Il papa, i preti pedofili e l’America

di Stefano Rizzo
da www.aprileonline.info

Il gravissimo scandalo che sta investendo la Chiesa cattolica e lo stesso pontefice non è fatto di questi giorni e non nasce “dall’ignobile intento” di attaccare il papa e i vertici Chiesa, come afferma l’Osservatore romano

Fin dall’inizio degli anni ’90, a quanto ne sappiamo, le denunce di abusi e di violenze a sfondo sessuale nei confronti di minori commessi da preti e monache nelle parrocchie, nei collegi e nelle istituzioni religiose di tutto il mondo si erano accumulate sui tavoli delle sedi vescovili e della Curia romana, senza che i prelati responsabili prendessero adeguati provvedimenti per porre fine al gravissimo fenomeno. Meno che mai per portare i responsabili di fronte alla giustizia civile. Nel migliore dei casi, quando si intervenne, la tendenza fu di considerare questi atti odiosi un “peccato”, cui porre rimedio con l’assoluzione e la penitenza, e non come un crimine che richiedeva la punizione della legge.
In venti anni nessuna denuncia arrivò in nessun paese alla magistratura da parte dei vescovi. La principale preoccupazione, al centro come alla periferia, non era di punire i colpevoli, né di rendere giustizia alle vittime, ma di evitare che lo scandalo colpisse il buon nome della Chiesa. Fu soltanto quando, alla metà degli anni ’90, molte vittime incominciarono a parlare apertamente e intentarono cause di risarcimento contro le chiese locali che i vescovi e la Curia romana si preoccuparono e presero i primi blandi provvedimenti.

Ma la segretezza continuò e continua a tutt’oggi. Le carte ufficiali pubblicate giovedì dal New York Times, che riportano la corrispondenza sul caso Murphy tra il vescovo di Milwaukee Rembert Weakland e la Santa sede, sono state rese pubbliche nell’ambito di un processo per pedofilia intentato contro quella diocesi americana. Di fronte all’evidenza di insabbiamento e di indifferenza nei confronti delle vittime, la Chiesa continua mantenere il segreto preferendo parlare di “ignobile intento” diffamatorio nei confronti di colui che all’epoca dirigeva la Congregazione della dottrina della fede, il cardinale Ratzinger.

Ricordiamo il caso. Negli anni ’60 e ‘70 Lawrence Murphy, un prete che a Milwaukee dirigeva una scuola per bambini sordomuti, ha abusato sessualmente di centinaia dei suoi allievi. Per anni fin da allora e anche dopo le denunce al vescovo delle vittime e dei loro parenti furono ignorate. Solo all’inizio degli anni ’90, di fronte al montare della protesta, il vescovo Weakland si decide ad informare la Santa sede, ma lo fa non mosso da indignazione per i crimini commessi da un suo sacerdote, ma per evitare che, nell’eventualità di una causa civile, lo scandalo venga alla luce. Ratzinger e il suo vice di allora alla Congregazione per la dottrina della fede, Raffaele Bertone (ora segretario di Stato), non fanno nulla e di fatto accolgono la richiesta del pedofilo Murphy di non essere ridotto allo stato laicale (Murphy morirà qualche tempo dopo).

Del resto neanche il vescovo Weakland è un santo; le sue reticenze si spiegano anche con i suoi personali comportamenti sessuali. Lui stesso qualche anno dopo fu costretto a dimettersi quando venne alla luce una sua relazione omosessuale e il fatto che per tacitare l’uomo in questione, che lo ricattava, aveva usato denaro della chiesa.

Il caso della diocesi di Milwaukee non è certo isolato. Nel corso degli anni ’90 l’opinione pubblica apprese (sempre e soltanto a seguito delle denunce delle vittime) di numerosi altri casi di pedofilia nelle diocesi di San Francisco, Portland, Los Angeles, Boston, New York, e svariate altre. Le curie vescovili si trovarono a dovere affrontare centinaia di cause civili che portarono a oltre un miliardo e mezzo di dollari in risarcimenti per evitare guai peggiori e che rappresentarono un durissimo colpo alle finanze della Chiesa americana.

