Il modello americano

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

Due giorni dopo la pubblicazione del consueto rapporto annuale sulla condizione dei diritti umani nel mondo, da parte del Dipartimento di Stato americano, alla metà di marzo il governo cinese ha risposto con un proprio studio sullo stesso argomento, relativo però agli Stati Uniti. Il “Human Rights Record of the United States in 2009” dell’Ufficio Informazioni presso il Consiglio di Stato cinese, fornisce uno sguardo decisamente alternativo, e scrupolosamente documentato, sulla situazione domestica della prima potenza planetaria e sugli effetti della sua politica estera. Quello che ne emerge è un quadro a tratti agghiacciante di un paese ed una società in profonda crisi, la cui propaganda ufficiale vorrebbe rappresentare invece come un modello di democrazia per l’intero pianeta.

Il dipartimento cinese responsabile della stesura del rapporto fa giustamente notare come Washington utilizzi, “anno dopo anno, il proprio studio per lanciare accuse ad altri paesi, trattando la questione dei diritti umani come uno strumento politico per interferire negli affari interni di governi sovrani, screditandone l’immagine e promuovendo così i propri interessi strategici”. Un atteggiamento strumentale, insomma, che rivela il “doppio standard” adottato dagli USA sul delicatissimo tema dei diritti umani.

Il rapporto sugli Stati Uniti, che ovviamente non può occultare le responsabilità della Cina (tra l’altro indicata proprio ieri da Amnesty International come il paese che nel 2009 ha eseguito il maggior numero di condanne a morte nel pianeta ) si compone di 14 pagine di dati provenienti interamente da fonti governative e dai media americani. La rappresentazione dello stato di salute della democrazia statunitense è analizzato attraverso una suddivisione in sei sezioni: vita, proprietà e sicurezza personale; diritti civili e politici; diritti economici, sociali e culturali; discriminazione razziale; diritti di donne e bambini; violazione dei diritti umani di altre nazioni.

Per cominciare, i crimini violenti negli USA risultano estremamente diffusi, così come è molto dura la conseguente repressione delle forze di polizia. Ogni anno sono circa 30 mila le vittime accertate di episodi di violenza con armi da fuoco, impiegate nel 67% degli omicidi totali (14.180 nel 2008, di cui la gran parte avvenuti nei quartieri più poveri delle città americane) e nel 43,5% delle rapine. Sempre nel 2008, sono stati quasi cinque milioni i crimini violenti denunciati nel paese e 16,3 milioni quelli contro la proprietà. Gli americani sotto la custodia del sistema detentivo sono poi 7,3 milioni, vale a dire il numero più elevato rispetto a qualsiasi altro paese. Nelle carceri americane, solo lo scorso anno sono stati documentati 60 mila episodi di violenza sessuale ai danni di detenuti.

L’alto tasso di violenza nel paese è dovuto anche al fatto che negli Stati Uniti circola in assoluto il maggior numero di armi da fuoco. Secondo i dati governativi, sarebbero 250 milioni le armi possedute dai cittadini, a fronte di una popolazione di poco più di 300 milioni di abitanti. Più di 9 miliardi sono invece le munizioni acquistate nel 2008. Sempre più colpiti da fatti di sangue legati all’uso di armi sono i campus universitari e le scuole in genere. Nella sola capitale, tra il 2007 e il 2008 la polizia ha effettuato 900 interventi per incidenti violenti avvenuti nelle strutture del sistema scolastico pubblico.

Pesanti sono anche le carenze nell’ambito dei diritti civili e democratici. Lo dimostra, tra l’altro, il pervasivo sistema di sorveglianza attivato dagli organi governativi dediti alla sicurezza nazionale grazie al Patriot Act, approvato nel 2001 dopo gli attacchi dell’11 settembre. Conversazioni telefoniche, e-mail, traffico internet, dati medici, personali e finanziari possono essere controllati a discrezione delle agenzie di intelligence, così come il semplice sospetto di favoreggiamento verso una qualche presunta rete terroristica consente la detenzione e la deportazione di cittadini stranieri. Singolarmente, fa notare il rapporto cinese, quelle stesse violazioni di altri paesi che gli USA definiscono abusi dei diritti umani, all’interno dei loro confini, e quando operate dal loro governo, vengono indicate come necessarie misure per il controllo del crimine e per la lotta al terrorismo.

