Kurdi? Divieto di parola

di Emanuela Pessina
da www.peacereporter.net

Il Pubblico Ministero di Diyarbakir (Turchia dell’Est) ha proposto 525 anni di prigione per il giornalista curdo Vedat Kursun, caporedattore dell’unico quotidiano curdo pubblicato in Turchia, l’Azadiya Welat. L’accusa è “propaganda terroristica” a favore del Partito dei Lavoratori Curdo (PKK), il movimento politico clandestino armato che dagli anni Ottanta lotta contro il governo di Ankara per ottenere il rispetto della minoranza curda. La situazione, tuttavia, è ben lungi dall’apparire lineare.

Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Tageszeitung (TAZ), la procura turca avrebbe portato ben 103 edizioni dell’Azadiya Welat a sostegno delle sue accuse contro Kursun, tutte apparse tra il 2007 e il 2008. Certo, trovare prove contro il giornalista trentaquattrenne non deve essere stato difficile. Per la Giustizia turca, infatti, anche solo parlare di “Kurdistan” o “guerriglia” risulta punibile secondo le leggi anti-terrorismo: non meraviglia che Kursun, pubblicando dichiarazioni di capi del PKK e annunci mortuari di combattenti curdi, sia sia guadagnato l’attenzione estrema del Governo di Ankara.

Che la Turchia non veda di buon occhio i mezzi di espressone in lingua curda non è un mistero. I curdi, con una popolazione totale di quasi 30 milioni di persone distribuita fra Turchia, Siria, Iran e altri stati del Medio Oriente, costituiscono uno dei più estesi gruppi etnici senza patria al mondo: già da oltre un secolo cercano di creare il Kurdistan, una nazione indipendente e autonoma politicamente, incontrando però sempre l’ovvia opposizione degli Stati sovrani.

La sola Turchia, da parte sua, ospita 7 milioni di individui di lingua e etnia curda: si tratta dell’8 percento dell’intera popolazione su suolo turco, una percentuale non indifferente. Il rapporto fra il Governo di Ankara e la minoranza curda è sempre stato complicato soprattutto a causa del Partito dei Lavoratori Curdo, il PKK: si tratta dell’ala estrema del movimento per l’indipendenza curda, accusata di azioni di terrorismo da diverse direzioni. Attivo dal 1984, il PKK combatte in maniera non sempre ortodossa contro un governo ufficialmente democratico ma concretamente monocolore ed è finito, fra l’altro, nelle liste “nere” dei terroristi per Europa, Turchia e USA.

Che il PKK sia un gruppo di matrice terroristica o meno, ciò non giustifica comunque l’atteggiamento del Governo nei confronti di tutti mezzi di comunicazione in lingua curda. Come, appunto, per l’Azadiya Welat, il quotidiano di Kursun, che vende in tutto 15 mila copie al giorno, una tiratura troppo ridotta anche solo per assicurargli un posto nelle edicole. Se Azadiya Welat significa in curdo “libertà della patria” e si assurge a canale d’espressione per eccellenza del popolo curdo in Turchia, il Governo lo legge come organo privilegiato di propaganda terroristica, limitandone in tutti i modi la libertà d’espressione.

Vedat Kursun è stato arrestato a gennaio del 2009 all’aeroporto di Istanbul, mentre cercava di fuggire in Europa: da allora siede in prigione in attesa di giudizio, sotto stretta sorveglianza, tanto che non gli è permesso neppure sedere a fianco dei suoi avvocati durante i processi a suo carico. La suprema corte di giustizia turca si è già espressa quattro volte sul suo caso, senza arrivare mai a una sentenza definitiva. Settimana scorsa, per l’ennesima volta, il processo è stato rinviato: la proposta è di una pena record di 525 anni, se ne riparlerà comunque il 6 maggio.

Ma la speranza di libertà, per Kursun, sembra essersi trasformata in un’illusione. Persino l’attuale caporedattore dell’Azadiya Welat, Eser Ungansiz, non è ottimista nei confronti del suo precedessore: “Kursun non uscirà mai”, ha dichiarato al TAZ, spiegando che, per i giornalisti curdi, la situazione “non è mai stata così difficile come oggi”. Ungansiz è il quinto dei caporedattori che si sono succeduti all’Azaiya negli ultimi tre anni. Da che il giornale è diventato quotidiano, nel 2006, la redazione è stata chiusa svariate volte, con l’accusa di “Pubblicità a favore di organizzazione illegale”.

Come ad aggirare la violenta censura del Governo di Ankara, i caporedattori si sono succeduti per garantire una certa continuità al giornale. Tre su quattro (se si esclude l’attuale) sono ora sotto processo. Nel frattempo, in carcere, Kursun ha preso l’epatite: a ricordo perenne di una battaglia personale che, indipendentemente dall’ideale, è stata combattuta per la libertà di stampa.