Dopo che nel 2001 il cardinale Ratzinger, con una sua lettera indirizzata a tutti i vescovi, ordinò che tutti casi di pedofilia venissero trasmessi al suo ufficio, vi furono, solo dagli Stati Uniti, almeno 3000 denunce formali alla Congregazione della dottrina della fede (e quindi è probabile che i casi fossero molti di più). Ma non sembra che, nonostante l’avocazione a sé, il cardinale Ratzinger abbia agito con particolare fermezza. Dai dati riportati dal New York Times, di quei 3000 casi soltanto il 20 per cento si è concluso con una condanna e la riduzione allo stato laicale, mentre un altro 20 per cento dei preti si è dimesso volontariamente. Il 60 per cento se l’è cavata con una ramanzina e nessuno è stato denunciato all’autorità giudiziaria del paese di appartenenza. Nessuno dei vescovi responsabili di omessa vigilanza è stato rimosso o redarguito.

Divenuto pontefice, Benedetto XVI ha continuato a dare prova di grande indulgenza nei confronti dei vescovi che, per non infangare il buon nome della Chiesa, non avevano perseguito i preti pedofili. Come primo gesto del suo pontificato Ratzinger chiamò a Roma il cardinale di San Francisco Joseph Levada, che era stato cacciato a furor di fedeli dalla sua diocesi per il suo comportamento omertoso, nominandolo a succedergli nella direzione della Congregazione della dottrina della fede. Un altro alto prelato, il cardinale Bernard Law, vescovo di Boston, responsabile di avere coperto centinaia di casi di pedofilia, fu chiamato a Roma e nominato arciprete (con rango vescovile) di Santa Maria Maggiore e – somma ironia considerato che era stato cacciato dalla sua diocesi — prete cardinale di Santa Susanna, la chiesa americana di Roma. Stesso trattamento benevolo per il cardinale Edward Egan, vescovo di New York, la cui diocesi è stata costretta a pagare centinaia di milioni di risarcimenti alle vittime dei suoi preti: dimessosi per limiti di età, Egan è stato nominato dal papa membro della Congregazione delle chiese orientali e ricopre vari incarichi di prestigio in altre organizzazioni della Chiesa.

In tutte queste avvilenti e deprimenti vicende il cardinale Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, non ci fa una gran bella figura. Da prefetto della Congregazione della dottrina della fede ha ribadito la segretezza in tutti i casi di pedofilia, ricordando ai suoi confratelli che la pena – non per la pedofilia, ma per coloro che la denunciano – è la scomunica. Ha accentrato su di sé tutte le cause di reati sessuali, ma poi ha agito con tiepidezza curiale, forse senza rendersi conto della gravità e della portata del fenomeno, di fatto consentendo che continuasse a fare vittime tra i giovani e giovanissimi fedeli. Divenuto papa, per anni ha continuato in questa politica del sopire, addirittura premiando alcuni dei vescovi responsabili degli insabbiamenti. Solo nelle ultime settimane, di fronte all’esplodere di nuovi e vecchi casi in Irlanda, in Austria, in Inghilterra e nella “sua” Germania, ha assunto toni più forti, di recisa condanna, autorizzando per la prima volta i vescovi a denunciare i casi di pedofilia alla magistratura.

Ma lo scandalo non finirà. Anzi, è destinato ad aumentare quando in altri paesi (in Italia ad esempio, dove la Chiesa fino ad oggi è riuscita a soffocare le denunce), le vittime avranno il coraggio di venire allo scoperto. E non finirà soprattutto perché più se ne saprà più emergeranno le responsabilità dirette e personali di papa Ratzinger, come pontefice e come cardinale. In America c’è già chi, tra i fedeli cattolici, ne chiese le dimissioni. Ma, si sa, l’America è un paese dove si pretende dai potenti che si assumano le loro responsabilità, e Roma non è l’America.

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da: http://espresso.repubblica.it
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