IL VALORE DELL’ERESIA

di Valerio Gigante
da www.adistaonline.it

Enzo Mazzi, Il valore dell’eresia, Manifestolibri 2010, pp.144, €15,00

Un libro sull’eresia da chi l’eresia, in una dimensione sia individuale che comunitaria, l’ha avuta come compagna di vita. Lo ha scritto Enzo Mazzi, da più di 40 anni animatore dell’originalissima esperienza dell’Isolotto, la comunità di fede che fu tra i cardini del ‘68 nella Chiesa e ancora oggi continua ad essere segno di contraddizione nella realtà ecclesiale e politica contemporanea. Il valore dell’eresia consiste anzitutto, secondo Mazzi, nella liberazione dal dominio del sacro, inteso come “astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza”.

Il sacro diviene “proiezione di una angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettività nelle mani del potere”. Perché il sacro separa la vita dalla sua finitezza. Assolutizza ciò che è relativo. Tenta, quindi, di dare una risposta all’angoscia di morte. Ma in questo modo, paradossalmente, disumanizza la vita. Il sacro rappresenta quindi una sorta di nevrosi sociale, cui Mazzi contrappone la strada faticosa dell’eresia, della rigorosa rivendicazione della propria autonomia contro ogni modello, autorità o autoritarismo (del resto, è Gesù stesso nel Vangelo che invita chi intende seguirlo a rinnegare il proprio padre e la propria madre).

Un percorso difficile, ma imprescindibile: “All’inizio – spiega Mazzi – quando l’eresia si abbatte sulla propria esistenza come un marchio infamante, si è portati a rinchiudersi o a reagire. Nessuno accetta di buon cuore il saio della proscrizione. L’accusa di eresia è vista e sentita come perdita, negatività, colpa, lutto. Si è assaliti da un senso di vittimismo o di rabbia impotente. Poi, chi sopravvive alle aggressioni, comincia a elaborare, come si dice, il lutto e a vedere e vivere l’eresia nei suoi aspetti positivi: liberazione da angosce e paure, costrizioni, dipendenza, paraocchi, blocchi mentali ed affettivi, vuoto dell’anima”.

Mazzi prende ad esempio grandi “eretici della storia dell’umanità”: Gioacchino da Fiore, Giordano Bruno, Ernesto Bonaiuti, fra Dolcino, Giorgio La Pira, Teilhard De Chardin. Ma soprattutto don Enzo si confronta con l’esperienza di quello che Machiavelli definì il “profeta disarmato”: Girolamo Savonarola, grande esempio di eresia politico-religiosa (per di più profondamente incarnata nella storia di Firenze), paradigmatica esperienza di potere dal basso di cui si sostanzierà secoli dopo anche l’esperienza dell’Isolotto. Il profondo significato fra innovazione politica, in senso popolare, e riforma religiosa – spiega Mazzi – è espresso nella celebre formula adottata dal frate rivoluzionario: “Cristo, re di Firenze”.

Per Savonarola, “ogni potere viene da Dio: e fin qui siamo nella tradizione. Dove sta la novità? Nel fatto che non solo il potere del principe, ma anche il potere popolare viene direttamente da Dio. La sovranità del popolo e la regalità di Cristo sono in rapporto diretto”. E se non è raro “trovare storici che definiscono teocrazia la repubblica savonaroliana”, tale definizione è “superficiale e fuorviante”, poiché “col termine teocrazia s’intende comunemente il governo dei poteri religiosi rappresentati dai mediatori di Dio. Qui invece si dovrebbe parlare di ‘democrazia’ che trova la sua legittimazione in Cristo in una forma diretta”.

Il libro passa poi ad analizzare i movimenti che, all’interno della Chiesa, hanno raccolto il testimone dell’“eresia creativa” di Savonarola, fino a rivendicare una necessità quasi darwiniana dell’eresia. “Uno studio pubblicato qualche anno fa su Nature spiega che la sopravvivenza del formicaio è dovuta a un delicato equilibrio tra conformismo e creatività, fra obbedienza e disobbedienza, fra sequela e ribellione”.

Ebbene, “le formiche tendono inizialmente a seguire in fila indiana il percorso scelto dalla formica che per prima ha scoperto il cibo. I feromoni rilasciati dalla esploratrice sul percorso impediscono di deviare. Ma ad un certo punto si crea un ingorgo che impedisce di giungere al cibo. Il principio istintivo della sequela acritica mette a rischio la sopravvivenza del formicaio. Scatta un altro principio, anch’esso iscritto nell’istinto: la creatività, la disobbedienza, la ribellione. Una o più formiche si ribellano alla legge dei feromoni. E prendono un’altra strada. Il cibo è di nuovo assicurato, il formicaio è salvo”.