L’Aquila – Pasqua di rinascita

Di Anna
Da http://miskappa.blogspot.com/

Le carriole, il cuore di tanti Aquilani messo a servizio della propria città, suscitano paura, polemiche, attacchi, strumentalizzazioni. Nelle stanze del potere si vede di mal’occhio la raccolta di tanti cittadini sotto un unico obiettivo. I cittadini pensanti, critici, attivi, nell’Italia di oggi, devono essere eliminati. Relegati in un angolo, ridotti al silenzio a subire le decisioni prese da altri. E’ questo il volere del Prefetto Gabrielli. E’ questo il volere della Curia. Gli attacchi sono stati spietati. Gabrielli, ex capo del Sisde, amico fraterno di Guido Bertolaso,dopo aver sentenziato che le carriole aquilane sono un chiaro strumento elettorale, ed aver denunciato i cittadini, non pago, ha inferto l’affondo “questa si chiama prepotenza delle minoranze”. E qui si scopre l’individuo. Sorvolando sul fatto che non siamo minoranze, bensì rappresentanze,come vogliamo definire chi scorge nelle minoranze un pericolo e non una ricchezza? E ne annulla i diritti? Come vogliamo chiamare chi tende a ridurle dispoticamente al silenzio? A voi la risposta.

Altro uomo di potere che non ci ha lesinato stigmatizzazioni è l’arcivescovo Molinari, colui che è stato commissariato dallo stesso papa, tramite l’invio di un vescovo ausiliare. ” Sembra che ci sia qualcuno molto interessato alle ‘carriolate’ perché vuole creare dal punto di vista politico un gruppo che abbia autorità nella ricostruzione della città”. E ancora:” qualcuno è molto interessato a queste manifestazioni per poter entrare poi nella cabina di regia delle attività di rimozione delle macerie e di ricostruzione” Pure illazioni quelle dell’uomo di chiesa, che lanciano ombre, ma non fanno nomi. Se gli Aquilani volessero fare illazioni sull’operato del vescovo e della curia tutta, prima del terremoto, avrebbero milioni di parole da versare. Se ne sono viste delle belle, con i numerosi pretini giovani arrivati in città dopo l’insediamento del vescovo. Eleganti e azzimati come maniquenne e affettati come cicisbei. Si sono notati i loro comportamenti poco ortodossi.

Nelle strade e nelle canoniche. Illazioni, supposizioni senza nessuna base concreta, per cui i cittadini hanno taciuto. Non hanno rilasciato interviste nelle quali esplicitavano i loro sospetti. Il vescovo, invece, parla a favore dei giornalisti. E accusa. Senza addurre fatti probanti. Fatti, invece, e non parole, sono quelli che vedono la Curia imporre prepotentemente le mani sul bottino del post terremoto, ottenendo che si costruiscano strutture pubbliche, con danaro pubblico,quali la nuova casa dello studente, su terreni privati, della curia, che ne assume la gestione ed il possesso. Oppure costruendo strutture private, chiesa, conventino per sei fraticelli, accoglienza e mensa su terreni pubblici, quale Piazza D’Armi. Disgustoso l’atteggiamento che vede chi dovrebbe auspicare e favorire la fratellanza fra le genti applicare il divide et impera che qui, ormai, è di casa. Applicato in primis dal metodo protezione civile, quindi dalle istituzioni, ed ora anche dal clero. Nessuna parola per le infiltrazioni mafiose negli appalti, nè su chi rideva alle 3e32 di quella notte. Nessun cenno a chi specula sulla nostra tragedia. Lì si tace. Come sui preti pedofili.

Mi cheto. La Pasqua nella mia città mi piaceva tanto. Come rito di rinascita. Ed amavo, da atea, il funerale di Cristo uomo che si svolgeva per le via del centro storico. La processione del venerdì santo mi vedeva sempre presente. Quest’anno non ci sarò. Sono nauseata. La mattina di Pasqua ci riuniremo per la tradizionale colazione aquilana nel presidio permanente di piazza Duomo. Per abbracciarci ancora. Per continuare a sperare. Poi il selenzio per la commemorazione della nostra tragedia. Solo la fiaccolata, dalla mezzanotte del 5 alle 3e32 del 6 aprile. Lasciamo agli altri i teatrini e le ostentazioni. Noi esigiamo silenzio e rispetto.
Buona Pasqua di rinascita a tutti voi.

