Fao: il vertice si chiude senza soluzioni

di Carta.org

La dichiarazione finale del vertice mondiale sulla sicurezza alimentare delude: scarsa attenzione ai piccoli produttori contadini, pochissime risorse stanziate dai governi ricchi, spazio di manovra per le multinazionali e distrazione sull’impatto dei cambiamenti climatici.

Ci sono solo vari gradi di delusione, rabbia e disappunto. La soddisfazione è talmente poca che nemmeno i comunicati ufficiali riescono a nascondere il sostanziale fallimento del World Food Summit, chiuso oggi nella sede della Fao a Roma. Snobbato dai paesi del G8, che pure a L’Aquila, pochi mesi fa, avevano detto che la lotta alla fame sarebbe stato un impegno prioritario, e imprigionato tra la retorica dei governi e le manovre delle multinazionali, il vertice ha prodotto una dichiarazione finale che risente, nella sua debolezza, delle mediazioni e del braccio di ferro silenzioso che si sta svolgendo attorno alla questione della governance globale del cibo.

Non ci sono impegni vincolanti, nella dichiarazione finale, né ci sono fondi stanziati con certezza, anche se il direttore della Fao Jacques Diouf aveva chiesto un impegno per 44 miliardi di dollari. Si tace completamente anche sulla questione dei rapporti di forza tra la piccola agricoltura contadina, quella che effettivamente sfama la gran parte della popolazione mondiale, e le grandi aziende dell’agrobusiness, che cercano di dominare il mercato globale e i mercati locali. Medici senza frontiere nota come siano irrisorie le risorse destinate alla lotta contro la malnutrizione infatile.

E irrisolta rimangono le questioni del ruolo del Comitato per la sicurezza alimetare [Cfs], l’organismo «trasversale» che dovrebbe elaborare le proposte di riforma della governance mondiale sul cibo, nonché del ruolo della Organizzazione mondiale del commercio [Wto].
Sul prossimo vertice ministeriale della Wto, in programma dal 25 al 30 novembre a Ginevra, si appuntano in particolare le preoccupazioni dei movimenti sociali, delle reti contadine e delle organizzazioni della società civile che chiedono che la Wto non si occupi di agricoltura.

La volontà dei paesi ricchi di rilanciare, con l’alibi della crisi mondiale, un nuovo round di liberalizzazioni rischia di riportare l’agricoltura al centro degli appetiti della Wto e delle multinazionali che controllano il mercato dei futures alimentari, quello che, con la speculazione di borsa, fa aumentare il prezzo delle derrate agricole. Il fatto che nella dichiarazione finale del vertice non ci sia alcun cenno al peso che le speculazioni dell’agrobusiness hanno sulla tenuta del mercato mondiale del cibo è un segnale preoccupante proprio in vista del round negoziale di Ginevra, rileva la coalizione italiana Help local trade.

Nella sua «pagella» sui risultati del vertice, l’Ong Oxfam sottolinea anche che il linguaggio della dichiarazione finale è «vago e poco ambizioso» sulla questione dei cambiamenti climatici e dell’impatto che il probabile fallimento del vertice di Copenhagen avrà per l’agricoltura mondiale.
La crisi alimentare mondiale è ora invisibile sui media dei paesi ricchi, preoccupati per la tempesta perfetta della recessione finanziaria ed economica, ma le ragioni strutturali che due anni fa spinsero i prezzi agricoli alle stelle sono ancora tutte lì. Di più, come è stato sottolineato durante il Forum parallelo della società civile, una buona parte delle centinaia di miliardi di dollari che i governi ricchi hanno riversato nel salvataggio del sistema bancario si stanno spostando verso la speculazione di borsa sulle commodities agricole e sulle materie prime.

Con il rischio che, appena gli indicatori macroeconomici torneranno positivi, la crisi alimentare esploderà di nuovo. Dal Forum parallelo sono uscite proposte per avviare la soluzione della crisi e ripensare la governance del cibo a livello mondiale. Queste proposte, basate sull’idea di sovranità alimentare [che non coincide affatto con lo slogan della sicurezza alimentare caro ai governi e alle multinazionali], non sono entrate nella dichiarazione finale della Fao, nonostante provengano da reti come Via Campesina, in grado di aggregare decine di milioni di contadini in tutti i continenti.

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Fao, il vertice delle assenze

di Fabrizio Casari
da www.altrenotizie.org

Sarà che il G2 è più interessante, sarà che con la fame nel mondo la propaganda non funziona, sarà soprattutto che dovrebbero andare a spiegare perché i soldi promessi non sono stati dati, sarà che solo uno deve presenziare per evitare di recarsi in un tribunale a Milano, ma il fatto è che i rappresentanti dei potenti d’occidente sono rimasti a casa. Niente summit sulla fame: il vertice Fao di Roma si svolge quindi alla presenza delle vittime e in assenza dei carnefici.

