Il silenzio delle donne

di Clelia Mori
da www.aprileonline.info

Silenzio. Lo stesso silenzio che sperimentiamo come donne e come cittadine all’interno di un sistema di potere, di informazione/disinformazione nel quale vorremo esistere tra riflessioni e dialogo, ha aleggiato e aleggia intorno alla manifestazione di Maschile Plurale (contro la violenza maschile alle donne, la prima indetta da maschi contro i maschi violenti con le donne avvenuta sabato 21 a Roma). E mi chiedo il perché

Ho cercato, con abbastanza cura in rete, segnali femminili sperandoli persino positivi sulla manifestazione voluta dagli uomini dell’Associazione Maschile Plurale contro la violenza maschile alle donne -la prima indetta da maschi contro i maschi violenti con le donne- e non li ho trovati. C’è un articolo, il solo che ho trovato, su Il paese delle Donne, tra il risentito e il contento, di Paola Zaretti e un altro di Marina Pivetta, sempre sul sito.

Non capisco come mai non notiamo un nuovo che ci accade intorno? E mi chiedo che succede o se invece sono io che mi illudo facilmente, ponendomi delle aspettative irreali? O se abbiamo paura? Da quando ho saputo di questa manifestazione da Stefano Ciccone, a Roma all’assemblea indetta da Ida Dominijanni e altre, ho continuato a chiedermi come avrei potuto andare e come sarei riuscita a farcela. Perché volevo esserci ad una manifestazione che auspicavo già al ritorno da quella ormai famosa, a Roma del 2007, contro la violenza maschile alle donne. Quella che ha fatto discutere per il tentativo del potere partitico femminile di attribuirsi i vantaggi del suo successo ma anche quella che ha rifiutato ancora, allora, la partecipazione di quegli uomini che condividevano il no delle donne sugli uomini violenti.

Mi ricordo che in corriera con un’amica ci dicevamo, incredule che potesse accadere, che la prossima manifestazione l’avrebbero dovuto indire gli uomini per segnare il cambio di passo su di un tema che aveva come soggetto gli uomini e come oggetto le donne e che se gli uomini non ne prendevano coscienza non ci si schiodava dalla situazione, come donne.

Perché il problema era loro. L’ho anche scritto questo nostro desiderio e da qualche parte, penso al sito Dea Donnealtri, si trova. Così come si trova anche l’idea che tra di loro, nell’associazione Maschile Plurale, proprio quella mattina del 2007 incontrandosi per capire che fare a proposito della loro esclusione dalla manifestazione, ne avevano parlato.

E’ vero, non è che in questi due anni ci siano state tante voci che lo desideravano e lo esprimevano. Ma pensavo che, se ci sono uomini che rompono il cerchio di omertà maschile e finalmente non temono di esporsi pubblicamente nei confronti del loro stesso gruppo di maschi, potessero avere, da parte nostra, una qualche considerazione maggiore su di un iniziale cambio di passo simbolico che ci riguardava da vicino.

Se penso poi all’estate bollente dei nostri politici di destra e di sinistra e al “disordine” che hanno espresso sulla confusione maschile tra sesso, potere, soldi, relazione col femminile – produzione riproduzione – mi pareva proprio che ora questa distinzione tra maschi cadesse a fagiolo e che finalmente aprisse sul maschile quella contraddizione che gli uomini in genere, e non solo quelli della politica, fanno fatica ad esprimere. Quando si fanno bastare il pensiero che loro sono diversi dai signori Berlusconi e Marrazzo e non hanno bisogno di dirlo pubblicamente – e non dicendolo continuano a proteggere quell’omertà silenziosa tra uomini che garantisce la continuità del loro modello sociale, anche se di crisi perenne.

Se non si riesce a cogliere il nuovo di questo fare che parte proprio dal dato maschile più eclatante, l’esercizio della violenza, nella relazione col femminile, non so proprio come potremo relazionarci, ognuno /ognuna a partire da sé, sul resto delle profonde contraddizioni che il patriarcato maschile, ancorché in crisi o finito, ha imposto alla società e a noi donne.
Come potremo valutare o strutturare una comunicazione sul resto delle tematiche che ci interessano se non mettiamo in discussione con loro il modello di base da cui i più prendono le mosse per definirsi e definirci? Penso al legame tra lavoro e vita che come donne vorremmo cambiare e al doppio sì nostro su lavoro e maternità e a come faremo a modificarlo se non cogliamo i cambiamenti anche minimi che accadono sull’altro versante del nostro vivere.

