Somalia: al-Qaeda e la questione economica

di Benedetta Guerriero
da www.peacereporter.net

A Mogadiscio, dopo i combattimenti del giorno di Pasqua, regna un’apparente calma. Gli scontri tra l’opposizione di matrice islamica, guidata dagli Shabaab e dal Partito islamico, contro le truppe del governo di transizione, supportate da Amisom, la missione dell’Unione Africana, subiscono una battuta d’arresto. Mentre le armi tacciono, gli schieramenti preparano le diverse strategie politiche. Da un lato c’è il Governo che per bocca del ministro dell’Interno, Abdel Rahman, ha reso noto a al-Jazeera dell’ingresso in Somalia di dodici dirigenti di al-Qaeda. “Riteniamo – ha detto il ministro – che si tratti di una visita di carattere esplorativo con lo scopo di verificare se esiste la possibilità di aprire nuovi rifugi, ora che i terroristi si sentono braccati in Iraq e Afghanistan”. Ed è proprio la presunta presenza dell’organizzazione di Bin Laden in Somalia il centro delle dichiarazioni tanto del Governo di transizione che di quelle dell’opposizione islamica.

“Sono molto scettico – ha detto a Peacereporter Matteo Guglielmo, ricercatore ed analista del Cespi per il Corno d’Africa – su questo argomento. Da qualche mese sembra che in Somalia sia scattata la “voglia di al-Qaeda”. Tema del quale si è iniziato a parlare in concomitanza con le sanzioni all’Eritrea, che hanno portato a un taglio netto dei finanziamenti militari e economici somali, e al ritiro dell’Etiopia dal conflitto nel 2009, che ha abbandonato il Governo di transizione al suo destino. Per tutte le parti in conflitto al-Qaeda è una questione economica”. Se in Somalia fossero effettivamente trovate le tracce della presenza qaedista, la guerra riceverebbe nuova linfa. Il Governo di transizione potrebbe fare affidamento sui fondi e gli eventuali rinforzi inviati dagli Stati Uniti per sconfiggere il terrorismo, mentre l’opposizione islamica riceverebbe soldi e mezzi dalla rete di Bin Laden. Anche gli allarmi lanciati dalle istituzioni di transizione circa la massiccia presenza di combattenti stranieri nel Paese sarebbe funzionale a testimoniare la presenza dei terroristi di al-Qaeda.

“Fino a questo momento – prosegue Guglielmo – gli stranieri, se ci sono, sono invisibili, perché non è mai stata portata alcuna prova della loro esistenza. Una volta il Governo ha cercato di spacciare come combattenti nordafricani tre uomini della regione di Merka, dove gli abitanti hanno pelle più chiara, ma sono sempre somali. E’ vero, invece, che molti somali sono tornati in patria per combattere e allargare le fila degli Shabaab o di Hizbul Islam, il partito islamico. Forze che potrebbero avere la meglio. Tra i Giovani Mujahidin e Hizbul Islam è in atto un avvicinamento, per quanto le alleanze tra le due fazioni, che rimangono essenzialmente rivali, si sgretolano molto facilmente.

“Gli Shabaab – spiega il ricercatore del CeSpi – sono molto giovani e vicini alla strategia qaedaista. Contrariamente a quello che si pensa, da un punto di vista religioso non sono molto accreditati, al loro interno non militano personalità di spicco dell’islam. A fare da collante alla loro ideologia è la predicazione della lotta contro l’invasore, lo straniero. Prima l’Etiopia, ora Amisom che, è importante sottolineare, non è una missione di pace, ma di peace support (supporto alla pace), a sostegno del Governo transitorio. Mancando la pace nel Paese, le truppe Amisom svolgono un’altra funzione. Il Partito islamico di Sheik Hassan Dahir Aweys, invece, è una coalizione di tante fazioni, come ad esempio L’Alleanza per la liberazione della Somalia, i Fratelli di Ras Kamboni e non agisce in modo umanitario. La competizione tra i due schieramenti non si gioca tanto sulla lotta al Governo, obiettivo condiviso, quanto sul futuro dei territori conquistati. I Giovani Mujahidin vorrebbero trasformare la Somalia in un vero e proprio emirato islamico, mentre gli uomini di Dahir Aweys vorrebbero una riformulazione delle istituzioni transitorie a loro favore”.

Nell’attuale fase della guerra, in corso dal 1991, a essere favoriti sono gli Shabaab sia da un punto di vista militare che economico. Sono loro a controllare le principali città portuali della Somalia e a poter contare su un maggior numero di uomini e armi. “Gli Shabaab – conclude Gugliemo – sono i più avvantaggiati, ma vivono una fase decadente. Le munizioni iniziano a scarseggiare e la popolazione è insofferente. L’alternativa sperata non è arrivata. A questo punto saranno decisivi i movimenti della comunità internazionale, ma la Somalia non è l’Iraq o l’Afghanistan. Nel vertice del 2009, che si era tenuto a Bruxelles, il Gruppo di contatto sulla Somalia aveva deciso uno stanziamento di 213 milioni di dollari al Governo e ad Amisom, ma solo il 40 per cento dei fondi è effettivamente stato versato”.