescita economica e a un affondamento della produzione industriale, da un momento all’altro, all’inizio del XXI secolo.

Perche’ i risultati di questi test diagnostici non sono universalmente accettati come dati che rimettono in questione il principio della crescita perenne? Prima di tutto perche’ le loro conclusioni vanno contro le credenze e le affermazioni della maggior parte degli economisti, che sostengono che non esistano limiti pratici alla crescita. Rifiutano il fatto che le contrazioni in termini di risorse costituiscano in fin dei conti un tetto alla produzione e al consumo. Cosi’ i loro sforzi diagnostici tendono ad ignorare i fattori ambientali a favore degli aspetti interni e facilmente misurabili dell’economia umana come la circolazione del denaro, la fiducia dei consumatori, i tassi di interesse e gli indici dei prezzi.

L’ecologista Charles Hall, tra gli altri, ha argomentato che la disciplina dell’economia, quella oggi praticata, non costituisce una scienza poiche’ funziona principalmente sulla base della logica correlativa, piuttosto che attraverso l’elaborazione della conoscenza per mezzo di un procedere continuo e rigoroso di proposizioni e di test d’ipotesi.[21]

Se l’economia e’ ricorsa a una terminologia e ad una matematica complessa, come fa la scienza, le sue affermazioni di base riguardo al mondo, come quella del principio di sostituzione infinita, che considera che per ogni risorsa che diventi rara, il mercato trovera’ un sostituto, diventano, invece, oggetto di un esame sperimentale rigoroso. (E’ interessante notare a tale proposito che Hall e i suoi associati hanno fatto lo sforzo di porre i fondanti concettuali di una nuova disciplina economica basata su metodi e principi scientifici, dal nome “economia biofisica”.) [22]

Per di piu’, gli economisti hanno complessivamente fallito nel prevedere il crash economico. Non abbiamo visto un sforzo consistente o concertato da parte del segretario del tesoro, dei direttori della Federal Reserve o degli economisti insigniti del premio Nobel per avvertire i centri decisionali o il grande pubblico che, ad un certo punto, all’inizio del XXI secolo, l’economia mondiale avrebbe cominciato a vacillare.[23 ]Saremmo tentati di pensare che questo mancato pronostico, ossia l’incapacita’ ad intravedere un evento cosi’ storicamente significativo quale il rapido recesso di quasi tutta l’economia mondiale e che ha implicato la deriva di banche e industrie tra le piu’ importanti del mondo, li avrebbero incitati a fermarsi un momento e a rimettere in questione le loro ipotesi di base. Nonostante tutto pochi indizi danno a pensare che questo sia il caso.

A rischio di ripetermi, insistero’ su questo punto: gli studiosi di differenti discipline hanno effettivamente previsto la fine della crescita economica per l’inizio del XXI secolo e hanno avvertito sia chi prende le decisioni che il grande pubblico in numerose occasioni.

A chi dovremmo credere?

Nel dettaglio, la diagnosi alternativa e’ flessibile. Se l’attivita’ economica si fosse alzata al di la’ del livello del 2007, o se la produzione del petrolio si fosse elevata al di sopra del suo tetto del luglio 2008, allora la spiegazione della crisi economica attuale data dai limiti della crescita legati alle risorse potrebbe essere considerata come in parte infondata.

Nondimeno, anche se questo dovesse prodursi, il ragionamento soggiacente alla diagnosi alternativa terrebbe forse ancora in piedi. Se il picco della produzione mondiale fosse ritardato, diciamo, fino al 2015 o 2020, e se un altro crash economico, questa volta senza fondo, si susseguisse, allora il risultato finale sarebbe essenzialmente identico. Al contrario, se nell’arco di questo tempo la diagnosi alternativa fosse presa seriamente e messa in pratica, le conseguenze sarebbero benefiche: un decennio verrebbe consacrato a prepararsi per questo evento.

