Il lungo viaggio della RU486

di Maria Mantello
da www.micromega.net

Il parossistico viaggio italiano della pillola abortiva RU486 è giunto a destinazione: il 29 marzo 2010, un Tir proveniente dalla Francia, ha recapitato alla Dhl di Settale (Milano) le prime duemila scatole del farmaco, che finalmente in tutta legalità potrà essere impiegato per l’aborto senza bisturi. Usata da più di 20 anni da milioni di donne in Spagna, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria, Danimarca, Grecia, Finlandia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Cina, Tunisia, in Italia la RU486 è stata oggetto di boicottaggi di ogni sorta da parte delle gerarchie vaticane e dei loro fidi sostenitori sparsi nei partiti e sugli scranni governativi, che puntualmente intervenivano per impedirne legittimazione e vendita. Si pensi soltanto che l’ok dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è arrivato dopo un’istruttoria durata ben 700 giorni. Un tempo più di tre volte superiore a quello medio impiegato per autorizzare ogni altro medicinale.

Il viaggio della RU486 inizia in Italia nel novembre 1989, quando la socialista Elena Marinucci, allora sottosegretario alla Sanità, chiede alla Roussel Uclaf di presentare formale richiesta al governo per introdurla nel nostro paese. Giovanni Berlinguer, scienziato, ed autorevole esponente del Pci, plaude all’iniziativa governativa:«sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità psichica e fisica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza» (L’Espresso, anno XXV, n. 46, 19-11-1989, p. 419). Non se ne fece però nulla. L’azienda produttrice ebbe addirittura paura di sfidare il Vaticano in casa. Del resto, la pillola abortiva, scoperta dal professor Emile-Etienne Baulieu nel 1982 e legalizzata in Francia nel 1988, aveva già procurato abbastanza guai ai suoi pionieri, minacciati addirittura di morte da fanatici cattolici. Sulla vicenda era intervenuto il ministro della sanità, Claude Evin, che per nulla intimidito dalle pressioni clericali, aveva ordinato di non interrompere la produzione di «quella medicina, la cui proprietà morale, – affermava con forza il ministro- è delle donne».

In Italia le cose andavano assai meno laicamente. Da noi non c’è la legge del 1905, ma il Concordato, che Bettino Craxi nel 1984 rinnovava col Vaticano, accettando che «i principi del cattolicesimo» fossero «parte del patrimonio storico del popolo italiano», e riconoscendo alla Chiesa il determinante ruolo di compartecipe statale nella «promozione dell’uomo e il bene del Paese». Gli effetti di certa promozione umana che per giunta in nome di Dio nega il diritto fondamentale di essere proprietari della propria vita, ben si sono mostrati nel tempo, ma purtroppo passano in secondo piano e comunque sono ben occultati dall’ignavia o dall’opportunismo di chi si serve del narcotico del grande fratello e del padre eterno per tenere a bada milioni di italiani.
Ma torniamo alla RU486 e al suo viaggio italiano.

La staffetta per la sua diffusione è ripresa grazie all’impegno di un’altra donna, allora presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, che 15 anni dopo ne sostiene la sperimentazione all’ospedale Sant’Anna di Torino. Nessuno scandalo, dichiarava impavida la governatora nel 2005:«la scelta della pillola abortiva rientra fra le opzioni previste da una legge dello Stato, la 194. Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno». A cercare di bloccare la sperimentazione interveniva però prontamente l’allora ministro berlusconiano Francesco Storace – che mai il fascismo aveva rinnegato – e che adesso sguinzagliava squadre di ispettori, con l’incarico di verificare che tutto si svolgesse secondo i protocolli sanitari. Tanta cura non si è mai vista ad esempio, per controllare come mai il parto cesareo nelle cliniche private fosse tanto in uso, oppure analisi inutili venissero effettuate a gettito continuo, o addirittura si procedesse a diagnosi taroccate per lucrare con gli interventi chirurgici.