La domenica delle palme

Domenica delle palme. La stessa domenica che, un anno fa, ha visto spezzate le nostre vite.Le carriole aquilane sono tornate in piazza, nonostante i divieti e le intimidazioni. E le voci che davano rimandata per motivi elettorali la giornata di lavoro sulle macerie. Abbiamo trovato la Digos ad aspettarci alla villa comunale, stamani. Divieto categorico di introdurre le carriole in piazza Duomo. “Sono un simbolo elettorale”, ci siamo sentiti dire. Alle nostre vibrate proteste, “siamo lavoratori”, sono state sequestrate. Non ci siamo dati per vinti. Abbiamo raggiunto il presidio permanente in piazza Duomo ed abbiamo tirato fuori dal tendone le carriole che stavano lì dalla scorsa domenica. E ci siamo diretti verso piazza Nove Martiri, per ultimare il lavoro iniziato la scorsa settimana. Correndo e spingendo le carriole, abbiamo guadagnato la piazzetta attraverso i vicoli che costeggiano il corso. E abbiamo iniziato a spalare, come sempre. E nessuno aveva provveduto a svuotare i cassoni che avevamo riempito con il lavoro dell’ultima domenica. Ma la catena umana si è formata ugualmente. Tante persone hanno il desiderio di lavorare e di apportare il loro contributo materiale alla città. E si è cantato, mentre si lavorava.

La Digos, imperterrita, rispettando ordini venuti dal Prefetto, che dice di averli ricevuti direttamente dal ministero, ha provveduto ad intimorire i cittadini. “Denunceremo all’istante i proprietari delle carriole”, hanno tuonato minacciosi. Chi è sopravvissuto ad un terremoto come il nostro, chi è sopravvissuto a mesi e mesi di soprusi che hanno calpestato i diritti e la dignità dei cittadini non ha paura. Men che meno di una carriola. O di una denuncia. Per prima mi sono assunta la paternità dell’attrezzo. Per prima sono stata identificata. Dopo si sono aggiunti gli altri. Mentre partecipavamo, a mezzogiorno, alla sempre più affollata assemblea cittadina, ci è giunto il verbale di sequestro che vi produco. Abbiamo riso, per non arrabbiarci. Ma tutto ciò è gravissimo. Continuano a calpestarci, pur coprendosi di ridicolo. Non ci fermiamo qui. L’ho già detto. Lo ripeto. Le proposte per lo smaltimento delle macerie sono pronte in un documento dettagliatissimo. E altri temi sono stati affrontati e saranno discussi in tavoli di lavoro che produrranno i documenti da sottoporre alle amministrazioni. Intanto si avvicinano i giorni dell’anniversario. Il 31 sarà trascorso un anno da quel giorno in cui la commissione grandi rischi rassicurò la popolazione tutta dalla paura di una grande scossa. Ci invitarono a bere del buon Montepulciano d’Abruzzo. E a non pensarci. Mentre non si approntavano piani di evacuazione e non si predisponevano supporti in loco.

La notte del 6 aprile, quasi un anno fa, erano in servizio solo quindici vigili del fuoco. Mentre qualcuno, lontano, rideva. E le macerie, e le nostre case distrutte sono ancora qui. Oggi. A dirci che poco è cambiato da un anno fa. Mentre, intorno alla nostra città, su quella terra che amiamo, incorniciata dalle nostre montagne, diciannove nuove città, che resteranno lì per sempre, ci mostrano un territorio devastato dalla mano dell’uomo. Orribili casermoni che ospitano una piccola parte di senza tetto e che lasciano lontani dalla città ancora tanti. E tanti ancora, la maggioranza, a provvedere a se stessi da soli. Non so se gli Aquilani elettori vorranno premiare questo governo. Io ho votato. Con la nausea e la rabbia. Poiché la sinistra si è comportata in maniera vergognosa nella gestione del dopo terremoto. Avallando le sconcezze volute dal governo. Ma ho preferito scegliere il nemico interlocutore. Tornando nella casa che abito da qualche giorno, ho fatto scivolare lo sguardo sulle mie montagne, le ho accarezzate. Loro, almeno, non son cambiate. E mi danno sicurezza. E le amo. Così come amo la mia città martoriata. E la mia gente battagliera. Che non si arrende. Ci aspetta una settimana pesante. Le passerelle di politici, prelati, giornalisti sono alle porte. Resisteremo anche a questo.