La diagnosi alternativa potrebbe essere errata nel suo insieme? Cioe’, il giudizio degli economisti convenzionali sarebbe fondato, quando stimano che la crescita puo’ proseguire indefinitamente? Si ripete spesso che tutto e’ possibile o che certe cose sono piu’ possibili di altre. La crescita costante della popolazione umana e del consumo nell’ambito di un pianeta limitato sembra in effetti essere un idea piuttosto esagerata in particolare per il fatto che i segni di avvertimento sono dappertutto e ci mostrano chiaramente che abbiamo gia’ raggiunto, e oltrepassiamo anche i limiti ecologici.[24]

Quello che non bisogna fare: prescrivere dei placebo ad un costo perniciosamente proibitivo

Se gli scienziati del concreto avvertissero dei limiti della crescita avrebbero ragione, allora far fronte al declino economico globale implica ben piu’ che semplicemente mettere in piedi banche e organismi di prestito immobiliare. In effetti, in questo caso siamo confrontati a un cambiamento fondamentale della nostra economia cosi significativo come l’avvento della rivoluzione industriale. Ci troviamo ad un punto di inflessione storica, cioe’ la fine di decenni di espansione e l’inizio di un periodo di inevitabile contrazione si prolunghera’ fino a quando l’ umanita’ non vivra’ nuovamente nel rispetto dei limiti dei sistemi rigenerativi della Terra.

Ma non vediamo segni indicanti che coloro che sono chiamati a prendere decisioni ne capiscano qualcosa. Il loro ragionamento sembra principalmente calcare sulle certezze in voga tra gli economisti, secondo le quali la crescita puo’ e deve continuare in un avvenire indeterminato, e che la recessione economica di cui soffre attualmente il mondo non sia che temporanea: un problema che puo’ e deve essere risolto.

Detto questo, non si tratta di un problema minore agli occhi di economisti e dirigenti. Ne e’ testimonianza considerabile ampiezza dei piani di salvataggio del Tesoro e della Federal Re
serve che hanno messo in atto un tentativo probabilmente futile di mettere fine alla contrazione e rilanciare la crescita. Secondo il commissario generale speciale del governo statunitense in carica del Troubled Asset Relief Program (TARP, piano di sostegno del governo americano al settore finanziario) nelle sue osservazioni sottoposte al Comitato parlamentare per la supervisione e la riforma governativa del 21 luglio, 23,7 trilioni di dollari sono stati impegnati nel quadro del “sostegno del potenziale complessivo del governo”. Si tratta effettivamente di un rimedio oneroso. Questo rappresenta circa la meta’ del PIL mondiale annuale, e piu del triplo della somma sborsata dal governo statunitense, in dollari adeguati all’inflazione per l’insieme delle guerre dal 1776 ad oggi. E’ quasi 50 volte il costo del New Deal.

Altre nazioni, tra cui Regno Unito, Cina e Germania si sono impegnate a finanziare piani di sostegno e di salvataggio che, ben nettamente meno ingenti in termini assoluti, rappresentano una parte impressionante ( forse dovremmo dire spaventosa?) del PIL nazionale.

Se la diagnosi alternativa e’ valida, nulla di tutto questo funzionera’, perche’ le istituzioni finanziarie esistenti, con il loro zoccolo di debito e interessi e il loro bisogno di espansione costante, non possono essere rese operative in un contesto di tetto effettivo imposto dalle contrazione di energia e di risorse per la produzione industriale e del trasporto.

Funzionera’ il piano di salvataggio e sostegno ? Molti elementi suggeriscono che non sara’ cosi’, salvo che in limitate proporzioni. Negli Stati Uniti, la disoccupazione continua a crescere, mentre la caduta dei valori immobiliari prosegue. E la maggior parte dei “nuovi germogli” rintracciati dall’economia fino ad ora rappresentano una flessione contestabile del ritmo della contrazione. Per esempio, l’indice del prezzo degli immobili pubblicato il 28 luglio di quest’anno mostrava che in maggio i prezzi adeguati alla stagione sono caduti solo dello 0,16% in rapporto ai mesi precedenti. Questo equivale ad un tasso di declino annuale di poco inferiore al 2% , indice di un significativo miglioramento rispetto al tasso annuale di piu’ del 20% che prevaleva da settembre 2008 a marzo 2009.