Ma il censore che voleva boicottare la legge sull’aborto e che nei consultori avrebbe voluto infilare ad “assistere” le donne quelli del Movimento per la Vita, non la spunta. L’ospedale piemontese è in regola e i cavilli burocratici sono facilmente superati. Il viaggio della pillola abortiva può riprendere. Con buona pace anche per gli anatemi dell’arcivescovo di Torino, Severino Poletto che affermava: «Se ad un’arma da taglio, come gli strumenti usati per un aborto chirurgico affianchiamo, come metodo alternativo per uccidere un essere umano, una sostanza tossica, non vediamo alcun progresso né sul piano civile, né tanto meno su quello etico».

Nel frattempo, altre Regioni impiegavano la RU486 utilizzando sempre la via legale della sperimentazione. In Toscana, il dott. Srebot, primario di ginecologia nell’ospedale di Pontedera (provincia di Pisa) può così importare il farmaco dalla Francia con la normale procedura di richiesta per le medicine non disponibili sul territorio nazionale. A luglio del 2009 il non più rinviabile pronunciamento dell’Aifa intanto sta per arrivare. Indiscrezioni dicono che è dalla parte della RU486. Ecco allora il colpo di sacrestia per far credere agli italiani che la pillola sia addirittura pericolosa per la salute delle donne. Meglio un’anestesia, meglio un intervento chirurgico. E gli anatemi contro l’aborto puntuali risorgono tutti. In prima linea, l’on. Binetti, quinta colonna vaticana nelle file del Pd. Il sottosegretario al Welfare del governo Berlusconi, Eugenia Roccella, exradicale ormai pentita e redenta, buca gli schermi con i suoi proclami. E agli italiani non è risparmiato neppure il livore di un Luca Volontè e le liturgie antiaborto di Buttiglione e le repliche di Maurizio Gasparri.

Nella ben orchestrata campagna mediatica scende in campo la chiesa curiale col presidente della Cei, cardinal Bagnasco. Ed il presidente emerito della Pontificia Academia pro Vita, monsignor Elio Sgreccia, dopo aver ricordato l’automatismo della scomunica per chiunque abortisca e per chi collabori in qualsiasi modo alla cosa, manda questo chiaro messaggio al governo italiano: «Rimango allibito dall’atteggiamento dell’Aifa… spero che ci sia un intervento da parte del governo e dei ministri competenti». Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma governativo non resta indifferente al grido di dolore, e prontamente dichiara: «Politici cattolici e laici devono impegnarsi per il nuovo obiettivo di progresso di una civiltà senza aborto».

Sulla stessa lunghezza reverenziale non può mancare il presidente dell’Udc Rocco Bottiglione, che presenta un’iniziativa, firmata prontamente da Paola Binetti ed approvata il 15 luglio 2009 dalla Camera dei deputati, con cui chiede al Governo italiano di farsi promotore all’Onu di una risoluzione che «condanni l’uso dell’aborto come strumento demografico». Cosa buona e giusta! Tranne poi a bocciare le proposte di esponenti del Pd, dei Radicali e dell’Idv, che in quell’occasione chiedevano una politica di prevenzione dell’aborto, basata sull’educazione mondiale agli anticoncezionali. Anche per contrastare boom demografico e malattie a trasmissione sessuale.

Dalla mozione Buttiglione è rigorosamente bandito ogni riferimento alla libertà della donna e alla sua autodeterminazione. Parola questa, che solo a pronunciarla fa venire l’orticaria a molti cittadini di un paese dove in tempi assai recenti per le donne c’è stato il passaggio dal gineceo all’agorà. E dove il mito dell’eterno femminino – con madre sacrificale annessa – perdura nell’immaginario archetipo collettivo, col suo contrapposto e speculare stereotipo della donna corpo da materasso. Un paese dove, per fare l’esempio più eclatante, appena nel 1996 è stata approvata la legge 66 che condanna la violenza sessuale sulle donne in quanto reato contro la persona. Fino ad allora era reato contro la pubblica morale. Come se si trattasse di un semplice problema di ordine pubblico. Come se il corpo della donna, le sue parti intime, fossero proprietà collettiva, da tenere sotto pubblico controllo.

