Vertice FAO: note a margine

Benedetto XVI, la crisi economica e la fame nel mondo

di Giancarlo Fava
da www.italialaica.it

Durante il vertice FAO tenuto a Roma in novembre, Benedetto XVI ha fatto varie affermazioni imprecise o erronee. Del resto, come stupirsi se nella sua ultima enciclica sociale è giunto ad affermare che è stata la diminuzione demografica dei paesi industrializzati a determinare l’attuale crisi economica! Tralasciamo pure i passi di buonismo che, pur emotivamente ben calibrati, sono privi di una base razionale e quindi poco utili per risolvere i problemi della fame nel mondo. È invece opportuno un commento ad un paio di brani.

“… si conferma il dato che la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti”.

Questa è una citazione delle stime della FAO, abbastanza credibili anche se un po’ ottimistiche. Tuttavia è semplicistico affermare che basterebbe meno egoismo e meno interesse per il guadagno per dare a tutti la giusta quantità di alimento. Certo, possiamo immaginare che i paesi ricchi imbarchino le derrate in eccesso e le scarichino nei porti dei Paesi dove c’è denutrizione, ma a chi le consegnano? Ovviamente ai governanti locali molti dei quali, notoriamente, vendono gli aiuti per acquistare armi o per arricchire. La stessa FAO afferma che se si potesse estirpare la corruzione dilagante la denutrizione sparirebbe in pochi anni. Peccato non basti un anatema papale per fare il miracolo.

Ma esiste anche un altro problema serissimo: la distribuzione di derrate gratuite determina la caduta dei prezzi nei mercati locali, mettendo in seria crisi l’agricoltura già in difficoltà, finendo col peggiorare la situazione come sanno bene gli operatori delle agenzie governative che si occupano dell’assistenza ai Paesi del terzo mondo: sinora nessuno ha escogitato una soluzione valida.

“… Infatti, sebbene in alcune regioni permangano bassi livelli di produzione agricola anche a causa di mutamenti climatici, globalmente tale produzione è sufficiente per soddisfare sia la domanda attuale, sia quella prevedibile in futuro”.

Qui c’è un’affermazione di cui è ignoto il significato: infatti, cosa significa “prevedibile futuro”? vuol dire tra 10 oppure 100 o 1000 o più anni ancora? E quale credibilità scientifica può avere questa sorta di lettura nella sfera di cristallo?

“ …Questi dati indicano l’assenza di una relazione di causa-effetto tra la crescita della popolazione e la fame…”.

Tale affermazione del non-problema della crescita demografica viene ripetuto ossessivamente dai vertici vaticani che, con caparbia ottusità, rifiutano qualsiasi ipotesi di controllo delle nascite.

Vediamo qualche dato che ci aiuta ad inquadrare il problema. Per ciascuna voce, il primo numero si riferisce alla popolazione nel 1900, il secondo a quella del 2008, poco più di un secolo (dati reperibili in internet):

Mondo: 1.522.000.000 / 6.677.000.000; Italia: 33.570.000 / 60.000.000; Napoli: 547.000 / 973.000; Roma: 600.000 / 2.700.000; Firenze: 198.000 / 365.000; Milano: 490.000 / 1.300.000.

A livello mondiale la popolazione è quadruplicata. In Italia è raddoppiata; ma a Roma è quadruplicata e a Milano è cresciuta di 2,6 volte. Non è difficile immaginare cosa significhi in termini di traffico, inquinamento, distruzione di territorio, una simile crescita della popolazione e delle aree urbane. E a noi va ancora bene: fa tremare i polsi pensare a città come Città del Messico, Il Cairo, o New York, per citare solo alcune megalopoli.

Per avere una stima della quantità di territorio necessaria per soddisfare le esigenze di una persona gli scienziati hanno introdotto una misura detta Impronta ecologica pro capite (= superficie media necessaria per soddisfare le esigenze di un abitante): a livello mondiale è di 1,78 ettari, e in Italia è pari a 4,2 ettari, il doppio della prima, con stime non molto dissimili per gli altri paesi industrializzati (da Wikipedia, dati 2005). Il fatto molto preoccupante è che l’IE mondiale appare maggiore della capacità bioproduttiva dell’intero pianeta, in altri termini stiamo consumando più risorse di quanto la terra possa rinnovare.

