Una teologia post-religioni: senza dogmi e dottrine, laica, semplicemente umana

di Claudia Fanti
da Adista Documenti n. 24 del 20/03/2010

L’impresa è conclusa, ma il viaggio è appena agli inizi: il lungo viaggio “per i molti cammini di Dio”, verso “una teologia planetaria, aperta e libera”. Con la pubblicazione dell’ultimo dei cinque volume progettati dall’Associazione dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot) con il titolo generale Por los muchos caminos de Dios (http://tiempoaxial.org/PerIMoltiCammini), l’obiettivo di promuovere l’incontro tra Teologia della Liberazione e Teologia del Pluralismo religioso può dirsi pienamente raggiunto. Di più: i risultati di questo incontro hanno largamente superato le aspettative iniziali.

Di volume in volume, la posta in gioco ha continuato ad alzarsi: dopo aver segnalato, nel primo libro, le principali sfide poste dal pluralismo religioso alla Teologia della Liberazione (v. Adista 66/03) e tentato, nel secondo, di offrire le prime risposte a tali sfide (v. Adista n. 46/05); dopo aver mosso, nel volume successivo, i primi passi concreti verso la costruzione di una Teologia latinoamericana pluralista della Liberazione (v. Adista n. 46/06) e avere, nella quarta tappa del percorso, oltrepassato l’ambito latinoamericano in direzione di una Teologia cristiana liberatrice intercontinentale del pluralismo religioso, l’ultimo volume ha ulteriormente ampliato la prospettiva, interrogandosi sulla possibilità di una teologia multireligiosa, pluriconfessionale, inter-faith, una teologia, cioè, “che dovrebbe trascendere e integrare al tempo stesso l’identità di ogni religione”, capace di parlare a tutta la società, non vincolata ad alcuna comunità religiosa particolare e pronta a ricevere contributi da tutte le tradizioni religiose. Non sarà, questo, come è ribadito più di una volta, “il nuovo modello per la teologia; non dovrà sostituire le forme teologiche tradizionali corrispondenti a necessità e compiti più piccoli; però potrà, questo sì, essere riconosciuto come una nuova forma di teologia praticabile e plausibile nella società sempre più plurale e multireligiosa in cui viviamo”.

La riflessione, evidentemente, è ancora agli inizi: si tratta piuttosto, scrive nella “Presentazione” José María Vigil, il curatore dell’opera, di “una confusa intuizione che si fa strada tra molti e diversi modi di vedere, e in evoluzione costante”. Dovrà passarne di tempo prima che l’orizzonte si rischiari, ma intanto “la ricerca che questo volume rappresenta offrirà un contributo positivo alla già lunga impresa di aiutare la teologia a dare risposte il più possibile corrette alla nuova e sempre mutevole situazione del mondo attuale”. E già da adesso si può dire che, “malgrado quello che credono in molti, la teologia si muove, sta evolvendo, è disposta a correre rischi, si mette in discussione, si interroga sulle trasformazioni che deve portare avanti per essere teologia dell’oggi, e teologia del futuro”. “Camminiamo a passo spedito – scrivono gli autori – verso una teologia aperta e libera”. Dove condurrà questo cammino non è ancora dato saperlo, ma è possibile pensare che porterà alla nascita di una teologia nuova, una teologia post-religioni, che vada, cioè, al di là non di una religione, ma delle religioni in quanto tali, in quanto, cioè, “configurazione socio-storica umana congruente con il periodo ‘agrario’ dell’umanità, periodo che è ormai prossimo alla fine, progressivamente sostituito dalla ‘società della conoscenza’”. Una teologia “senza dogmi, senza leggi, senza verità né dottrine”, una “teologia laica, semplicemente umana”, “liberata dal servizio a una ‘religione’ in quanto istituzione gerarchicamente sacra con il suo sistema di credenze e riti e canoni”, centrata sulla spiritualità, impegnata nel “difficile compito di umanizzare l’umanità e di ricondurla verso la sua casa, verso la placenta naturale planetaria da cui erroneamente si separò al tempo della rivoluzione agrario-urbana”.

Dove va la teologia?