Il potere a piazza Palazzo, i fatti a piazza Nove Martiri

Non so come raccontarvi la giornata di domenica 21 marzo. Non riesco a narrarla come una cronista del terremoto aquilano, quale mi sono autoeletta dal 6 aprile. Un cronista dovrebbe essere privo di coinvolgimento emotivo e parlare semplicemente degli accadimenti. Io, invece, la giornata di ieri l’ho vissuta con il cuore aperto e con tutta me stessa. Ed è stata bellissima. Ancor più bella di quel 14 febbraio scorso, quando è nato il movimento dei cittadini aquilani. Dopo giorni di scoramento,nel corso della settimana,dove sembrava di essere di nuovo soli e pochi di fronte alla macchina da guerra che organizza i consensi elettorali, e sembrava di essere inermi, quasi schiacciati, dal clero, dai politici, dall’esercito, dalla polizia, da Bertolaso che tornava alla carica con i metodi che conosciamo, ebbene siamo esplosi di nuovo. Tantissimi ed incontenibili. Alle 10 del mattino le carriole erano pronte per partire alla volta di piazza Palazzo. Sapevamo che l’esercito ed i vigili del fuoco l’ avevano sgomberata dalle macerie, ma volevamo constatare il lavoro fatto. E poi, provare,senza consenso della Digos, ad avanzare alla volta di piazza San Pietro. Cuore del quarto più devastato dal sisma. Si stava partendo quando un’auto blu è arrivata.

Il presidente della regione, Gianni Chiodi, voleva entrare in piazza con noi. “Vi faccio strada” ci ha detto l’ennesimo strumentalizzatore. Qualche sguardo scambiato velocemente e il corteo non è partito. Lo abbiamo mandato avanti solo, con il codazzo dei giornalisti. A riprendere la piazza pulita e vuota. Siam partiti dopo una quindicina di minuti. Lentamente. Eravamo fortemente contrariati dall’ennesimo spot. Dopo alcuni metri, ancora qualche sguardo di tacita intesa, abbiamo iniziato a correre, con pale, secchi e carriole. Qualcuno ha spostato una transenna, posta ad occultare sapientemente una delle tante piazze della nostra meravigliosa città, e ci siamo imbucati per la stretta viuzza che conduce a piazza Nove Martiri. E lì, davanti ai nostri occhi, si è svelato il mucchio di macerie che la sovrasta. Ed i giardinetti invasi di sporcizia e materiale di risulta. E abbiamo iniziato a spalare. E differenziare. E la catena umana si è formata spontaneamente. E i cittadini arrivavano, in massa. Ci siamo abbracciati, quasi piangendo. La fantasia e la spontaneità che vinceva sul potere. E quante facce nuove e quanta buona volontà. Nel frattempo, al parco del Castello, altre centinaia di persone, famiglie con bambini, ripulivano le aiuole e piantavano le primule. E i bimbi facevano disegni. La piazza del Duomo era pienissima. Nei tendoni che avrebbero ospitato l’assemblea cittadina si prendevano le prenotazioni dei partecipanti. Più di quattrocento.

Ma erano in tantissimi quelli che assistevano da esterni. Alla spicciolata ci siamo diretti a piazza Palazzo, in tempo per constatare che è stata ripulita, ma che la differenziazione non è stata effettuata, se non per qualche mucchietto di pietre poste lì per le telecamere. Sarà una dura battaglia, che verrà portata avanti con la carta bollata. A suon di esposti. Vedere lo “struscio” lungo il corso cittadino, dopo quasi un anno, mi ha commossa. Gli Aquilani, anche quelli che non hanno spalato, si son ripresi la loro città. Deserta fino a qualche settimana prima. L’assemblea, facilitata da esperti volontari, giunti da Roma e Firenze, ha prodotto un primo documento importantissimo. I bisogni e le proposte dei cittadini. Tavoli di lavoro dove ognuno si è reso referente e responsabile delle proposte avanzate. I facilitatori ci hanno detto che mai avevano visto un’assemblea tanto sentita e partecipata. E poi il pranzo, offerto dagli amici di un vicino paese, con il supporto di tutti noi, ci ha visti intorno agli stessi tavoli di discussione. Ci ha visto sorridere. E sperare. Sappiamo che sarà dura. E che il percorso di ricostruzione della nostra città lungo e periglioso. Ma la ricostruzione sociale è iniziata da noi. Dal popolo delle carriole, come i media ci hanno battezzati. Un raggio di sole, nella giornata dal cielo velato, ha illuminato lo scorcio della serata. Un segno di speranza e di unità. Sappiamo bene che ormai costituiamo una realtà tangibile. E ci temono in molti. E molti vorrebbero cavalcare i risultati dello sforzo e del sacrificio che, dopo undici mesi, mostra i suoi frutti. Noi vogliamo continuare ad essere liberi. E a rivendicare il diritto alla partecipazione. Alla trasparenza. Alla verità.