Paolozzi e Leiss hanno scritto in “La paura degli uomini. Maschi e femmine nella crisi della politica” che le donne sono cambiate e gli uomini dovranno farlo. Ma come faremo ad accorgerci dei cambiamenti che avvengono tra gli uomini, se ce ne disinteressiamo? Tra l’altro il femminismo ci ha abituate a leggere tra le pieghe del quotidiano i cambiamenti anche minuscoli delle donne che la società dei media nasconde o non riconosce e all’improvviso perdiamo quest’abitudine alla lettura della realtà se a fare minimi cambiamenti sono gli uomini? O siamo invece convinte che ce la faremo anche se gli uomini non cambiano? Ma non possiamo cambiare noi sole e gli uomini stare fermi. Vorrebbe dire che loro vanno già bene così e noi sappiamo che non è vero, ma non solo perché lo diciamo noi che siamo cambiate, lo dice la crisi del mondo che loro hanno immaginato per tutti/e.

Certo una rondine non fa primavera e molto abbiamo sopportato nei secoli e nei millenni dal potere maschile. Ma questo non ci esime dal non vedere quel che accade. A meno che non ci muoviamo come hanno fatto loro col femminismo e anche noi scegliamo di non vedere. Ma perchè? Noi, siamo così? Non lo credo a meno che non vogliamo restare legate alla condizione di vittime che la violenza maschile ci impone senza cogliere i profondi cambiamenti che noi stesse abbiamo messo in atto.

No. Noi non siamo come gli uomini della politica o come le donne “imitative”anche se la paura di illuderci può farcelo fare: di non vedere. Ma non ce lo possiamo permettere. C’è troppo disordine sotto al sole per poterci concedere questo inutile lusso. Mi pare di sentirci ripetere che è talmente tanto tempo che gli uomini non si muovono che non è il caso di stare a preoccuparci perché hanno indetto per una volta una manifestazione contro la violenza maschile alle donne…

Ho sperimentato da molto tempo questa sordità maschile alla voce dissonante e critica delle donne in politica e ho visto la distruzione a diffusione geometrica che sono riusciti ad attuare con questa innaturale sordità, più pericolosa perchè voluta. Non credo che come donne possiamo anche involontariamente percorrere le loro stesse strade. Parliamo, parliamone di quello che accade. Come abbiamo sempre fatto. Indipendentemente da chi lo fa accadere e dai nostri rancori. Il silenzio non rafforza i poteri, quello dei maschi sul loro presunto potere lo sta distruggendo…

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Finalmente uomini in piazza contro violenza alle donne

di Paola Zaretti
da www.womenews.net

Solo quando gli uomini, da soli e con una loro autonoma iniziativa, saranno in grado di prendere una loro posizione simbolica chiara, solo quando avranno il coraggio di scendere pubblicamente in piazza e di manifestare contro la violenza alle donne, sarà possibile intravedere un segno di mutamento reale ed epocale della rete socio-simbolica in cui siamo invischiati/e, scrivevo. In questo quadro tristemente immutato di evidenti difficoltà relazionali, qualcosa di buono è avvenuto

Assicuro che non si tratta di una questione di forma o di lana caprina se dico che mi sarebbe piaciuto ricevere per via diretta la comunicazione via e-mail della Manifestazione di Maschile plurale a
Roma in data 21 da alcuni amici dell’Associazione medesima che ho avuto il piacere d’invitare a Padova ad alcuniConvegni organizzati da Oikos-bios e che collaborano con noi per un lavoro nelle scuole.
Non è andata così e probabilmente non ci avrei fatto caso se non fosse che, guardando le cose in apres-coup, una certa mancanza di attenzione si è manifestata anche in altre occasioni e in altre forme, destando in me alcune perplessità e sollevando alcuni interrogativi in merito all’effettiva capacità di stabilire relazioni nuovamente e diversamente impostate fra uomini e donne.

