IL CORAGGIO DELLA VERITA’

Lettera di un Gesuita egiziano-libanese, padre Henri Boulad a Papa Benedetto XVI

Il linguaggio ecclesiastico è desueto, anacronistico, noioso, ripetitivo, moralistico, totalmente inadatto alla nostra epoca.

Santo padre, oso rivolgermi direttamente a lei perché il mio cuore sanguina alla vista dell’abisso nel quale la nostra Chiesa è sul punto di affondare. Vorrà scusare la mia filiale franchezza, guidata dalla “libertà dei figli di Dio”, a cui invita san Paolo, e dall’amore appassionato per la Chiesa. Vorrà inoltre scusare il tono allarmistico della lettera, perché credo che “il tempo stia scadendo” e che la situazione non permetta di attendere oltre.

Mi permetta anzitutto di presentarmi. Gesuita egiziano-libanese di rito melchita, raggiungerò presto i miei 76 anni. Sono da tre anni rettore del collegio dei gesuiti al Cairo, dopo aver attraversato le seguenti cariche: superiore dei gesuiti ad Alessandria, superiore regionale dei gesuiti in Egitto, professore di teologia al Cairo, direttore della Caritas Egitto e vicepresidente di Caritas internationalis per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Conosco molto bene la gerarchia cattolica d’Egitto per aver partecipato per molti anni alle sue riunioni come presidente dei superiori religiosi maggiori in Egitto. Ho relazioni profonde con ciascuno di loro, di cui alcuni sono miei ex allievi. Conosco personalmente il papa copto Shenouda III, che frequentavo regolarmente. Per quanto riguarda la gerarchia europea, ho avuto l’occasione di incontrare personalmente l’uno o l’altro dei suoi membri, fra cui il card. Konig, il card. Schonborn, il card. Martini, il card. Danneels, l’arcivescovo Kothgasser, i vescovi diocesani Kapellari e Küng, gli altri vescovi austriaci, come altri vescovi dei paesi europei. Incontri avvenuti in occasione dei miei viaggi per delle conferenze in Europa: Austria, Germania, Svizzera, Ungheria, Francia, Belgio… Momenti in cui mi sono rivolto a uditori molto diversi come a differenti media (giornali, radio, televisioni). Come ho fatto in Egitto e in Medio Oriente. Ho visitato una cinquantina di paesi in quattro continenti e pubblicato una trentina di opere tradotte in una quindicina di lingue, fra cui francese, arabo, ungherese, tedesco. Nei tredici libri pubblicati in quest’ultima lingua lei ha forse potuto leggere Gottestohne, Gottestochter che il p. bavarese Erich Fink le ha trasmesso. Non le ho scritto tutto questo per vantarmi, ma per dirle semplicemente che le mie affermazioni sono fondate su una conoscenza reale della Chiesa universale e della sua situazione d’oggi (2007).

Vengo quindi all’oggetto di questa lettera, dove cercherò d’essere il più breve, chiaro e obiettivo possibile. Farò anzitutto un certo numero di constatazioni (e la lista è ben lungi dall’essere esaustiva).

La pratica religiosa è in declino costante. Le Chiese d’Europa e del Canada non sono più frequentate che da un numero sempre più ridotto di persone anziane, che presto scompariranno. Allora non si potrà fare altro che chiudere le chiese, trasformarle in museo, moschee, club o biblioteche municipali. Come del resto già si fa. Mi sorprende come molte fra esse siano in via di ristrutturazione e modernizzazione con grandi spese con l’intenzione di attirare fedeli. Ma non basterà a frenare l’esodo.

