Karzai perde amici

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

Da qualche settimana a questa parte, un’accesa disputa sta mettendo a dura prova i già logori rapporti tra il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, e gli Stati Uniti. Quel poco di credibilità rimasta agli occhi delle potenze occupanti dopo le elezioni presidenziali dello scorso agosto caratterizzate da brogli diffusi, Karzai sembra averla persa rapidamente nell’ultimo periodo. Una inaspettata resistenza alle richieste occidentali e lo scontro prolungato sul controllo del processo elettorale, in vista del voto per il rinnovo del Parlamento afgano, stanno producendo un durissimo scontro con Washington, dove sembra si stia cominciando a pensare ad un futuro senza il presidente, ormai ex fantoccio della Casa Bianca.

Ad accendere gli animi tra Kabul e Washington, a febbraio, era stata la firma da parte di Karzai di un decreto che gli attribuiva maggiori poteri sulla commissione elettorale incaricata di valutare eventuali irregolarità nel voto. Una commissione che dopo le presidenziali dello scorso anno aveva annullato quasi un milione di schede a lui favorevoli in seguito a svariati reclami per presunte irregolarità. Con la nuova legge, il presidente afgano intendeva assicurarsi la facoltà di nominare tutti e cinque i membri della commissione. Una mossa che avrebbe privato l’ONU della possibilità di esercitare un qualsiasi controllo sulla correttezza delle procedure di voto.

In risposta all’iniziativa di Karzai, la Casa Bianca a marzo aveva allora cancellato bruscamente una visita a Washington del presidente afgano, il quale a sua volta aveva reagito invitando a Kabul il leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad, protagonista di un discorso dagli accesi toni anti-americani. Ad allentare momentaneamente le tensioni era giunta infine una visita a sorpresa di Obama nella capitale afgana. Oltre alla ormai consueta richiesta di adoperarsi maggiormente per combattere la corruzione dilagante nel suo gabinetto, il presidente americano era riuscito ad ammorbidire in parte la posizione di Karzai sulla questione della commissione elettorale.

Quest’ultimo, ha così acconsentito a scegliere solo tre dei cinque membri, riservandosi il diritto di nominare gli altri due dietro segnalazione dei delegati delle Nazioni Unite nel paese. La disputa si è successivamente trasferita sul terreno interno, dal momento che la Camera bassa del Parlamento afgano ha unanimemente bocciato il decreto di Karzai. Con la Camera alta che si è però rifiutata di esprimersi, e la Commissione Elettorale Indipendente espressasi a favore, il colpo di mano del presidente sembra destinato comunque ad andare a buon fine.

Che i dissapori con gli USA non siano però limitati a questioni elettorali lo confermano le più recenti uscite di Karzai nei confronti della potenza occupante che lo aveva issato ai vertici del nuovo stato afgano dopo la deposizione del regime talebano. Secondo alcune ricostruzioni, Karzai avrebbe espresso in privato tutte le sue riserve nei confronti degli americani, accusandoli di puntare esclusivamente al dominio del paese e dell’intera regione centro-asiatica. A suo dire, sarebbe proprio Washington ad ostacolare gli sforzi fatti dal suo governo per stipulare accordi di pace con i talebani più disponibili al dialogo. Una strategia mirata a perpetuare il caos in Afghanistan, così da giustificare una permanenza prolungata delle truppe NATO nel paese.

Come non bastasse, Karzai ha lanciato pubblicamente altre pesanti critiche all’Occidente che hanno provocato la durissima reazione della Casa Bianca. Il presidente afgano ha accusato gli USA e l’ONU di voler istituire un governo-fantoccio e per raggiungere tale scopo avrebbero orchestrato diffuse irregolarità nel voto dello scorso agosto, così da impedirgli di conquistare un secondo mandato.

L’ira di Karzai si è concentrata in particolare sull’ex vice capo missione dell’ONU in Afghanistan, il diplomatico americano Peter W. Galbraith, e l’ex generale francese Philippe Morillon, numero uno della missione dell’UE incaricata di supervisionare le operazioni di voto. Se i soldati alleati nel paese, ha aggiunto Karzai, continueranno ad essere percepiti puramente come mercenari al servizio degli interessi delle potenze occidentali, allora il popolo afgano non potrà che considerarli come invasori, trasformando inevitabilmente gli insorti talebani in un “movimento nazionale di resistenza”.

Una prospettiva quest’ultima che appare peraltro già molto vicina alla realtà sul campo, come testimoniano ormai svariati resoconti anche della stampa “mainstream” d’oltreoceano. È stato lo stesso New York Times, ad esempio, qualche giorno fa a rivelare il reale rapporto di forze nel distretto di Marja, nella provincia meridionale di Helmand, obiettivo della più recente offensiva delle forze ISAF. Nonostante i proclami, le forze occidentali qui controllerebbero quasi esclusivamente le proprie basi, mentre i Talebani avrebbero in mano tutte le aree circostanti, mettendo in atto ritorsioni nei confronti di quanti hanno collaborato con gli occupanti stranieri e costringendo alla chiusura molti progetti di ricostruzione frettolosamente avviati.

L’inquietudine mostrata da Karzai e le conseguenti reazioni di Washington rivelano in definitiva la vera natura del conflitto scaturito come risposta agli attacchi terroristici dell’11 settembre. Una guerra mirata ad istallare un governo docile agli interessi americani, indirizzati principalmente al controllo di una regione dalle sconfinate riserve energetiche, minacciate dall’instabilità dei movimenti integralisti islamici e dalla concorrenza di Russia e Cina.

Le accuse lanciate dal presidente afgano ai padroni di Washington riflettono, da un lato, la crescente ostilità della popolazione locale nei confronti di un’occupazione quasi decennale che ha causato migliaia di vittime civili e, dall’altro, rivelano le angosce di un Karzai sempre più isolato a livello internazionale e smanioso di riconquistare una qualche credibilità sul fronte domestico, cercando di resistere alle pressioni esercitate dall’Occidente.

Per l’amministrazione Obama, in ogni caso, il rapporto con Karzai rappresenta un vero e proprio dilemma. Con un secondo mandato da presidente che scadrà tra più di quattro anni, prenderne le distanze in maniera netta significherebbe minare il sostegno alla strategia americana che prevede entro l’estate l’invio in Afghanistan di altri 30 mila soldati. La minaccia di ritirare il contingente alleato per spingere Karzai a più miti propositi, poi, non appare percorribile, poiché la difesa degli interessi americani in Asia centrale deve passare necessariamente attraverso un’occupazione militare dell’Afghanistan.

In una situazione che sembra senza uscita, da qualche ambiente diplomatico inizia allora a trapelare l’ipotesi di una possibile spallata nei confronti del governo di Karzai, con ogni probabilità da mettersi in atto ad opera di quell’Alleanza del Nord che nel 2001 giocò un ruolo chiave nella cacciata dei talebani. Il tutto con la tacita approvazione di Washington, nel solco di una pratica americana ampiamente consolidata nel tempo.