Il quinto volume del progetto editoriale, dal titolo “Verso una teologia planetaria” (Editorial Abya Yala, pp. 198, 75 dollari), è il frutto della consultazione di un gruppo di teologi e teologhe di differenti religioni e di tutte le parti del mondo, svoltasi per mezzo delle quattro commissioni teologiche dell’Asett (asiatica, africana, latinoamericana e quella delle minoranze degli Stati Uniti) sulla base di alcune questioni centrali: “È prevista nell’evoluzione della teologia uno stadio che vada oltre la ‘teologia confessionale pluralista’?”; “È sufficiente la cosiddetta ‘teologia comparativa’, quella in cui un teologo/a, radicato/a nella propria tradizione, sviluppa una teologia del pluralismo in dialogo con altre tradizioni religiose?”; “È possibile pensare a una teologia pluralista che si basi su, e lavori con, categorie, fonti, principi, immagini e metafore non solo di una religione ma di varie?”, “È possibile una teologia non monoconfessionale ma aperta e pluriconfessionale, oltre che pluralista?”; “Che ruolo avrebbero in essa i poveri, la regola d’oro (quel valore morale fondamentale, espresso in tutti i tempi e in tutte le culture, che chiede di “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, ndt) e l’opzione per i poveri?”; “Come dovrebbe essere la teologia di cui ha bisogno oggi il mondo affinché le religioni decidano per la prima volta nella storia di unirsi per lavorare per la salvezza dell’Umanità e della Natura?”.

A rispondere a queste domande sono stati Michael Amaladoss (India), Marcelo Barros (Brasile), Agenor Brighenti (Brasile), Edmund Kee-Fook Chia (Malesia), Amín Egea (Spagna), Paul Knitter (Stati Uniti), David R. Loy (Stati Uniti), Laurenti Magesa (Tanzania), Jacob Neusner (Stati Uniti), Teresa Okure (Nigeria), Irfan A.Omar (Stati Uniti), Raimon Panikkar (India-Spagna), Peter C. Phan (Vietnam-Stati Uniti), Aloysius Pieris (Sry Lanka), Ricardo Renshaw (Canada), José Amando Robles (Costa Rica), K. L. Seshagiri Rao (Stati Uniti), Afonso María Ligorio Soares (Brasile), Faustino Teixeira (Brasile) e José María Vigil (Panama). E le loro risposte, riconducibili a diversi ambiti religiosi – oltre al cristianesimo, la religione bahá’í (Egea), il buddismo (Loy), l’ebraismo (Neusner), l’islam (Omar), l’induismo (Seshagiri) – sono naturalmente le più varie, in alcuni punti anche contrastanti. Vi è, per esempio, chi difende la posizione secondo cui “ogni teologia deve essere domiciliata in una confessione concreta”, di modo che non può esserci teologia senza confessionalità esplicita. E chi mette in guardia dal rischio di ambiguità e di sincretismo. Così, per esempio, Brighenti sostiene che “in quanto riflessione dell’esperienza di fede, ogni teologia è un prodotto culturale e ogni teologia è una determinata visione di una confessionalità, espressione di una forma di inculturazione della fede e, di conseguenza, un discorso particolare”. E Amaladoss, che pure si considera un cristiano-hindu, nega la possibilità di una teologia interreligiosa perché, a suo giudizio, sarebbe come tentare di parlare due lingue allo stesso tempo.

Ma c’è anche chi si dice convinto, come Paul Knitter o, a partire dalla visione spirituale dell’Africa indigena, Laurenti Magesa, della possibilità, validità, urgenza ed auspicabilità di una teologia multi-fede o inter-credente, affermando addirittura, come fa Teresa Okure, che spetta a chi lo mette in dubbio dimostrare il contrario. E c’è anche chi va oltre, con proposte come quella di Phan di una “cristologia inter-credente” o come quella di Pieris di una “cristologia della liberazione delle religioni”.

Come notano, nella “Conclusione aperta”, José María Vigil, Luiza Tomita e Marcelo Barros, ideatori originari del pro-getto, cresce, insomma, “il consenso sul fatto che, all’esterno di ogni religione (al suo interno, ovviamente, continuerà sempre ad essere possibile e desiderabile la teologia confessionale), nell’ambito di una società sempre più plurireligiosa, la teologia sarà sempre meno mono-confessionale, dando spazio a forme di teologia che oggi intuiamo ancora vagamente e che non sappiamo ancora bene come definire: inter-fede, inter-credente, inter-religiosa, multi-fede?”.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, alcuni stralci di quattro interventi che danno un’idea almeno parziale della diversità di posizioni espresse nel libro: quelli di Michael Amaladoss, di Paul Knitter, di Irfan A.Omar e di José María Vigil (il libro, disponibile oggi in spagnolo e in inglese, ma prossimamente anche in italiano e in portoghese, può essere richiesto a: coordinacionventas@abyayala.org, oppure acquistato in internet sul sito www.abyayala.org).