Mi rifiuto, dunque sono

di Francesca Borri
da www.peacelink.it

In Israele la leva è obbligatoria, e l’obiezione di coscienza illegale. Si è semplici disertori. Dopo una settimana in isolamento Efi Brenner, 18 anni, domani torna in carcere. “I giorni in cui meglio ho combattuto per il mio paese”

“E adesso niente, per i prossimi tre mesi mi tocca incontrare questo psicologo dell’esercito, perché il servizio militare è obbligatorio, qui, tre anni, e non è prevista nessuna obiezione di coscienza, è come la diserzione, è illegale, e finisci in carcere, fino a quattro settimane, poi un giorno di libertà e poi sei di nuovo richiamato, e di nuovo ti presenti in caserma e di nuovo rifiuti di arruolarti e di nuovo finisci in carcere, e così, all’infinito, cioè, fino a quando non ti stanchi, perché che alternative hai?, non puoi continuare tutta la vita: e allora accetti di incontrare lo psicologo, e di spiegargli problemi che non hai, o lasciarti spiegare problemi che non hai, e perché è il solo modo per essere esonerati, qui, lo psicologo, e anche se io sono stato chiaro, e ho scritto e firmato che non intendo arruolarmi per ragioni politiche.

Ma questo è quello che risulterà ufficialmente, che non sono adatto all’esercito, perché sono fragile di mente e storie del genere: e anche se è l’esatto contrario, perché se davvero fossi fragile avrei scelto la strada di moltissimi altri, e mi sarei nascosto dietro il mio bravo certificato medico, e inventato un pretesto qualsiasi, come tutti gli altri, e perché sono tanti, sono sei su dieci, e oggi sarei fuori dall’esercito invece che da casa mia, perché mio padre ha combattuto in Libano e per lui i palestinesi sono tutti terroristi, e suo figlio solo un traditore – ma per Israele alla fine l’invertebrato sono io, non chi ha paura di dire pubblicamente che questa occupazione è criminale”.

“E anche se per Amnesty International siamo prigionieri di coscienza, in carcere non per dei reati ma per delle opinioni, neppure mezzo deputato ha mai proposto un disegno di legge sull’obiezione: neppure a sinistra: perché su certi temi il consenso è unanime, non è questione di destra e sinistra, nessuno ci sostiene, è questione di sionismo e per gli stranieri è difficile capire cosa significa qui, essere un refusenik, quanto sia estremo e radicale, sovversivo nel senso letterale della parola: perché Israele, per definizione, arriva dalla convinzione che un ebreo disarmato è un ebreo destinato alla camera a gas, e un israeliano che rifiuta di arruolarsi, allora, semplicemente non è un israeliano: solo un pericolo per Israele, per la sua sopravvivenza.

Anche se nessuno si chiede che stato sia, che fallimento sia uno stato che dopo sessant’anni ancora fonda la sua sopravvivenza sull’esercito – e nessuno, soprattutto, si chiede se davvero Israele sia qui solo in virtù del suo esercito: perché alla fine, dopo l’Olocausto, è stata la legittimità morale a consentire questo paese, non un esercito che di guerra in guerra non ha conquistato che odio, e non ha piegato la resistenza palestinese neppure forte del divario tra una fionda e un’atomica: e allora forse è il momento di considerare un pericolo non i refusenik, ma i soldati che obbediscono a ordini che minano la sicurezza di Israele”.

“In realtà poi la maggioranza dei refusenik si limita a contestare l’occupazione, perché riconosce che è solo oppressione, non amministrazione, che Israele ha superato il confine tra difesa e aggressione, e che questo confine è la Linea Verde: e la maggioranza, allora, si rifiuta di servire nei Territori, ma continua a servire in Israele, perché dice che l’occupazione genera solo violenza, e che è questo il sionismo più autentico, perché l’obiettivo del sionismo è la sicurezza degli ebrei, e il terrorista non è che un terrorizzato: ed è la verità, ma per me non l’intera verità, perché la fine dell’occupazione non sarà la fine della guerra, ma solo l’inizio del negoziato, perché per me questa guerra non è cominciata nel 1967, ma nel 1948, e il problema è proprio il sionismo, e l’oppressione non solo quella dei palestinesi, ma anche degli arabi israeliani, e di tutti gli ebrei che non rispondono ai canoni del sionismo, tutti i dissidenti e diversi.

