Italia trash

di Rosa Salamone

In un illuminante articolo di qualche anno fa, dal titolo “ I luoghi comuni su Berlusconi” il giornalista Evangelisti sosteneva la tesi secondo la quale Berlusconi incarna l’Italia dei manager, dei quadri, degli agenti commerciali e finanziari, dei dirigenti il cui valore non è lo stato ma l’economia. Lo stato, inteso come sistema di servizi, di ammortizzatori sociali, di diritti viene considerato un ostacolo dai nuovi ricchi, un inciampo al pieno dispiego del liberalismo e allo sviluppo del mercato.

La tesi di Evangelisti proseguiva affermando che la nuova classe di imprenditori di medio e piccolo cabotaggio, “ incentivata ad arricchirsi senza freni”, così diversa dall’antica borghesia italiana per la quale il risparmio, la moderazione, la sobrietà continuano a rappresentare un valore, non possiede una vera e propria cultura se non quella mediata dalla televisione di Berlusconi: un’Italia trash e felliniana, di paillettes, di lustrini, di casalinghe insoddisfatte, di nudità procaci e false mostrate nella pubblica piazza.

Cito testualmente dall’articolo, perché davvero non saprei scrivere meglio: Non sono dei fascisti, costoro (nda. i ceti medi arricchiti) sarebbe troppo impegnativo. Sono invece semplicemente dei cinici. Non cercano alibi alle loro azioni: il più forte e fortunato vince, questa è l’unica regola. Chi perde si arrangi, la società non è fatta per lui. E se ci sono leggi ispirate a concezioni moralistiche obsolete, basta ignorarle o cancellarle. Sono i rapporti di forza che fondano il diritto. Quest’ultimo è acquistabile come ogni merce in circolazione. Una volta che lo si sia fatto proprio, può essere manipolato a piacere.

L’articolo mi è venuto in mente parlando con una conoscente lesbica, dirigente di una piccola azienda di macchinari per il caffè, la quale mi dichiarava senza remore di essere una fan del governo in carica e di votarlo sempre alle politiche. Alla mia obiezione, quella per la quale questo governo fa ben poco per i diritti non solo degli omosessuali ma delle minoranze in genere, mi sono sentita rispondere testualmente: “ A me non interessano i diritti, m’importa che il governo mi faccia pagare meno tasse”. Il che può sembrare cinico alle orecchie di certa minoranza, ma pare sia un discorso piuttosto diffuso.

A pensarci bene, però, esiste dal mio punto di vista un certo mito in quest’Italia trash così dipinta bene già anni or sono da certi film di Luciano Selce e dei Vanzina, ve li ricordate?, ed è secondo me il culto dell’azione. Il mito è descritto alla perfezione da un episodio riportato nel libro di Guzzanti padre, in cui si narra di un tale presidente del consiglio, allora semplice uomo d’affari, che non ottenendo il permesso di costruire in una zona dismessa a causa delle lungaggini della burocrazia, si fece prestare un bulldozer e demolì lui stesso i resti di una casupola, a causa della quale non riusciva ad ottenere il tanto sospirato nulla osta. Fine della storia (sperando, da parte nostra, che la casupola fosse davvero una casupola e non magari i resti di una tomba etrusca).

Il culto dell’azione non è affatto nuovo e lo propose già a suo tempo Mussolini fin da quando si faceva fotografare a torso nudo durante la raccolta del grano, ma ha un suo risvolto preciso che è la banalizzazione dei problemi, per cui se Alessandro Magno tagliò il famoso nodo gordiano con una spada, perché l’italiano medio non può risolvere il problema dell’emigrazione e dei clandestini con una semplice fucilata? La banalizzazione permette anche una visione dei problemi semplicistica, mai analizzati da più punti di vista o storicamente nel loro divenire. Troppo lavoro, troppo impegno.

Ed ecco gli omosessuali paragonati ai pedofili, i rumeni dichiarati geneticamente portatori di stupro, i poveri considerati dei lazzaroni che non vogliono lavorare. Esiste un linguaggio più adatto, più espressivo, più confacente per il mondo dell’azione di quello della pubblicità? Così lineare, chiaro, risolutivo. Nel linguaggio degli spot non c’è nessuna differenza etica e sostanziale tra queste due frasi: noi siamo il partito dell’amore e Ace smacchia che più bianco non si può.

In un’Italia così mi viene in mente l’affermazione biblica ripetuta più volte per cui l’inevitabile condanna degli adoratori di idoli consiste prima o poi nel somigliargli. E la ricchezza, il denaro se volete, è volubile, cambia spesso di padrone, va di mano in mano, non conosce amore né fedeltà, non sa cosa siano i principi né gli importa affatto dei valori. Quanto ai diritti, non li condivide li può solo comprare. Non pensa, non riflette, manipola e persuade. Cammina, è sempre in movimento, non si ferma mai: un vero fan del partito dell’azione.