Molti osservatori si sono impossessati di questa notizia per annunciare un imminente rialzo. Eppure le vendite di nuovi appartamenti sono in ribasso: da 1,4 milioni per anno nel 2005 agli attuali 350000, ed il prezzo degli appartamenti e’ il 50% al disotto del loro livello osservato dalla sommita’ della bolla, questo abbassamento si registra nella maggior parte delle zone. Inoltre, la produzione industriale continua a scendere, le piccole imprese ne risentono e segnali di pericolo sono sempre visibili all’orizzonte, tra questi una nuova valanga di ipoteche, un probabile crollo dei valori immobiliari e la realta’ che emerge e’ che ci dobbiamo occupare sempre dei titoli finanziari tossici che sono al centro della crisi bancaria.[25]

Il presidente Obama ha avanzato l’argomentazione secondo la quale i salvataggi sono giustificati al fine di stabilizzare il sistema abbastanza a lungo perche’ i dirigenti operino i cambiamenti fondamentali nelle istituzioni e nelle regolamentazioni permettendo all’economia di ripartire da subito piu’ sana e immune da future simili crisi. Ma non c’e’ molto che suggerisca che il genere di trasformazioni sistematiche veramente necessarie (quelle che sarebbero capaci di far funzionare l’economia durante una recessione prolungata) non sono in preparazione e neppure previste. Parallelamente, mentre le istituzioni dipendenti dalla crescita sono temporaneamente gonfiate, la portata finale dei danni rischia di non far altro che estendersi: quando l’affondamento di queste istituzioni si produrra’ in modo effettivo, le conseguenze saranno verosimilmente peggiori, tanto la somma dei capitali dilapidata al fine di tentare di salvarle sara’ stata ingente.

Esaurendo risorse non rinnovabili come metalli, minerali e combustibili fossili, abbiamo rubato il patrimonio delle future generazioni. In realta’, oramai stiamo rubando a queste generazioni i mezzi finanziari che sarebbero potuti essere impiegati per erigere un ponte verso una economia sostenibile. La costruzione di una infrastruttura di produzione di energia rinnovabile (non solo la capacita’ di generarla, ma allo stesso tempo di ditribuizione e stoccaggio, cosi’ come soluzioni agricole e di trasporto per il dopo petrolio) necessitera’ di investimenti enormi e di decenni di lavoro. Da dove arrivera’ il capitale da investire se i governi sono gia’ affogati nei debiti? Se abbiamo speso quasi 24000 miliardi di dollari per rimettere in piedi una vecchia economia senza prospettive di vita, cosa ci resta per finanziarne una nuova?

Se la prescrizione attuale destinata a curare la nostra malattia economica si sta sbagliando, sara’ cosi’ anche per molti dei rimedi proposti per regolare i nostri problemi di energia. Secondo la diagnosi convenzionale, il livello elevato del prezzo attuale del greggio e’ da mettere in conto alla speculazione; la soluzione dovrebbe dunque consistere in una regolamentazione piu’ rigida dei mercati petroliferi a termine (e questa sarebbe gia’ una buona idea, anche se non va a toccare il cuore del problema), il tutto permettendo alle compagnie petrolifere di sondare il petrolio domestico ( anche se i tassi di probabilita’ della produzione dei giacimenti per il momento in siti inaccessibili siano relativamente esigui e avrebbero un effetto relativamente inconsistente sull’andamento del petrolio).

