La Palestina è morta

di Tommaso Di Francesco
da www.ilmanifesto.it

Barack Obama si è detto «costernato» per la decisione del premier israeliano Netanyahu di estendere gli insediamenti di Ghilo, dentro Gerusalemme est, nel pieno dei Territori occupati e in quella parte di città che l’Anp rivendica come sua capitale. E mentre demoliscono le case «illegali» palestinesi.

Per Obama la decisione israeliana inasprisce i palestinesi «in un modo che potrebbe andare a finire molto pericolosamente» perché «la situazione in Medio Oriente è molto difficile e io ho detto ripetutamente e ribadisco che la sicurezza di Israele è un interesse nazionale vitale degli Stati Uniti».

Ma, ha proseguito, «la costruzione di nuovi insediamenti non contribuisce alla sicurezza di Israele, mentre rende difficile la convivenza con i vicini». Resta da chiedersi quanto abbia influito sulla decisione del governo di Tel Aviv l’indefinibile atteggiamento della Casa bianca che in una settimana ha pericolosamente cambiato atteggiamento tre volte. Prima dichiarando che Israele avrebbe dovuto «congelare» gli insediamenti, poi che avrebbe dovuto sospenderne l’edificazione, e infine rimproverando Abu Mazen che poneva come condizione per il dialogo diretto con Israele lo stop alle colonie.

È dopo questo ennesimo smacco che Abu Mazen ha annunciato la sua non ricandidatura a presidente, consapevole di non rappresentare più nessuno e di non avere ottenuto nulla delle promesse decennali che riempiono di chiacchiere i summit mediorientali, Road Map compresa. Gli Stati uniti e l’Unione europea – intanto l’Italia e la Nato confermano i trattati militari con Israele – hanno detto no anche all’unica possibilità che rimaneva ai palestinesi: la proclamazione unilaterale dello Stato di Palestina. «Sarebbe grave e fuori luogo» dice Solana sotto minaccia del governo israeliano pronto allora ad «annettersi le colonie».

Eppure questa proclamazione sarebbe nel solco di ben due risoluzioni delle Nazioni unite (diversamente da quella del Kosovo, fatta contro l’Onu e nonostante questo sostenuta da molti paesi occidentali) A questo punto i palestinesi non possono nemmeno dichiararsi sconfitti e consegnarsi ad Israele che rifiuta l’eventuale binazionalità del suo stato come un male assoluto, cioè quanto se non più dello Stato di Palestina.

Ormai bisogna prenderne atto di una verità: la Palestina per la quale ci siamo augurati un destino di pace e, soprattutto, per la quale hanno combattuto generazioni di palestinesi, non esiste più. Per essere ancora più espliciti: il processo di pace che prevede due popoli per due stati è inesorabilmente morto. Come confermano anche importanti interlocutori palestinesi moderati e molti osservatori internazionali.

È stato un lento, consapevole avvelenamento delle fonti della mediazione. Con l’isolamento a cannonate di Arafat nella Muqata e la sua «strana» morte nel 2004. E poi con il boicottaggio internazionale della vittoria elettorale, nel gennaio 2006, di Hamas che aveva vinto sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania. Alcune domande: che fine fanno le risoluzioni Onu che impongono a Israele di ritirare le truppe sui confini della guerra del ’67?

Quale autorità israeliana salirà sul banco degli imputati, dopo le accuse del rapporto Onu sui crimini di guerra contro i civili per i raid aerei su Gaza di dieci mesi fa? Chi racconta più, nell’enfasi narrativa del ventennale dell’89, la vergogna del Muro d’Israele che ruba terre palestinesi e recinta le «vite degli altri»?

Che fine fa lo stato palestinese con le sempre più numerose colonie che cancellano ogni pur minima continuità territoriale necessaria ad uno stato? Chi protesta sui diritti umani per diecimila prigionieri politici palestinesi che languono nelle prigioni d’Israele? Chi sa rispondere al desiderio al ritorno di tre milioni e mezzo di profughi palestinesi dispersi come paria nelle baraccopoli del Medio Oriente o in esilio nel mondo?

Obama ha ragione, c’è una sola certezza: finirà «molto pericolosamente». Perché ai palestinesi resta solo la loro disperazione.