Considero in effetti, in generale – e sit venia verbis – le non risposte alle e-mail, un gesto che non tiene in gran conto l’altro/a, neppure a livello della pura e semplice educazione. Considero, altresì, gesto di dispregio o quanto meno di sufficienza – ma forse sbaglio – il disinteresse e l’indifferenza verso la produzione teorica di chi contribuisca, in quanto donna, all’elaborazione riguardante le problematiche di genere.

Considero, ancora, gesto poco consono – ma forse sbaglio – ricevere un testo e ammutolire facendo “come se non” lo si fosse ricevuto. Eppure in questo quadro tristemente immutato di evidenti difficoltà relazionali, qualcosa di buono è avvenuto: è diventato vero, ciò che in un articolo da me inviato tempo fa a Il Paese delle donne. veniva fortemente auspicato:

“Solo quando gli uomini, da soli e con una loro autonoma iniziativa, saranno in grado di prendere una loro posizione simbolica chiara, solo quando avranno il coraggio di scendere pubblicamente in piazza e di manifestare contro la violenza alle donne, sarà possibile intravedere un segno di mutamento reale ed epocale della rete socio-simbolica in cui siamo invischiati/ e”.

Ma c’è dell’altro di cui rallegrarsi: c’è che in una riunione piuttosto agitata, tenutasi un anno fa in una bella osteria di Padova con un rappresentante di Maschile Plurale, l’insistenza sulla necessità da parte degli uomini di assumersi “collettivamente la responsabilità storica” dei danni del Patriarcato – ritenuta da parte nostra una conditio sine qua non per procedere nella discussione a partire da alcuni punti fermi – è stata posta con forza.

E questa “responsabilità collettiva” non era, in quel momento nè scontata, nè condivisa.
Benvenga dunque la sua celebrazione nel Manifesto, ma credo che sul rispetto nei riguardi delle donne, ci sia ancora molto, moltissimo lavoro da fare…..



Tre manifestazioni, molti i passi in avanti, ma tanti nodi ancora da sciogliere

di Marina Pivetta
da www.womenews.net

Io sono convinta che la radice prima di tutte le violenze sta nella non risolta conflittualità tra uomo e donna. E’ per questo che scendere in piazza il 28 accettando tutte le nostre differenze, è un modo forte per evidenziare la contraddizione principale che è quella segnata dalla cultura machista oggi rifiutata anche da non pochi uomini.

A Roma il 21 novembre si sono concentrate più iniziative che, per fortuna, non si sono sovrapposte così, con un po’ di fatica ho potuto seguirle tutte. Alle 15.30 ero a Piazza Farnese, dal palco di MaschilePlurale si sono susseguiti riflessioni di uomini che provenivano un po’ da tutte le regioni, dal Piemonte, dalla Lombardia, dall’Emilia Romagna, dalla Toscana, dall’Umbria dal Veneto, dalla Puglia dalla Sicilia, dalla Sardegna.
Uomini che si sono dichiarati sempre più convinti che ci sia un unico legame tra fenomeni anche molti distanti tra loro, ma riconducibili tutti alla resistenza con coi la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita in libertà. Il corpo femminile disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio viene rimosso da ambiti decisivi: nella politica, nell’accademia, nell’informazione, nell’impresa, nelle organizzazioni sindacali. E questo impoverisce tutti.

Per questi uomini è importante che si diffonda una riflessione pubblica che parta proprio da quelli che sono capaci di mettersi in discussione per aprire un confronto in famiglia, nella scuola, nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione e nel mondo del lavoro. Importante e cambiare nella quotidianità comportamenti che limitano i desideri di libertà femminile. Un modo questo di cambiare senso anche alla libertà maschile. Un aiuto alla riflessione può essere dato dalla pubblicazione “ Essere maschi tra potere e libertà ” di Stefano Ciccone pubblicato da Rosemberg&Sellier.

Il libro nuovo di stampa lo si poteva trovare in piazza o in libreria: così tra un intervento e l’altro mentre suonava un sax ho letto la quarta di copertina. Gli ultimi venti o trenta anni hanno visto mutare in modo radicale i rapporti tra uomini e donne.