E allora per me la mia scelta non è il patriottismo più autentico, perché non sono questi i miei valori: non è semplice questione di insediamenti, qui, ma di negazione degli arabi, esclusione degli altri – perché hanno ragione che questa guerra non si fermerà fino a quando non ci fermeremo, ma più precisamente, la pace non tornerà fino a quando non torneranno i palestinesi: io non chiedo solo la fine dell’occupazione, ma pluralismo e coesistenza – e sono stanco di tutte le domande ogni volta sulla mia identità, se sono ebreo, se sono israeliano sono solo stanco, sono solo un essere umano”.

“E la mia generazione ha più titolo di altre, per parlare, perché siamo nati negli anni di Oslo, gli anni della pace e invece Oslo è stato un inganno prima che un fallimento, perché è stata proprio la pace a introdurre il sistema delle aree A, B, C, e la separazione formale, fino al Muro, con il risultato che un israeliano oggi dei palestinesi sa solo quello che impara a scuola, e cioè che la nakbah non è che propaganda, perché nel 1948 gli arabi hanno impedito in ogni modo la creazione di un rifugio per gli scampati di Auschwitz, e da allora niente è cambiato, perché ci odiano, perché vogliono sterminarci tutti e è da quando sei all’asilo, qui, che sei abituato a preparare dolci per i soldati al fronte, a pensarli come i tuoi angeli custodi, è dall’asilo che sei abituato anche tu a crescere soldato, l’esercito è parte integrante della nostra formazione, qui, con gli ufficiali che organizzano gite ai vecchi campi di battaglia.

E ti convincono di quanto è decisivo il tuo contributo, perché di là dal Muro ti braccano, oltre quel Muro ti sparano – e solo che oggi esiste internet, oltre alla storia ufficiale: e un giorno, per caso, ho cominciato a leggere quello che di Israele si racconta fuori di Israele: e un venerdì sono andato a Bil’in: e non solo nessun palestinese mi ha ucciso, ma sono stati i miei angeli custodi a spararmi: e allora ho cominciato a capire: e ma proprio per merito di Oslo e della pace, la realtà è adesso dietro un Muro: per questo ho scelto il carcere, il megafono invece che il certificato medico, perché voglio costringere gli israeliani a occuparsi dell’occupazione, a non confonderla con il paesaggio – perché per un ventenne oggi tutto questo è naturale, naturale arruolarsi naturale la guerra: ma non mi sento solo, no: tutti ogni volta mi chiedono se mi sento solo, ma la mia risposta è nella tua domanda, perché io non sono solo, io sono qui con te”.

“Dicono che siamo solo dei codardi: e quando rispondiamo che molti si decidono all’obiezione di coscienza dopo avere combattuto nei Territori, e spesso al fronte, dicono che siamo solo egoisti, giovani indifferenti al destino di Israele: ma siamo tutti impegnati nel volontariato, qui, e abbiamo cura di questa società più di un’occupazione che brucia milioni di dollari, e compra ai suoi cittadini solo odio e terroristi, invece che scuole, e case e ospedali: e allora dicono che se siamo davvero così convinti di essere meglio degli altri, proprio per questo dovremmo invece arruolarci, e stare ai checkpoint, e dai checkpoint dai carroarmati, condurre un’occupazione giusta: riformare l’esercito dall’interno: non so, onestamente, se consiglierebbero a un palestinese di entrare in Hamas per fermare Hamas: ma so che gli insediamenti sono contro il diritto internazionale, e che non è possibile essere cortesemente contro il diritto internazionale, è come la vivisezione, quando ti spiegano che però sono tecniche che evitano all’animale di soffrire, l’animale alla fine è ucciso comunque, e così i palestinesi alla fine sono occupati comunque, è una questione di etica, non di strategia, no
n è possibile cambiare l’occupazione dall’interno, e non solo perché un soldato è tenuto a obbedire agli ordini, e non a migliorarli.