Per carità, nessuno stupore per le assenze, funziona così. Quando devono annunciare generosità i politici si presentano a favor di telecamera in mondovisione; quando devono spiegare cosa hanno fatto, un viceministro con delega serve alla bisogna. Evitiamo, per carità di patria, anche le previste lacrime di coccodrillo che definiranno il summit “un’occasione persa”, un “appuntamento mancato” e via con le amenità a mezzo stampa. Una delle più frequenti e ipocrite riguarda quella della presunta mega burocrazia della FAO. La scusa dei ricchi è che non pagano quello che dovrebbero anche per non ingrassare la burocrazia della FAO. Ma quanto costa questo “mostro”?

Complessivamente, 280 milioni di Euro all’anno: quanto una media impresa italiana. Il lavoro di centinaia di persone in tre quarti del pianeta costa, appunto, come una media impresa italiana. E’ questo lo scandalo? Certo, ci saranno anche nella FAO sprechi e spese inutili, ma davvero volete che sia questo il problema? Sarà intanto giusto ricordare che in seno alla FAO gli emolumenti dei funzionari del Nord sono dieci volte superiori a quelli del Sud. Così, per combattere gli sprechi…

Sono stati promessi interventi percentuali sui rispettivi PIL da tutti i paesi ricchi. Nessuno, Italia in testa (guarda caso) li ha mantenuti. A Roma si evidenzia invece una cosa: la distanza abissale tra la realtà di un Occidente che decide, scientemente, di perpetrare il genocidio per fame di quei due miliardi di persone che risultano ospiti sgraditi al tavolo delle risorse, destinate esclusivamente al nord del mondo. Numerosissime sono le balle confezionate dai governi del Nord per tentare di sottrarsi alle responsabilità storiche del genocidio alimentare. Vogliamo provare ad elencarne qualcuna? Cominciamo dalle risorse procapite?

Si chiede al sud del mondo di produrre maggior cibo attraverso l’agricoltura. Bene, buon proposito. Peccato però che per produrre alimenti servano braccia e tecnologie; le prime abbondano ma non mangiano, anche perché la terra non viene sfruttata, visto che le tecnologie necessarie vengono vendute a prezzi inarrivabili. Succede poi che, anche nei casi dove la produzione agricola riesce a raggiungere livelli soddisfacenti, sia per il fabbisogno interno che per l’esportazione, con i cui proventi si potrebbe affrontare il problema in chiave sistemica e non episodica, il Nord ricco impone, tramite il WTO, l’abbassamento drastico del valore dei prodotti sul mercato internazionale e l’ulteriore innalzamento del know-out per produrli.

Il risultato è ovvio: decine di milioni di persone e miliardi di ore di lavoro rendono briciole di reddito al sud ed eccedenze favolose per il Nord. E se il Sud cerca linee di credito agevolate per finanziare l’acquisto delle tecnologie necessarie, già carissime, interviene il colpo di grazia sotto le spoglie della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che impongono politiche di “aggiustamen
to strutturale” per ottenere miserie con interessi usurai.

All’Africa o all’Asia vengono destinate armi e guerre. Sistema efficace per imbandire le tavole e le gioiellerie delle grandi avenue e, nello stesso tempo, ridurre i commensali che non devono trovare posto a tavola. La ricapitalizzazione del Nord passa, come sempre è passata, dall’estrazione di materie prime e risorse dal sud. Le risorse di cui dispone il Sud vengono strappate, dalle viscere della terra fino alla biosfera. Il fatto è che la crisi di sistema del capitalismo liberista ha nella sua genesi la necessità di depredare, non quella di condividere.

L’equilibrio necessario tra il Nord opulento ed il Sud affamato prevederebbe ripensamenti (questi sì strutturali) dell’ideologia della crescita infinita in un pianeta dalle risorse che infinite non sono. Avrebbe bisogno di ripensare la ripartizione delle risorse e l’equilibrio dei consumi, la fine dello spreco – principale veicolo delle speculazioni – e una lettura globale della contraddizione tra sviluppo e ambiente. Nulla di tutto ciò è nemmeno vagamente presente nell’agenda dei grandi e dei meno grandi. Un conto é comandare, un altro é governare. In fondo non pagano nemmeno i più piccoli, ma solo i più poveri. Nell’anno in cui la spesa militare statunitense si presenta come la più alta della storia, ci sembra doveroso un pensiero per le vittime inserite nella relativa previsione di bilancio. (16 novembre)