I seminari e i noviziati si svuotano con lo stesso ritmo e le vocazioni sono in caduta libera. L’avvenire è piuttosto oscuro e ci si chiede come potrà avvenire il ricambio. Sempre più le parrocchie europee vengono affidate a preti asiatici o africani. Molti preti abbandonano il sacerdozio e il piccolo numero di quanti esercitano ancora – la cui età è spesso superiore all’età di pensione – deve assicurare il servizio pastorale e amministrativo (…) in molte parrocchie. Molti fra di essi, sia in Europa sia nel terzo mondo vivono in concubinaggio, visto e conosciuto dai loro fedeli, che spesso li approvano, e dai loro vescovi, che non possono permetterlo… ma vista la penuria di preti…

Il linguaggio ecclesiastico è desueto, anacronistico, noioso, ripetitivo, moralistico, totalmente inadatto alla nostra epoca. Non si tratta affatto di diventare banali o di fare della demagogia, perché il messaggio del Vangelo va presentato in tutta la sua crudezza e pretesa. E’ invece necessario procedere a quella “nuova evangelizzazione” a cui ci invitava Giovanni Paolo II.

Ma essa, contrariamente a quanti molti pensano, non consiste affatto nel ripetere un passato che non interessa più, ma nell’innovare e inventare un linguaggio in grado di dire di nuovo la fede in maniera pertinente e significante per l’uomo d’oggi. E questo non potrà essere fatto che attraverso un rinnovamento in profondità della teologia e della catechesi, che dovranno essere ripensate e riformulate dai fondamenti.

Un prete religioso tedesco incontrato recentemente mi diceva che la parola “mistica” non era più menzionata una sola volta nel nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Ne sono rimasto stomacato. Bisogna constatare che la nostra fede è molto cerebrale, astratta, dogmatica e parla assai poco al cuore e al corpo. Conseguentemente un gran numero di cristiani si volge alle religioni asiatiche, alle sette, alla new age, alle Chiese evangelicali, all’occultismo ecc. Perché stupirsi? Vanno a cercare altrove il nutrimento che non trovano da noi, perché hanno l’impressione che noi diamo loro delle pietre e non del pane. La fede cristiana che in altri tempi dava un senso alla vita della gente è diventata per essa un enigma, la sopravvivenza di un passato tramontato.

Sul piano morale ed etico le ingiunzioni del magistero, ripetute a sazietà, sul matrimonio, la contraccezio- ne, l’aborto, l’eutanasia, l’omosessualità, il matrimonio dei preti, i divorziati risposati ecc. non toccano più nessuno e non inducono che lassismo e indifferenza. Sono problemi morali e pastorali che meritano più di semplici dichiarazioni perentorie. Hanno bisogno di un approccio pastorale, sociologico, psicologico, umano… secondo una linea più evangelica.

La Chiesa cattolica che è stata la grande educatrice dell’Europa per dei secoli sembra dimenticare che questo continente è arrivato alla maturità. La nostra Europa adulta rifiuta di essere trattata da minorenne. Lo stile paternalistico di una Chiesa madre e maestra è definitivamente chiuso e non costruisce più nulla. I nostri cristiani hanno imparato a pensare per conto proprio e non sono più disponibili a digerire qualsiasi cosa.

Le nazioni più cattoliche di un tempo – la Francia “figlia primogenita della Chiesa” o il Canada francese ultracattolico – hanno operato una svolta di 180° gradi verso l’ateismo, l’anticlericalismo, l’agnosticismo, l’indifferenza. Per un certo numero di altre nazioni europee il processo è in corso. Si constata che più un popolo è stato covato e allattato dalla Chiesa nel passato, con più forza sviluppa una reazione contro di essa. Il dialogo con le altre Chiese e le altre religioni conosce oggi un arretramento inquietante. I progressi significativi realizzati in mezzo secolo sembrano oggi compromessi.

Davanti a queste constatazioni spaventose la reazione della Chiesa è duplice: da un lato tende a minimizzare la gravità della situazione e a consolarsi osservando un certo rinnovamento nei suoi ambienti più tradizionalisti, come nei paesi del terzo mondo; dall’altro invoca la fiducia nel Signore che la sostiene da venti secoli e che sarà capace di aiutarla a superare questa nuova crisi come ha fatto per le precedenti. Non ha forse la promessa di una vita eterna?