Il wwf scrive: “se tutti gli esseri umani avessero un’impronta ecologica pari a quella degli abitanti dei paesi sviluppati non basterebbe l’attuale pianeta per sostenerla: nel 2050 ce ne vorrebbero due di pianeti, se continuerà l’attuale ritmo di consumo di acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali tra cui le risorse ittiche.”

Può anche essere che queste stime siano un po’ esagerate, dimezziamole pure o riduciamole ad un quarto: è comunque evidente che la popolazione mondiale non può crescere a dismisura, per il semplice fatto che ogni individuo necessita di una determinata quantità di superficie terrestre per soddisfare le proprie esigenze vitali e, piaccia o no, la Terra ha una superficie finita. Non tener conto di questo fatto significa andare ciecamente verso la distruzione totale dell’umanità e dell’intero pianeta, qualche miliardo di anni prima che questa incombenza venga assicurata dalla pirotecnica morte del sole.

Il pontefice lancia accorati appelli perché non si distrugga il pianeta, perché si conservi la natura. Ma quale senso hanno questi appelli quando si afferma che la terra soddisferà le esigenze della popolazione futura, qualsiasi essa sia?

Attualmente è difficile prevedere con esattezza la dimensione della popolazione umana che si rivelerà critica ed innescherà il collasso, probabilmente irreversibile: ma nel dubbio, onestà intellettuale e il semplice buon senso suggerirebbero di fermarsi quanto prima per evitare la catastrofe. Che significato può avere battersi per limitare o fermare il riscaldamento del nostro pianeta (che ha raggiunto gli attuali livelli a seguito dell’enorme aumento della popolazione ancor più che del progresso tecnologico che ha condotto all’attuale livello di benessere, cui nessuno è disposto a rinunciare e che, anzi, viene fortemente ricercato nei paesi in via di sviluppo) se poi non si vuole assolutamente considerare che la bomba demografica deflagrerà con effetti forse più tragici di quelli del riscaldamento.?

L’esistenza di una “… assenza di relazione di causa-effetto tra la crescita della popolazione e la fame…” appare come un’affermazione palesemente infondata. Se si considera quanto si è verificato nel continente africano, si vede come la produzione di alimenti sia cresciuta, ma più lentamente dell’aumento della popolazione. Conseguentemente la disponibilità di alimento pro-capite ha continuato a diminuire nell’ultimo decennio. Proviamo a immaginare cosa potrà accadere da ora al 2050, quando la FAO prevede che la popolazione africana passerà dagli attuali 880 milioni a 2 miliardi!

Può essere utile consultare la mappa mondiale elaborata dalla FAO su www.fao.org/hunger/en/. Confrontando la mappa del 1990-92 con quella del 2004-06 è evidente come la situazione sia peggiorata in Africa mentre il miglioramento è stato netto in Asia e Sud America. Non stupisce che gli andamenti possano modificarsi da un continente all’altro, perché il peso di alcuni fattori può differire in aree diverse.

Secondo numerosi osservatori, inclusi alcuni missionari cattolici, la sola speranza di migliorare la condizione delle popolazioni africane passa attraverso un incremento del livello di istruzione dei giovani, delle bambine in particolare. Ma non sarà rapido.

Se diamo uno sguardo a quanto è accaduto nel ‘900 risulta evidente come, per l’intero secolo, la denutrizione abbia colpito solo le aree dove la popolazione è cresciuta con velocità maggiore rispetto all’ aumento della produzione di risorse. La possibilità di un riequilibrio a livello mondiale si è rivelata una tragica chimera e nulla lascia prevedere che, in questo s
ecolo, le cose possano andare in modo diverso.

Certo, la strada dell’educazione sembra quella giusta, ma richiederà del tempo e dovrà essere comunque accompagnata da un forte rallentamento della crescita demografica: sempre che qualcuno non si faccia dare dall’alto la delega per fare miracoli…