Eppure, gli investimenti supplementari in sistemi di produzione di combustibili fossili (tra cui la tecnologia del “carbone pulito”) farebbero prevedere dei ritorni declinanti, sapendo che le risorse di migliore qualita’ sono gia’ state sfruttate; e contemporaneamente questo ritorno di capitali che potrebbero altrimenti essere investiti in energia rinnovabile sulla quale dovremmo puntare in misura crescente man mano che i combustibili fossili declinino.[26]

Cio’ che e’ necessario, ma per il momento totalmente inesistente, e’ il riconoscimento fondamentale del fatto che le circostanze sono cambiate: cio’ che funzionava nei decenni passati non potra’ essere applicato nel futuro.

Cosa bisogna fare: adattarsi alla nuova realta’

Se la dignosi alternativa e’ corretta, non ci sara’ una soluzione semplice all’affondamneto dell’economia attuale. Certe malattie non si possono guarire e necessitano semplicemente di adattarsi tirando il meglio dalla nuova situazione.

Se l’umanita’ si e’ effettivamente imbarcata nella fase della costruzione del movimento industriale, dovremmo accettare il fatto di trovarci difronte a livelli di guadagno ben inferiori (per quasi tutti nei paesi ricchi, e per gli alti salari dei paesi piu’ poveri), possibilita’ di carriera differenti (meno impiego in vendita, marketing e finanza; e maggiormente invece nel settore primario), energia, trasporti e cibo piu’ cari. In oltre dovremmo accettare il fatto che gli aspetti chiave del nostro sistema economico indissolubilmente legati ad un bisogno di crescita futura cesseranno di essere funzionali in questo nuovo contesto.

Piuttosto che tenatre di risanare le banche e le compagnie di assicurazione a colpi di trilioni di dollari, sarebbe forse meglio lasciarle semplicemente affondare, poco importa le conseguenze nefaste a breve termine perche’ tanto ad ogni modo prima o poi sono destinate a crollare . Piuttosto saranno rimpiazzate da istituzioni che colmeranno funzioni essenziali in un’economia in recessione e tutto andra’ meglio.

In questo periodo i leader dell’opinione della societa’, ed in particolare il presidente, devono cominciare a far circolare l’informazione, in modo comprensibile e misurato, secondo la quale la crescita non tornera’ piu’ ed il mondo e’ entrato in una fase economica nuova e senza precedenti, ma che tutti possiamo sopravvivere e prosperare in questo periodo di transizione pieno di sfide, se
ci applicheremo e lavoreremo insieme. Al cuore di questa rieducazione generale si deve profilare un riconoscimento pubblico ed istituzionale di tre regole fondamentali di sostenibilita’: la crescita demografica non e’ sostenibile; come neppure l’estrazione attuale di risorse non rinnovabili ne lo e’ l’utilizzo di quelle rinnovabili se non sara’ fatto ad un ritmo inferire rispetto alla loro rigenerazione naturale.

Senza energia a buon mercato , gli scambi economici su scala mondiale non possono crescere . Questo non significa la fine del mercato , ma solo che i vantaggio economici si sposteranno, man mano che il costo dei trasporti aumentera’ , verso la produzione e consumo locale. Ecco, forse questo e’ un modo troppo abbellito di presentare le cose: se e quando la mancanza di combustibile sopraggiungera’, i sistemi di approvvigionamento fragili e stirati potrebbero interrompersi su scala globale, portando gravi conseguenze per i consumatori che si troveranno a corto di risorse e beni essenziali. Inoltre, bisognerebbe accordare una netta priorita’ all’organizzazione della resilienza collettiva privilegiando le risorse di approvvigionamento locali e una cura di stoccaggi regionali piu’ importanti, in particolare di cibo e combustibili.[27]

