Usa, il boia non perde la mano

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

Nella serata di martedì scorso, il boia del carcere di Greensville, in Virginia, ha puntualmente eseguito la condanna a morte del detenuto John Allen Muhammad, protagonista sette anni fa di una serie di omicidi tra Washington, il Maryland e la stessa Virginia. Ribattezzato dalle cronache televisive come il “cecchino della Beltway” – l’arteria stradale che circonda la capitale – Muhammad, assieme ad un complice all’epoca 17enne, nell’autunno del 2002 seminò il panico prendendo di mira persone qualunque mentre camminavano per strada, rifornivano le loro auto presso stazioni di servizio o aspettavano l’autobus. La discussa esecuzione è stata portata a termine nonostante chiare prove dell’instabilità mentale del condannato, anch’egli reduce della prima Guerra del Golfo come tanti altri detenuti e giustiziati per crimini violenti in America negli ultimi anni.

Le vittime accertate della coppia omicida furono almeno dieci, anche se sui due ricaddero più tardi i sospetti per altre precedenti sparatorie con morti in Alabama, Arizona e Louisiana. La condanna a morte per Muhammad alla fine era arrivata però per un solo assassinio, quello di Dean Meyers, ingegnere di 48 anni colpito fatalmente nell’ottobre 2002 mentre era alla pompa di benzina di un distributore di Manassas, in Virginia. Proprio al sistema giudiziario di questo stato, il secondo per affollamento di detenuti nel braccio della morte dopo il Texas, l’allora Ministro della Giustizia John Ashcroft aveva indirizzato il procedimento a carico di Muhammad dopo il suo arresto, anche se la maggior parte dei suoi crimini era stata commessa nel Maryland, dove le condanne capitali erano invece sospese in attesa di uno studio sulla correttezza del metodo di esecuzione.

Da parte sua, Muhammad si è sempre dichiarato innocente per i crimini attribuitigli, mentre i suoi legali hanno insistito fino all’ultimo per vedergli riconosciuta l’infermità mentale. Secondo le testimonianze raccolte da avvocati, testimoni e psichiatri, il condannato soffriva infatti di gravi impedimenti psicologici. Una condizione che si era notevolmente aggravata dopo il ritorno in patria dal Medio Oriente, dove aveva partecipato alla Guerra del Golfo del 1991in qualità di sergente dell’esercito. Un membro della giuria nel processo che gli inflisse la pena capitale aveva addirittura dichiarato in seguito al verdetto che non avrebbe votato a favore della condanna se fosse stato al corrente dei problemi mentali di Muhammad.

L’appello di quest’ultimo alla Corte Suprema degli Stati Uniti è rimasto tuttavia inascoltato, nonostante la protesta di tre giudici che hanno criticato l’eccessiva fretta con cui il caso è stato rigettato. Successivamente, anche il governatore democratico Tim Kaine – autodefinitosi contrario alla pena di morte, malgrado nel corso del suo mandato abbia bloccato una sola esecuzione, dando il via libera invece ad altre nove – ha negato la grazia dell’ultimo minuto, condannando Muhammad alla morte per iniezione letale.

Nella testimonianza del suo complice, Lee Boyd Malvo, condannato all’ergastolo, era emerso tutto il disordine mentale di John Allen Muhammad. Una delle sparatorie inscenate dai due avrebbe infatti dovuto seminare una confusione tale da permettere il rapimento dei tre figli di Muhammad, nei confronti del quale la seconda moglie aveva ottenuto un’ordinanza restrittiva. Il loro piano di lungo termine prevedeva poi una richiesta di riscatto al governo americano. Il denaro così ottenuto avrebbe dovuto servire per la creazione di un campo di addestramento in Canada per giovani senzatetto che sarebbero poi stati inviati negli USA per compiere atti terroristici.

L’esecuzione del veterano dell’esercito Muhammad è avvenuta a pochi giorni di distanza dalla strage compiuta dal maggiore Nidal Malik Hasan nella base militare di Fort Hood in Texas. Due vicende quelle dei loro protagonisti che, come molte altre negli Stati Uniti, sono legate all’ambito militare e che testimoniano a sufficienza dell’atmosfera di violenza che avvolge la società americana. Una società costretta a fare i conti con le conseguenze impreviste di un militarismo sempre più aggressivo da parte del governo e che sarà ulteriormente alimentato dall’imminente annuncio del presidente Obama di inviare decine di migliaia di soldati in Afghanistan per combattere una guerra senza prospettive.

Non a caso, infatti, i due conflitti in Iraq, così come quello afgano, hanno prodotto negli ultimi anni un’ondata di violenza, spesso silenziosa, caratterizzata da suicidi, rapine, abusi famigliari e omicidi che hanno coinvolto reduci disperati e quasi sempre abbandonati al loro destino in patria. Una lunghissima striscia che include anche l’evento più sanguinoso avvenuto sul suolo americano prima dell’11 settembre: l’esplosione di un edifico federale a Oklahoma City nel 1995 dove persero la vita 168 persone, strage commessa dall’estremista di destra Timothy McVeigh, anch’egli veterano alla deriva della guerra per la liberazione del Kuwait.