Come si pretenderebbe ancora per la funzione biologica della maternità, trasformata in essenza vocazionale. Come del resto l’on. Buttiglione, sempre a luglio del 2009 ribadiva in riferimento alla sua risoluzione alla Camera del 15 luglio 2009. «Siamo tutti d’accordo che l’aborto è comunque un male – dichiarava alla stampa il presidente dell’Udc in quell’occasione -, ma ci dividiamo sempre tra chi è per la vita e chi è per la scelta. È ora di contrastare tutti insieme chi nel mondo è sia contro la vita sia contro la scelta». Dove scelta per la donna, non è il diritto ad essere proprietaria del suo progetto esistenziale, ma catechistica obbedienza al fiat mariano. Ma la RU486 continua nonostante tutto il suo viaggio.

Il 30 luglio il Cda dell’Agenzia Italiana del Farmaco ne autorizza la diffusione. A favore il presidente, Sergio Pecorelli, e i consiglieri Giovanni Bissoni, Claudio De Vincenti e Gloria Saccani Jotti. Pollice verso: Romano Colozzi, assessore alle Risorse e Finanze della Regione Lombardia. Quella retta da Roberto Formigoni, già impegnato a sollecitare funerali per feti abortiti e a incalzare le strutture sanitarie lombarde a tenere artificialmente in vita i feti espulsi dopo sole 22-23 settimane di gestazione. Che se in qualche caso fortunato sopravvivono, sono condannati ad esistenze precarie, segnate da gravissime ed irreversibili disabilità. Ma l’amore per la vita, di chi non si pone il problema della qualità della vita altrui, chiama assassini quanti si oppongono a questo crudele destino.

L’Aifa, dicevamo, ha dato a fine luglio del 2009 il parere favorevole alla vendita della ormai famosa pillola. Il suo viaggio sembrerebbe giunto al termine. Ma passata l’estate ecco ad ottobre la richiesta di “indagine conoscitiva” del senatore Gasparri, preoccupatissimo per la salute delle donne, che vanno messe sotto tutela ospedaliera. Perché se fosse lasciata a loro la scelta, potrebbero, dopo aver avuto il farmaco, decidere di firmare ed uscire, visto che ogni trattamento sanitario non può essere imposto contro la volontà del paziente. Il Governo ha allora il dovere di verificare la compatibilità tra la legge 194 e la RU486. A reti televisive (quasi) unificate ecco il ministro del Welfare Maurizio Sacconi recitare che l’uso della pillola abortiva sarà consentito solo in ospedale e con un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, per ridurre al minimo le reazioni avverse (effetti collaterali, emorragie, infezioni ed eventi fatali) e per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Su queste premesse il ministro Sacconi chiede anche al Consiglio dell’Aifa di valutare «se sia il caso di riconsiderare alla luce di queste indicazioni la sua precedente delibera».

Mentre il viaggio della RU è impantanato in tanto amore caritatevole per le donne e nella confusione di ruoli e competenze tra Aifa e ministero della Sanità, lo zelante Gasparri, insieme a Quagliarello e Bianconi, presenta il 1 dicembre 2009 (questa volta senza clamore mediatico) la proposta di legge n° 1915, per modificare il primo articolo del codice civile: la soggettività giudica, ovvero l’essere portatori di diritti, non si abbia come è attualmente previsto al momento della nascita, ma bensì appena concepiti (diritti ereditari esclusi). Per buona memoria, un’iniziativa analoga a questa del senatore Gasparri era stata promossa dal Movimento per la vita con una legge di iniziativa popolare nel 1995.

Ma mai ammessa alla discussione parlamentare. Il 3 dicembre 2009, intanto, il Consiglio di amministrazione dell’Aifa si riunisce in via straordinaria: esprime apprezzamento per le precisazioni del ministro Sacconi, ma riconferma il suo ok alla vendita della RU486. E finalmente lunedì 29 marzo 2010, mentre riaprivano i seggi per le votazioni regionali, che avrebbero dato (per un pugno di voti) Emma Bonino nel Lazio e Mercedes Bresso in Piemonte sconfitte, e il pienone a Formigoni in Lombardia… E tanto altro al partito dell’amore… un Tir pieno di pillole RU486 arrivava a Milano… A compimento del lungo viaggio italiano per la legalità della RU486.