Attualmente occorrono in media 8,5 calorie di energia provenienti da petrolio e gas per produrre una caloria alimentare. Senza combustibili a buon mercato per l’agricoltura, la produzione alimentare crollera’ e gli agricoltori andranno in fallimento, a meno che gli sforzi proattivi siano intrapresi al fine di riformare il sistema e ridurre la dipendenza nei confronti dei combustibili fossili.[28]

Manifestamente, le risorse di energia alternativa e le strategie per il miglioramento della loro efficienza’ devono essere al centro delle priorita’, e devono essere oggetto di ricerche intensive volte ad aiutare una panoplia di criteri accuratamente selezionati. I candidati migliori dovranno essere solidamente finanziati, anche mentre i combustibili fossili saranno poco cari: il tempo di sviluppo di infrastrutture di per la produzione di energia rinnovabile si misurera’ inevitabilmente in decenni e dobbiamo dunque lanciare da ora questo processo, piuttosto che aspettare che sia il mercato ad indicarci la via.

Di fronte alle crisi del credito e (potenzialmente) della moneta, ci sara’ bisogno di nuovi modi di finanziamento di questi progetti. Sapendo che i nostri sistemi monetari e finanziari attuali sono basati su un bisogno di crescita, dovremo inventare nuovi modi di creare e prestare denaro. Importanti sforzi di riflessione per trovare soluzioni in questo senso sono messi in atto e certe collettivita’ sperimentano gia’ cooperative a capitale locale, monete alternative e banche senza interesse. [29]

Diventando, il petrolio, sempre piu’ caro in termini reali, dovremo pensare a mezzi piu’ efficaci per trasportare persone e beni. La nostra priorita’ a questo riguardo deve essere quella di ridurre il bisogno di trasporti in favore di una migliore urbanizzazione e di sistemi di produzione rilocalizzati. Ma la’ dove il trasporto e’ necessario , quello su ferrovia sara’ probabilmente preferibile ad automobili e camion. [30]

Avremo anche bisogno di una rivoluzione nelle costruzioni per minimizzare il bisogno di riscaldamento, climatizzazione e in illuminazione artificiale in tutte le nostre abitazioni e stabilimenti pubblici. Questa rivoluzione e’ gia’ cominciata , ma progredisce al momento troppo lentamente a causa dell’inerzia degli interessi stabiliti dal settore edilizio. [ 31]

Questi progetti necessiteranno innazitutto di crediti locali e di fondi; faranno inoltre appello a lavoratori specializzati. Questo non fara’ solamente nascere una richiesta di installatori di pannelli solari e di isolamento, ma si ricorrera’ ugualmente all’aiuto di milioni di nuovi produttori agricoli e costruttori di infrastrutture a basso costo energetico . Tutta una gamma di nuove carriere potranno emergere e rimpiazzare i lavori di marketing e della finanza in via di estinzione.

E’ interessante notare che i 23,7 trilioni di dollari recentemente consacrati a salvataggi e garanzie di rimborso, negli Stati Uniti rappresentino quasi 80000 dollari per ogni uomo donna e bambino del paese. Un livello di investimento che si elevi a tanto, sarebbe che una parte rilevante di quella che potrebbe finanziare tutte le formazioni necessarie, assicurando un approvvigionamento universale in beni di consumo primari durante la transazione. Cosa otterremo per i nostri soldi? Una nozione collettiva, che in tempi di crisi, nessuno sia lasciato per strada . Senza un sentimento di impegno di cooperazione che una tale rete di sicurezza dovrebbe aiuterebbe a suscitare, un po’ come quello che fu realizzato con il New Deal ma su scala piu’ ampia, la contrazione economica potrebbe trasformarsi in un’orribile battaglia per le briciole di questo periodo industriale agonizzante.

