Gaza, morire lavorando

Di Antonio Marafioti
Da www.peacereporter.net

Al-Mezan, organizzazione per i diritti umani palestinese, ha denunciato che dal 2000 a oggi circa 60 palestinesi hanno perso la vita nel tentativo di lavorare in Israele

Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite il tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza è del 45 percento e ciò pone l’economia della regione fra le più arretrate della classifica mondiale. In una situazione come questa l’unica possibilità di sopravvivenza per i palestinesi nei Territori è quella di oltrepassare il confine per provare a lavorare in Israele. Stare fermi significa abbandonarsi a morte certa sebbene, ultimamente, sia stato scoperto che anche muoversi non è un’azione del tutto priva di rischi. Al-Mezan, Ong palestinese ha, infatti, denunciato che sarebbero stati ben sessanta i civili uccisi dal 2000 ad oggi nel tentativo di varcare il confine e cercare un impiego.

Inutile dire. Che gli attacchi aerei indiscriminati delle forze di sicurezza israeliane sulla linea di confine, oltre a provocare morti fra i civili, continuano a distruggere centinaia di fattorie e di campi destinati all’agricoltura. Solo una settimana fa, il 24 marzo, le forze di occupazione hanno arrestato circa 20 lavoratori palestinesi nei pressi dell’insediamento di Dugit al confine nord della Striscia di Gaza. La colpa ascritta loro è stata quella di aver raccolto della ghiaia dalle macerie delle case per impiegarla nella costruzione di nuove abitazioni. Il giorno dopo questa dimostrazione, terminata col rilascio dei venti uomini dopo ore di interrogatorio, i militari israeliani hanno sparato su un altro gruppo di persone nei pressi di Sofa, mentre cercavano di raggiungere la parte est di Rafah a sud della Striscia. Nel corso del raid Naji Abu Rida, 31 anni, è rimasto ferito al torace mentre alle ambulanze palestinesi veniva impedito, per circa 15 minuti e in palese violazione delle convenzioni internazionali, di prestare soccorso all’uomo. Il 26 marzo, due giorni dopo la prima azione di forza, è toccato ad Abdul Aziz Hamdan, 15 anni, ferito alla gamba sinistra durante una sparatoria nella linea di confine nord a Erez. Hamdan, ricoverato subito e fuori pericolo di vita, si trovava con i suoi fratelli e altri lavoratori a 100 metri di distanza dal muro di separazione per raccogliere mattoni dalle macerie che avrebbe poi rivenduto alle fabbriche locali.

Giù nei tunnel. Dall’embargo imposto a Gaza dopo la presa del potere di Hamas nel 2007, l’unica fonte di reddito per i palestinesi che vivono nella regione sul Mar Mediterraneo sono le gallerie sotterranee per trafficare merci dall’Egitto. Molti di questi tunnel furono distrutti durante i raid aerei di “Piombo Fuso”, operazione condotta dall’esercito israeliano tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009. In un’intervista rilasciata tre giorni fa Ziad al-Zaza, ministro dell’Economia nel governo di Hamas, ha sostenuto: “Prima dell’offensiva israeliana nei tunnel lavoravano 20 mila persone mentre oggi sono attivi circa la metà. Bloccare i tunnel – ha continuato l’esponente di Hamas -porterà ad un enorme disastro umanitario. Tutti i residenti della Striscia di Gaza saranno costretti a contare solamente sugli aiuti alimentari delle Nazioni Unite”. I quali, quando non vengono totalmente bloccati alla frontiera, ritardano mesi nel giungere a destinazione e quindi permettere il sostentamento di centinaia di migliaia di civili.

Oltre gli evidenti ostacoli militari i lavoratori dei tunnel, scavati dai 15 ai 35 metri sotto terra e lunghi anche più di un chilometro, sono giornalmente soggetti a un forte stress causato dalla precarietà delle condizioni nelle quali sono costretti a operare. Abu Antar, proprietario di uno dei cunicoli e datore di lavoro di circa cinquanta persone, ha dichiarato: “Ogni giorno lavoriamo sotto terra e ogni volta mi chiedo se ne usciremo vivi. Molte volte la terra è crollata… la morte è inevitabile in questo tipo di lavoro. Abbiamo a che fare con la paura ventiquattro ore al giorno. Molte persone hanno perso la vita mentre compivano il loro dovere. Ogni mese il numero delle vittime aumenta a causa dei danni provocati dai raid aerei israeliani”. A questo si aggiunge il muro di contenimento che l’Egitto sta alzando sul proprio confine per sbarrare l’accesso ai tunnel. Bloccati sopra e sotto terra si tratta solo di persone che cercano di lavorare per vivere e che, in questa ricerca, non trovano altro che la morte ad attenderli.