Non particolarmente approfondita, anche se sufficiente a dare un quadro generico della situazione, è l’analisi della crisi sociale ed economica che affligge ampi strati della popolazione americana. Disoccupazione a livelli record (16 milioni i senza lavoro), povertà diffusa (40 milioni vivono al di sotto della soglia ufficiale di povertà), fame, milioni di senza tetto e di cittadini sprovvisti di qualsiasi copertura sanitaria (oltre 46 milioni in attesa della riforma di Obama) disegnano la dura realtà della prima potenza economica mondiale. Secondo i dati del Dipartimento dell’Agricoltura, sono 49 milioni gli americani che non sono in grado di permettersi il cibo necessario per un’adeguata alimentazione.

Altri numeri contribuiscono a rendere più cupo il quadro. Nel 2008 la contea di Los Angeles ha dovuto provvedere alla cremazione di 712 salme a spese dei contribuenti perché i familiari non potevano permettersi il costo di un funerale. Nel 2007 sono state quasi sei mila le morti sul lavoro (quasi 17 al giorno), per le quali tra l’altro non è stata emessa una sola condanna per i datori di lavoro. 2.266 sono stati i veterani deceduti nel 2008 per mancanza di assistenza sanitaria, un numero che supera di ben 14 volte il bilancio totale dei soldati americani caduti in Afghanistan in quello stesso anno.

Ugualmente diffuse, nonostante l’elezione del primo presidente di colore, sono le discriminazioni ai danni delle minoranze etniche (neri, ispanici e nativi americani), evidenziate da più di 32 mila episodi avvenuti sui luoghi di lavoro. Ovviamente in aumento sono anche le discriminazioni nei confronti dei musulmani, mentre ogni anno vengono detenuti 300 mila immigrati “illegali”. Nello stato della California, secondo i dati per il 2008, un imputato di colore ha avuto quasi venti volte in più di probabilità di ricevere un ergastolo rispetto ad uno bianco. I bersagli delle armi in dotazione della polizia di New York, invece, risultano per il 75% persone di colore, per il 22% ispanici e solo per il 3% bianchi. Le disparità riguardano anche le donne, le quali negli USA guadagnano in media il 33% in meno rispetto ai colleghi maschi e per il 70% dispongono di una inadeguata (o nessuna) assicurazione sanitaria, oppure sono gravate da pesanti debiti causati da spese mediche.

Un paese afflitto da un tale livello di indigenza si accolla circa il 42% delle spese militari complessive del pianeta (607 miliardi di dollari). Allo stesso tempo, gli Stati Uniti sono anche il primo esportatore di armi (37,8 miliardi di vendite nel 2008, pari al 50% in più dell’anno precedente). Altre critiche riguardano inoltre le torture ai prigionieri praticate regolarmente a Guantánamo e nelle carceri speciali istituite in Afghanistan e Iraq, ma anche il continuo embargo imposto a Cuba nonostante l’opposizione quasi unanime dell’Assemblea Generale dell’ONU, il sistema di intercettazione delle comunicazioni su scala planetaria operato dalla NSA (ECHELON) e il controllo monopolistico esercitato su Internet.

Per chiudere, spicca l’abituale disprezzo americano degli accordi internazionali, in particolare di quelli che hanno a che fare con i diritti umani e civili. Il rapporto cinese sottolinea quattro importanti trattati promossi dall’ONU e non ancora ratificati da Washington: quelli relativi ai diritti economici, sociali e culturali, delle donne, delle persone disabili e delle popolazioni indigene.