Per quanto possa essere controversa, la questione della demografia deve essere presa in considerazione. Tutti i problemi legati alle risorse sono piu’ difficili da risolvere quando ci sono individui che necessitano di queste risorse. Gli Stati Uniti devono incoraggiare le famiglie piu’ piccole e mettere in atto una politica di immigrazione coerente in vista di una crescita demografica zero. Questo non e’ senza implicazioni in termini di politica estera: dobbiamo aiutare le altre nazioni a realizzare il loro passaggio economico in modo che i loro cittadini non abbiano bisogno di immigrare per sopravvivere.[32]

Se la crescita economica cessa di essere un obbiettivo realizzabile, la societa’ dovra’ trovare modi migliori di misurare il successo. Gli economisti devono smetterla di misurare il benessere aiutandosi con l’utile contundente del Pil e cominciare ad interessarsi piuttosto agli indici di capitale umano e sociale in campi come l’educazione, la sanita’ e la cultura. Questa redifinizione della crescita e del progresso e’ gia’ avviata in certi settori, ma essenzialmente chiede di essere messa in opera dai governi. [33]

D’altra parte si puo’ avanzare l’argomentazione secondo la quale, quando tutto sara’ sistemato, rimarra’ un modo di vita piu’ gratificante per la maggior parte dei cittadini: un senso collettivo piu’ elevato, una migliore connessione con il mondo naturale, un lavoro piu’ soddisfacente ed un ambiente piu’ sano. Degli studi hanno dimostrato a piu’ riprese che livelli di consumo piu’ elevati non si traducono necessariamente in livelli di un ben essere vitale piu’ elevato.[34]

Questo significa che se si possono prevedere progressi in termini di felicita’ e benessere, piuttosto che come un processo sempre piu’ rapido di estrazione di materie prime, della loro trasformazione in prodotti che essi stessi diventano rapidamente dei rifiuti, allora il processo puo’ certamente prodursi. Ad ogni modo, far passare questo progetto ambientale e inedito al grande pubblico implica sottolinearne i benefici. Molte organizzazioni esplorano gia’ le possibilita’ di messaggio e di comunicazioni circa questa transizione.[35] Ma coloro che sono chiamati a prendere le decisioni devono capire che guardare gli aspetti positivi delle cose non significa promettere cio’ che non puo’ essere realizzato, come quello di un ritorno ad un’epoca di crescita prolungata e di consumi irragionevoli.

Possiamo farlo? Lo faremo?

E’ importante precisare le implicazioni di tutto questo, quanto piu’ chiaramente possibile. Se la diagnosi alternativa e’ corretta , non ci sara’ una ripresa economica completa, ne’ quest’anno , ne’ il prossimo, ne’ tra cinque o dieci anni. Si potra’ assistere a dei rialzi temporanei che ci porteranno ad una frazione del picco di attivita’ economica ma non si trattera’ che di brevi momenti di tregua.

Siamo entrati in una nuova era economica nel corso della quale le vecchie regole non si applicano piu’. I tassi di interesse bassi e le spese governative non si traducono piu’ in stimolazione di impronta e creazione di
impiego. L’energia a buon mercato non apparira’ solamente perche’ esiste una domanda. Nella maggior parte dei casi, non troveremo tanto semplicemente dei sostituti alle risorse essenziali. Nel complesso l’economia continuera’ a contrarsi in crisi e tremiti fin quando potra’ essere mantenuta a livello dall’energia e dalle risorse materiali che la terra puo’ fornire in modo continuativo.

Ben inteso , tutto questo costituisce una notiza molto difficile da recepire. La si puo’ comparare a quando vostro medico vi annuncia che avete contratto una malattia sistemica e potenzialmente fatale , che non puo’ essere guarita, ma solamente trattata con una terapia di appoggio; questo rimedio consiste nell’operare dei cambiamenti profondi nel vostro modo di vivere.