A questo rispondo:

a) non è ributtandosi sul passato o raccogliendone i frammenti che si risolveranno i problemi d’oggi e di domani;

b) l’apparente vitalità delle Chiese del terzo mondo è ingannevole. È del tutto verosimile che le nuove Chiese passeranno prima o dopo la stessa crisi sperimentata dalla vecchia cristianità europea;

c) la modernità non è rimovibile ed è stato per la volontà di ignorarla che la Chiesa conosce oggi una tale crisi. Il Vaticano II ha cercato di guadagnare quattro secoli di ritardo, ma si ha oggi l’impressione che la Chiesa stia chiudendo le porte aperte allora, tentata di tornare a Trento e al Vaticano I, piuttosto che protendersi verso il Vaticano III. Ricordiamo l’ingiunzione più volte ripetuta di Giovanni Paolo II: “Non c’è alternativa al Vaticano II”;

d) fino a quando continueremo a giocare la politica dello struzzo e a mettere la testa nella sabbia? Fino a quando rifiuteremo di vedere le cose in faccia? Fino a quando cercheremo di salvare la facciata, una facciata che non illude più nessuno oggi? Fino a quando continueremo a irritarci e a inquietarci per ogni critica invece di riconoscervi una opportunità di rinnovamento? Fino a quando continueremo a rimandare alle calende greche una riforma che si impone imperativamente e che abbiamo troppo a lungo ignorato?

e) È guardando risolutamente in avanti e non all’indietro che la Chiesa compirà la sua missione di essere “luce del mondo, sale della terra, lievito nella pasta”. Ciò che purtroppo constatiamo oggi è che la Chiesa è al traino della nostra epoca, dopo essere stata l’avanguardia del mondo per molti secoli.

Ripeto ciò che ho detto all’inizio: “Il tempo sta scadendo” e la storia non attende, soprattutto oggi che il ritmo accelera e rimbalza. Ogni impresa commerciale che constata perdite o malfunzionamenti si rimette subito in questione, riunisce esperti, tenta di rilanciarsi, mobilita tutte le proprie energie per superare la crisi. Perché la Chiesa non lo fa? Perché non mobilita tutte le proprie forze vive per un radicale aggiornamento? Perché? Pigrizia, lassismo, orgoglio, mancanza di immaginazione, di creatività, colpevole quietismo nella speranza che il Signore si arrangerà e che la Chiesa ha conosciuto ben altro nel passato?… Cristo nel Vangelo ci mette in guardia: “I figli delle tenebre sono più abili nella gestione dei loro affari dei figli della luce”. E allora che fare?

La Chiesa d’oggi ha bisogno imperioso e urgente di una triplice riforma: una riforma teologica e catechetica per ripensare la fede e formularla in maniera coerente per i nostri contemporanei.
Una fede che non significa più nulla, che non dà senso all’esistenza, non è che un semplice ornamento, una sovrastruttura inutile che casca da sola. Ed è il nostro caso.

Una riforma pastorale per ripensare fino in fondo le strutture ereditate dal passato (si vedano in seguito i miei suggerimenti in questo ambito). Una riforma spirituale per ravvivare la mistica e ripensare i sacramenti in vista di donare loro una dimensione esistenziale, di legarli alla vita. Avrei molto da dire in merito. La Chiesa d’oggi è troppo formale, troppo sclerotizzata. Si ha l’impressione che l’istituzione soffochi il carisma e che ci che conta sia la stabilità esteriore, la rispettabilità di facciata, una certa immagine. Non rischiamo forse di vederci trattare un giorno da Gesù come “sepolcri imbiancati”?

Termino suggerendo la convocazione a livello di Chiesa universale di un sinodo generale partecipato da tutti i cristiani, cattolici e non, per esaminare con tutta franchezza e chiarezza i punti prima indicati e tutti quelli che verranno proposti. Una tale convocazione, dalla durata triennale, andrebbe conclusa da un’assemblea generale – evitando il termine concilio – in cui raccoglierei risultati e tirare le conclusioni.

Santità, chiudo domandando perdono per la franchezza e l’audacia, chiedendo la sua paterna benedizione. Mi permetta di dirle che vivo questi giorni in sua compagnia grazie al suo importante volume Gesù di Nazaret, oggetto della mia lettura spirituale e della meditazione quotidiana.

Suo nel Signore, p. Henri Boulad
Mercoledì, 04 Novembre 2009