Ma perché è l’occupazione a cambiare gli israeliani dall’interno, e la violenza che si sperimenta nei Territori, l’abitudine al dominio, l’assuefazione alla sopraffazione, tutto è restituito qui di contraccolpo, e anche ieri, per strada, mi hanno riconosciuto e aggredito, non si usa più criticare, discutere insultare, no, direttamente colpire, eliminare – e poi quando ti contestano, allora, che Israele è una democrazia, e come in ogni democrazia, che l’esercito è subordinato al governo, e che quindi gli ordini dell’esercito sono in realtà gli ordini del governo, la volontà della maggioranza: e che dunque siamo noi, alla fine, i non democratici: ma a parte che la maggioranza, qui, non sa niente di cosa accade dall’altra parte del Muro: ma Israele non è affatto una democrazia: perché oltre la Linea Verde, sono quarant’anni che amministra milioni di persone con le mitragliatrici invece che le elezioni, e di qua dalla Linea Verde, è lo stato degli ebrei, non dei suoi cittadini: democrazia non significa solo procedure e maggioranze, democrazia è anche valori: non mi interessano i numeri, ma i diritti”.

“Perché potevo inventarmi il mio bravo certificato medico, certo, e ora essere libero, ma rivendico il diritto all’obiezione di coscienza come il diritto a opporre alla scelta di Israele la mia scelta: perché alla fine siamo tutti refusenik, in questo paese, qualcuno rifiuta l’esercito, qualcuno rifiuta gli arabi, ma quello che è importante dire, per me, è che in entrambi i casi si tratta di scelte, che non è vero che Israele è costretto a tutto questo, perché forse è stato costretto alla Guerra dei sei giorni, ma questa è la guerra del settimo giorno, ed è di questo che stiamo parlando, di un’occupazione e tutto questo non riguarda l’Olocausto, non riguarda il passato degli ebrei ma il loro presente, la loro scelta, ed è a questa scelta che io rivendico il diritto di opporre la mia – ed è in questo che sono radicalmente diverso dal soldato religioso che contesta gli ordini di smantellare gli insediamenti.

Ed è per questo che non è vero che se vogliamo essere riconosciuti come refusenik dobbiamo anche riconoscere i refusenik che disobbediscono a ordini a cui noi invece saremmo pronti a obbedire: perché io sono qui in nome della mia libertà di pensiero, e è in nome di questa libertà che domani torno in carcere: per obbedire alla mia coscienza e non a un rabbino: perché quello sì, è un rifiuto pericoloso e sovversivo, il tentativo di sostituire alla legittima autorità dello stato l’indefinita autorità della Torah, quello sì è un rifiuto della democrazia, trasformare Israele in una teocrazia, e perché è proprio qui il cancro di Israele, qui l’effetto del sionismo: forgiare soldati invece che uomini, sudditi capaci solo di obbedire, al comandante o al rabbino ma comunque senza il minimo senso critico: e allora la mia battaglia, oggi, non è per la disobbedienza, ma più esattamente per la scelta: perché nessuno è costretto a tutto questo, qui, perché siamo liberi: perché siamo responsabili: no, non sono affatto come dicono, uno che non ha studiato la storia, al contrario: perché è stata la seconda guerra mondiale, il processo di Norimberga a sancire che le norme nazionali sono subordinate alle norme internazionali, che in caso di contrasto si ha non solo il diritto di disobbedire agli ordini ricevuti, ma più precisamente, l’obbligo di disobbedire – no, io sono quello, qui, che più ha imparato la lezione dell’Olocausto”.