Nostalgia di compromesso storico

di Marcello Vigli
da www.italialaica.it

La Corte di Strasburgo ha detto una parola chiara e definitiva sull’uso in pubblico dei simboli religiosi. Ne chiedono il rispetto e l’applicazione le Associazioni laiche, i politici legalitari, i cittadini di buon senso, cominciato ad imporre la presenza del crocefisso a colpi di maggioranza non solo nelle scuole, ma anche in tutti i pubblici uffici. Non hanno ancora pensato ai gabinetti comunali, ma presto lo faranno perché anche lì è necessario che ci si senta al cospetto di dio !!!!

Per lo stesso motivo alcuni parlamentari del PD condividendo un giudizio di Augusto Barbera che misconosce il valore del pronunciamento della Corte – lo considera sorprendente. Essa fa propria una lettura della laicità che appartiene ad altri ordinamenti, in particolare alla Francia e alla Turchia – hanno presentato un disegno di legge che prevede come regola generale: in ogni aula scolastica, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso.(ndr vedi: DISEGNO DI LEGGE N. 1947 )

Per giustificarla ricorrono alla somma delle motivazioni addotte da diverse parti: il valore della cultura religiosa, del patrimonio storico del popolo italiano e del contributo dato ai valori del costituzionalismo. Questo riferimento alla Costituzione appare un po’ forzato, ma ancor più arzigogolato appare il secondo comma dell’unico articolo del progetto. Se non c’è il consenso di tutti e se la presenza viene contestata per motivi religiosi o di coscienza, il dirigente scolastico cerca un accordo in tempi brevi, anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi.

Se l’accordo non si raggiunge, il dirigente scolastico adotta, previo parere del consiglio di circolo o di istituto, una soluzione che operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe coinvolti e che realizzi il più ampio consenso possibile.

Si configurano così soluzioni destinate ad aprire un contenzioso senza fine perché non eviteranno conflitti sulle decisioni dei dirigenti scolastici in merito a quel giusto contemperamento. Dovrebbe, secondo i proponenti, seguire il criterio di affidarsi a maggioranze non ristrette (quale ne è il limite?) senza riconoscere a nessun singolo il diritto di veto illimitato.

Non basterà certo il ricorso al “parere”, evidentemente non vincolante, del Consiglio di Circolo o d’Istituto a sanare i dissidi provocati da questa insindacabile discrezionalità attribuita al dirigente scolastico in nome di una malintesa “autonomia scolastica”. Si sposta solo a livello locale la negazione del valore dell’obiezione di coscienza. Anche se approvata, quindi, la legge non risolverebbe “l’annosa questione”.

È del tutto evidente, che per intendere il senso dell’iniziativa bisogna prescindere dal suo contenuto, se non si vuole attribuire ai proponenti l’intento perverso di avallare per legge la guerra di religione all’interno delle scuole della Repubblica.

La motivazione sembra da ricercare nei tentativi interni al Partito democratico per costruire un’identità culturale condivisa: in questo sembra aleggiare lo spirito del compromesso storico.

Battuto dalla storia, oltre che dalla politica, torna a spirare per consentire alla componente cattolica di esorcizzare ogni sospetto di cedere al “laicismo”.

Nulla contro le mediazioni, tutto contro i compromessi, specie se “ex storici”. La politica è l’arte del possibile proprio perché cerca di mediare fra diversi interessi, in una prospettiva di giustizia, e di aprire vie nuove per consentire a tutti di andare avanti. Altra cosa il compromesso: niente a che fare con la giustizia, né con l’interesse collettivo.

La via possibile per avviare a maturare nel Pd una nuova cultura condivisa evitando il fantasma berlingueriano è la via della contaminazione indicata da Rosy Bindi. Questa, però, presuppone la laicità senza aggettivi. Una laicità per la quale nessuna cultura è più uguale delle altre, che non riconosce superiorità per le narrazioni teologiche su quelle filosofiche o ideologiche, tanto meno legittima condizioni di privilegio per i centri di potere che si proclamano rappresentanti di dio in terra.

Alla costruzione di questa cultura della laicità dovrebbero spendere le loro energie gli intellettuali interni al Pd piuttosto che proporsi un’indifendibile legittimazione della presenza del crocefisso fuori delle sedi in cui è testimone di un’autentica fede nella resurrezione.