La grande trasformazione innescata dalle donne ha cambiato anche le vite di molti maschi. Si è iniziato a parlare di disagio maschile e non soltanto tra le generazioni più mature. Secondo alcuni la certezza della propria virilità può essere intaccata dalla nuova libertà femminile, e l’incertezza su di sé produce sofferenza. Nascono inedite rivendicazioni maschili, come nel caso dei padri separati. Forse sta nascendo anche uno nuova violenza maschile di tipo reattivo.

Ma coglie davvero nel segno l’immagine ricorrente di uomini disorientati dall’intraprendenza femminile nel corteggiamento o chiusi a difesa della loro posizione nel lavoro? Ciccone polemizza contro il vittimismo e il “revanscismo maschile”, ma rifiuta allo stesso tempo il volontarismo del “politicamente corretto”.

Egli propone un’altra strada che vede il protagonismo delle donne non come una minaccia ma come un’occasione per esprimere una domanda latente di libertà maschile dagli stereotipi che costringono la vita degli uomini e imprigionano la loro vita, la loro sessualità e la loro esperienza di paternità. Si legge la situazione come una opportunità per gli uomini. Il libro propone uno sguardo inconsueto su temi finora considerati “femminili”, come violenza sessuale, genere, relazione con i figli, lavoro di cura, prostituzione, esperienza del corpo. Queste pagine rimescolano le carte e i luoghi comuni, e mostrano che anche gli uomini possono scoprire un’altra dimensione dell’esperienza umana.

Intorno alle 17, con il libro in mano sicura che dal palco avrebbero ricordato la manifestazione nazionale del 28 contro la violenza , contro tutte le violenza alle donne, ho attraversato il Tevere per raggiungere la Casa Internazionale dove si sarebbe tenuto un incontro proposta dal gruppo “Donne della realtà” con l’adesione e la collaborazione di alcune giornaliste romane e di colleghe de la Repubblica, il quotidiano che ha lanciato l’appello per la dignità delle donne firmato da oltre centomila.

La sala grande al Primo piano era già piena ed era stata allestita anche la stanza attigua con un televisore per dare la possibilità a tutte/i di seguire relazioni e interventi. Nell’introdurre il forum Paola Ciccioli ha ripercorso la storia del gruppo Donne della realtà ricordando l’incontro tenuto i 5 ottobre a Milano e sottolineando che l’iniziativa continuerà con un appuntamento anche a Bologna. Molte interessanti le due relazioni. Chiara Volpato, docente di Psicologia sociale alla Bicocca di Milano, ha parlato di alcune ricerche che hanno messo in evidenza la dicotomia tra l’essere e l’apparire e come spesso le donne pur di esserci hanno privilegiato l’apparire mettendo così in ombra le proprie competenze.

Ha spieg
ato anche come possono essere percepite in modo differente le competenze e il prestigio di persone che intervengono in televisione a seconda di come vengono inquadrate: se in primo piano viene proposto il viso, proprio grazie allo stereotipo testa – corpo, sarà più credibile questa rispetto a chi viene inquadrato nella sua totalità. E, se ci fate caso –ha sottolineato – quando parla una donna l’inquadratura tende a proporre non solo il viso ma il vestiario, come sta seduta o come si muove. E, proprio sulla dualità corpo mente si è soffermata la filosofa Michela Marzano che con Barbara Spinelli e Nadia Urbinati sono state le prime firmatarie dell’appello di Repubblica.

Le prime teorie femministe erano partite proprio dalla necessità di rompere la dicotomia cartesiana mente=valore, corpo=disvalore, per riaffermare la validità dell’essere nel suo insieme, ben sintetizzata nello slogan “io sono mia”, che stigmatizzava il forte desiderio di essere in libertà. Con il tempo, questo bisogno ha riproposto, in modo inconsapevole, l’antica dicotomia dove l’essere diventa un io potente che pensa di poter avere o gestire il proprio corpo con una disponibilità tale da farlo diventare un oggetto il cui valore dipende solo dal mercato. Si ripropone dunque, secondo Michela Marzano, una contraddizione che prima o poi dovrà trovare soluzione se si vuole esaudire veramente quel desiderio irrefrenabile di essere. Molte hanno preso poi la parola.

