1/ UN CRISTIANO HINDU

di Michael Amaladoss
da Adista Documenti n. 24 del 20/03/2010

L’interesse per l’induismo è qualcosa con cui sono cresciuto. Da giovane sono vissuto in un villaggio hindu. I bambini hindu erano miei amici e miei compagni di gioco. (…). Poi entrai nella Compagnia di Gesù. Mentre studiavamo filosofia, avevamo un doppio interesse: saperne di più sulla cultura indiana, l’arte ecc. e imparare di più sull’indui-smo per poter predicare Cristo. (…). La mia preoccupazione era come diventare un indiano cristiano capace di avvicinarmi positivamente agli hindu. (…).

Per via del mio continuo dialogo con l’induismo e la cultura india, le mie posizioni filosofiche e teologiche sono cambiate negli anni. Sono passato da un’epistemologia greca, razionale, concettuale, logica, centrata sull’oggettivo e dicotomica (“o questo o quello”) a un’altra indiana (asiatica), simbolica, interpretativa, narrativa, centrata sul soggettivo e inclusiva (“questo e quello”). (…). Con queste nuove posizioni trovo più facile non solo dialogare con gli hindu, i buddisti o i taoisti asiatici, ma anche essere un cristiano asiatico. Il mio ultimo libro è Il Gesù asiatico. Naturalmente non è un modo di rendermi facile la vita intellettuale, considerando che la Chiesa “ufficiale” è ancora legata all’epistemo-logia e alla metafisica neoscolastiche. Partendo da un atteggiamento positivo verso le altre religioni come partecipanti al piano di salvezza di Dio, sono arrivato a una nuova teologia della storia centrata sul Regno di Dio, con una Chiesa che diventa simbolo e serva del Regno. Ho assunto anche una nuova visione che mira a un’integrazione personale e cosmica, come ho spiegato nel libro Il cosmo danzante. Dio, lo Spirito, il mondo e Gesù sono sperimentati e visti in nuove maniere. (…).

Oggi mi considero e mi definisco un cristiano-hindu, dando al termine un significato speciale. In questa espressione, il termine “hindu” non è un sostantivo, ma un aggettivo. L’obiettivo non è quello di arrivare a un ibrido, ma al-l’integrazione; non al pluralismo, ma alla non-dualità.

Socialmente e istituzionalmente sono un cristiano, un sacerdote, un gesuita. Non cerco una specie di identità ibrida per essere tanto indù quanto cristiano in un senso sociale e comunitario. Per me l’induismo non è semplicemente una religione “altra”. È anche parte della mia identità. È la religione dei miei antenati. Dio ha parlato ai miei antenati attraverso di essa e quello che Dio ha detto loro ha un significato anche per me, anche oggi. Così sono felice di integrare la prospettiva indù come parte della mia visione e della mia pratica spirituale.

Sono una persona inter-religiosa o faccio teologia interreligiosa o pratico una spiritualità inter-religiosa? Non credo. Credo che paradigmi come “esclusisvismo-inclusivi-smo-pluralismo” e “teologia inter-religiosa” siano astratti. Guardano le religioni da fuori, come se non ci fosse un contatto vivo con membri di altre religioni. Non c’è una teologia inter-religiosa o universale. I teologi delle diverse religioni possono dialogare e muoversi verso un consenso sulla difesa dei valori umani e dei valori spirituali comuni. Oggi è necessario. Allora io parlerei di una teologia e, ancor di più, di una spiritualità dialogiche.

Quando sto di fatto dialogando con un hindu nel contesto socio-politico contemporaneo dell’India, quello che appare cruciale è il riconoscimento e il rispetto delle identità basate sulla differenza. Il dialogo non consiste nella ricerca di un denominatore comune ma nello sviluppo di un consenso agglutinante che possa animare l’azione comune socio-politica. Le religioni non sono qualcosa che gli esseri umani hanno creato e con cui poter giocare. Per un hindu o per un cristiano la religione è la forma particolare con cui Dio si è avvicinato loro. È una relazione personale. Uno non confronta le relazioni personali. Hanno un carattere unico, una loro unicità. Si cerca di non confonderle. Piuttosto, si celebrano le loro differenze. (…). Io mi relaziono con Dio attraverso Cristo e i miei amici hindu si relazionano con Dio attraverso Krishna o Shiva. Possiamo confrontare questi diversi cammini. Possiamo finanche considerarli omologhi. Possiamo dire qualcosa sul Dio trascendente che entrambi stiamo cercando di raggiungere in e attraverso i nostri rispettivi simboli reali. (…). Cristo e Krishna non sono solo simboli per noi. Sono mediazioni, rappresentano una storia. Non possiamo mescolarli per produrre un Krishna-Cristo interreligioso!

Essere membro di una religione è come parlare una lingua. Una lingua può essere influenzata da altre. Può prendere in prestito parole e espressioni, ma le lingue sono diverse e incommensurabili. Non possiamo parlare entrambe le lingue allo stesso tempo, né integrarle rispettandone le identità. (…).

Credo che i cristiani-hindu come sono io e gli hindu-cristiani come Gandhi siamo persone di frontiera. Siamo su una sponda, restiamo entro il nostro limite ma siamo aperti agli altri e ci avviciniamo agli altri. Possiamo essere un modello e animatori del dialogo in maniera speciale. Ma qualunque sforzo per tenere un piede in ogni lato della frontiera sarebbe un disastro. (…).