3/ UNA PROSPETTIVA MUSULMANA

di Irfan A. Omar
da Adista Documenti n. 24 del 20/03/2010

(…) È possibile concepire una teologia pluralista che trascenda qualunque tradizione religiosa particolare e, tuttavia, sia legata a ciascuna delle maggiori tradizioni religiose e possa essere ritenuta valida nella prospettiva della teologia islamica? (…).

Certamente la questione pare piuttosto problematica, giacché le teologie sono specialmente (e alcuni direbbero solamente) appropriate nell’ambito delle tradizioni religiose particolari, delle loro convinzioni e della loro storia. (…).

In ogni religione la teologia o le teologie sono sorte come risultato di posizioni teologiche particolari e di circostanze politiche e sociali. Non è possibile applicare posizioni teologiche di una tradizione religiosa ad un’altra e meno ancora applicarle a tutte le religioni senza tenere conto della loro storia e della loro ubicazione. La stessa parola “teologia” è problematica nella prospettiva di molte religioni. Incontriamo qui un ostacolo già prima di cominciare a costruire una teologia “interreligiosa”. (…). Piuttosto, lavorando caso per caso, ciò di cui avremmo bisogno è di essere capaci di sviluppare una teologia “inter-credente”, permettendo comparazioni e parallelismi fra tradizioni e ponendo enfasi sul terreno comune e sui valori universali condivisi.

Affrontando il criterio di una possibile “teologia mondiale”, bisogna occuparsi anche della realtà sempre più pluralista del nostro mondo. Il pluralismo religioso del nostro tempo quasi ci obbliga a trovare un accordo sulle rivendicazioni relative alla verità di altre tradizioni religiose, se non vogliamo trovarci in costanti conflitti in nome della religione.

Qual è la risposta dell’islam a questo pluralismo? Per iniziare, la tradizione islamica riconosce che vi sono altre tradizioni di fede (comunità, per essere precisi) con le loro “Scritture” specifiche e i musulmani dovrebbero riconoscerle. (…). Ancor di più, il Qur’an parla della diversità di credo come di qualcosa “voluto da Dio” e certamente benefico per l’umanità. Sulla stessa linea, il Qur’an afferma anche che ci sono state numerose altre comunità e tradizioni di fede dalla creazione dell’umanità. Di fatto, ciascuna di esse ha ricevuto un messaggio e una rivelazione divini, nella propria lingua e per mezzo di messaggeri e profeti propri.

(…) Come sostiene un illustre specialista dell’Islam, Mahmoud Ayoub, il Qur’an è molto più pluralista nella sua prospettiva di quanto la comunità musulmana abbia voluto ammettere nel corso della storia. (…). Nel XX secolo, in risposta a una varietà di tendenze e movimenti, è iniziata ad emergere una genuina teologia islamica del pluralismo, per quanto non si sia radicata nel più ampio mondo musulmano a causa tanto di una politicizzazione generale della religione quanto delle geopolitiche del Medio Oriente e dell’Asia, in connessione al presunto “scontro di civiltà” che in realtà è “scontro di fondamentalismi”. (…).

Per quanto vi siano varie risposte musulmane alla realtà del pluralismo religioso in una prospettiva islamica (…), non vi è un solido tentativo di affrontare la questione della possibilità di una “teologia mondiale del pluralismo”. (…). Ma quale sarebbe il ritratto di un teologo mondiale? Se intendiamo con l’espressione “teologo mondiale” quello a cui Wilfred Cantwell Smith si riferì nella sua allocuzione alla Società Cattolica Teologica d’America nel 1984 (…), allora non è solo probabile ma forse anche necessario lavorare verso una teologia mondiale, perché tale teologo mondiale non si starebbe impegnando necessariamente con tutte le teologie del mondo, ma piuttosto, come afferma Knitter, con un’altra tradizione almeno, oltre alla propria. Considerando che nel XXI secolo, che è un’epoca di incontri mondiali in cui la probabilità che il cosiddetto “altro” si introduca nel nostro mondo è grandemente ampliata e favorita, è imperativo non solo essere consapevoli della propria tradizione e cultura, ma anche avere un certo livello di familiarità, se non di competenza, con la tradizione religiosa e la cultura dell’altro.

Ma forse, nel momento stesso in cui ci sforziamo di diventare teologi mondiali, dovremmo lavorare per preservare la diversità delle teologie. In un’epoca di “mondializzazione” economica e culturale, in cui gli elementi che ci rendono omogenei sono molto più energici e influiscono piuttosto rapidamente sulle nostre vite, dobbiamo urgentemente cercare di far sì che il “locale” non soccomba di fronte al “mondiale” fino a un punto di non ritorno. Può esserci tuttavia una “unità nella diversità” ed è totalmente chiaro in questo contesto che la diversità richiede sempre unità e non viceversa. La diversità è la forma normale della natura o, in linguaggio religioso, la forma della creazione. (…).

In un’era di dominio mondiale delle forze del capitalismo, vediamo che si sta tentando di invertire questo principio: l’“unità nella diversità” si è andata trasformando, a forza, in “diversità nell’unità”. (…). La soppressione della diversità con la speranza di creare una possibile per quanto cosmetica “unità” (di tutte le religioni, di tutte le culture o anche di tutti i mercati?) è pericolosamente poco realista. (…). Le differenze sono lì perché si possa “competere” gli uni con gli altri nel fare il bene, che, nel suo risultato definitivo, dovrebbe essere il bene comune. (…)

Più che l’unità di fede o teologia, quello di cui abbiamo bisogno è un’unità nell’accettazione delle differenze. Queste stesse differenze, inoltre, dovrebbero celebrarsi in modo divergente. Questa sarebbe una vera unità nella diversità, un’unità nella celebrazione della diversità. Questa celebrazione consiste principalmente nella necessità di rispettare, riconoscere e accettare particolarità, perché, come è evidente da tutti i dati, la diversità – come principio di natura – esige unità, e non viceversa.

Anche così, il pensiero di avere una teologia “plurireligiosa” comune è tentatore. La perplessità che si può riscontrare in questo testo non si deve a una mancanza di impegno e di dedizione verso ciò che Martin Luther King Jr. ha chiamato una “primordiale lealtà all’umanità nella sua totalità”, ma si deve piuttosto a un atteggiamento di prudenza di fronte alla problematica di una uni-teologia di tutte le religioni del mondo. Secondo lo spirito delle parole del dr. King, tutti potrebbero essere d’accordo sul fatto che è certamente possibile e anche necessaria una dedizione primordiale ad azioni concrete che portino alla pace, alla solidarietà contro l’ingiustizia, e alla difesa di valori umani universali, inquadrati nel contesto della teologia di ogni religione individuale. E ciò costituirà, in effetti, quello che approssimativamente potrebbe chiamarsi una “teologia mondiale dell’impegno religioso”, basata sull’azione, basata sulla regola d’oro “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.