Alcuni lettori non mancheranno di sottolineare che il cambiamento climatico non occupa un posto preminente in questa discussione. Si tratta, dopo tutto, della piu’ grave catastrofe ambientale della storia dell’umanita’. In effetti, le sue conseguenze potrebbero essere ben piu’ serie della semplice distruzione delle economie nazionali: centinaia di milioni di esseri umani e milioni di altre specie potrebbero essere messe in pericolo. La ragione per la quale ho scelto di limitare qui un mio riferimento al cambiamento climatico e’ (considerando che la diagnosi alternativa sia corretta) che non e’ questo fenomeno ad essere immediato ostacolo alla crescita economica, ma piuttosto l’esaurimento delle risorse.

Nondimeno, se questo punto non trova ancora l’unanimita’, il cambiamento climatico di per se e le misure richieste per minimizzarlo rappresentano nell’insieme dei limiti nella crescita, come l’esaurimento delle risorse. In piu’ se evitiamo di inquadrare efficacemente la recessione economica che caratterizzera’ i decenni a venire, non ci sara’ speranza di mettere in atto una risposta strutturata e coerente al cambiamento climatico, una risposta che si concretizzi in sforzi, tanto per ridurre l’impatto climatico che per adattarvici. E’ importante sottolineare, che le misure qui difese( tra cui lo sviluppo delle risorse energetiche rinnovabili e una migliore efficacia energetica, una diminuzione rapida della dipendenza ai combustibili fossili per trasporto ed agricoltura, e la stabilizzazione dei livelli demografici)figurano tra le misure suscettibili di contribuire alla riduzione delle emissioni di carbonio.

E’ possibile che questo saggio influenzi la riflessione e le azioni dei dirigenti? Purtroppo e’ poco probabile. La loro convinzione nella possibilita’ e nella necessita’ di una crescita continua e’ perniciosa, e la nozione secondo la quale la crescita non sia piu’ possibile, e’ ai loro occhi impensabile. Ma la diagnosi alternativa deve essere messa agli atti. Quest’analisi, redatta da un semplice giornalista, rappresenta a ben vedere una riflessione di migliaia di scienziati che lavorano da decenni su su problemi legati alla demografia, alle risorse, all’inquinamento e alla biodiversita’.

Ignorare la diagnosi, di per se stessa, come l’articolarla qui o svilupparla in decine di articoli scientifici, potrebbe farci passare vicino alla nostra ultima chance di evitare un affondamento totale, non solo a livello economico , ma anche a livello di civilta’ e dell’esistenza umana organizzata. Questo ci potrebbe esporre ad un rischio di discontinuita’ storica che trova i suoi antecedenti qualitativi nel decadimento di civilta’ come quella romana e maya.[36]. Certo, non esiste un precedente, per cio’ che verosimilmente ci attende, visto che gli esempi di antichi crolli colpivano societa’ geograficamente delimitate, la cui influenza sull’ambiente era altrettanto limitata. La civilta’ attuale e’ globale e il suo destino, quello della terra e dell’umanita’ sono inestricabilmente legati.

Tuttavia, anche se i dirigenti continuano ad ignorare tali avvertimenti, gli individui e le collettivita’ possono tirarne degli insegnamenti e intavolare un processo di elaborazione di resilienza, di distacco dalla dipendenza dai combustibili fossili e dalle istituzioni incatenate al meccanismo della crescita perpetua. Non possiamo permetterci di rimanere spettatori mentre i dirigenti mondiali nascondono le occasioni che ci permettano di prendere coscienza e di adattarci ai limiti della crescita. Possiamo iniziare dei cambiamenti nella nostra vita e aiutarci a vicenda con i nostri vicini. Possiamo far capire ai nostri centri decisionali che disapproviamo il loro vassallaggio allo status quo, ma che al contrario esistono altre opzioni.

E’ troppo tardi per iniziare una transizione controllata verso una societa’ post- energia fossile? Forse. Ma non lo sapremo se non ci proviamo. E’ se siamo portati a fornire questo sforzo, dobbiamo cominciare con l’ammettere una realta’ semplice e cruda: la crescita come l’abbiamo conosciuta non puo’ piu’ far parte dei nostri obbiettivi.