Tra i problemi da risolvere anche quello legato all’immagine della donna proposta in pubblicità. Su questo problema è intervenuta anche Miriam Mafai, la Rai –ha detto- si deve dotare di un codice su come trattare la differenza di genere in TV partendo proprio dalla pubblicità e poi Rosanna Marcodoppido dell’Udi che ha ricordato come tra le iniziative proposte dalla staffetta contro la violenza, c’era la richiesta, ai comuni coinvolti, di rifiutare gli spazi pubblicitari a manifesti con immagini che ledano la dignità delle donne.
E’ stata, con rammarico, notata la non presenza di alcune invitate come Bianca Berlinguer, la presidente del Pd, Rosy Bindi, la segretaria confederale della Cgil, Susanna Camusso, sostituita da una sua collega, le direttrici dell’Unità, Concita De Gregorio e dell’Espresso, Daniela Hamaui. Presenti invece la presidente della Cpo della Fnsi, Lucia Visca, la direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina e la segretaria generale della Ugl, Renata Polverini.

L’intolleranza però ha fatto capolino anche in quella sala. Dal pubblico una voce isolata ha insultato Renata Polverini che a quel punto ha pensato di alzarsi e andarsene, seguita dalla direttrice del Secolo d’Italia.

Marina Garbesi giornalista di La Repubblica che ha presieduto l’intero incontro ha formulato pubblicamente le scuse a Polverini e Perina sia a nome delle organizzatrici, sia a nome della Casa Internazionale delle Donne che ha ospitato l’incontro.

Così una iniziativa, che doveva anche servire a coinvolgere donne che nel mondo dell’informazione hanno acquisito ruoli di potere per aprire un dibattito all’interno delle redazioni, ha registrato pesanti disaffezioni ed inutili conflitti. Speriamo che questi vuoti ed errori siano colmati nell’appuntamento di Bologna.

Mentre prendeva la parola Loredana Rotondo, mi sono dovuta allontanare perché altrimenti non sarei arrivata in tempo per la manifestazione notturna organizzata da “le Ribellule” e da altre realtà come il “GayDiproject”.

Per essere sicura di incrociarla vado a via dei Volsci al 22 sede delle femministe e lesbiche che hanno organizzato sulla strada un presidio perché la sede è in pericolo di sgombero. Sono alcune decine e attendono lì il passaggio della manifestazione che da Piazza Vittorio dovrà poi raggiungere Piazza del Verano. Il corteo che vede anche la presenza di molte immigrate è stato convocato con un manifesto sul quale si legge: La sicurezza per le donne non viene da telecamere, militari, ronde ma dalla nostra libertà e dall’autodeterminazione dentro e fuori le mura domestiche. Contro politiche sulla sicurezza, contro le ingerenze del vaticano e del patriarcato, contro ogni tipo di violenza sulle donne, lesbiche e trans. Spazziamo via dalla città fascismo, razzismo e sessismo.

Davanti al 22 di via dei Volsci si discute anche perché la manifestazione che doveva essere solo di donne ha visto la presenza di gruppi misti frutto forse di un equivoco di impostazione. Mi soffermo a parlare su quello che mi sembra uno dei nodi che varrebbe la pena approfondire: è possibile coniugare allo stesso tempo femminismo, antirazzismo e antifascismo. Io non ne sono del tutto convinta perché se il femminismo ha lavorato in tutti questi anni per nominare il conflitto uomo-donna per restituire diversa dignità ad entrambi, l’antirazzismo e l’antifascismo non hanno assunto, per il momento, questa contraddizione come quella principale.

Lo potrebbe essere, forse se uomini antirazzisti e antifascisti avessero intrapreso quel lavoro di rieducazione che da anni portano avanti le associazioni di MaschilePlurale. Io mi ricordo quando i compagni di Lotta Continua, e non si può dire che non fossero antifascisti e antirazzisti, fecero caricare dal servizio d’ordine allora diretto da Erri De Luca (oggi uomo molto diverso da allora) il corteo delle compagne.

Io sono convinta che la radice prima di tutte le violenze sta nella non risolta conflittualità tra uomo e donna. E’ per questo che scendere in piazza il 28 accettando tutte le nostre differenze, è un modo forte per evidenziare la contraddizione principale che è quella segnata dalla cultura machista oggi rifiutata anche da non pochi uomini.