Stefano Cucchi. Morto di botte

di Rosa Ana de Santis
da www.altrenotizie.org, 10 aprile 2010

Hanno provato a farlo morire di anoressia, di droga, di cadute accidentali dalle scale e di un quasi suicidio. Ma gli esperti di parte civile non hanno dubbi. Stefano è morto di edema polmonare acuto per le percosse violente subite. Il suo cuore, sotto i colpi delle botte, sarebbe diventato sempre più lento. Affaticato dalla frattura in L3, spacciata per troppo tempo come lesione antecedente agli eventi, dall’immobilizzazione forzata e da tutta la “catena di eventi” seguita a quello traumatico, si sarebbe spento piano piano. Con efficiente complicità della negligenza dei sanitari. Dei camici bianchi che hanno finto di non ravvedere l’urgenza e la gravità del caso e che non hanno voluto salvare Stefano.

Appena ricoverato al Pertini i suoi battiti erano già 49, contro i 60-90 normali. Una conseguenza piuttosto scontata e rischiosa per i pazienti che hanno subito lesioni midollari. Il quadro delle ecchimosi e delle lesioni fa il resto. Ci spinge a non voler cadere nella trappola della disinformazione. Quella che vuole circoscrivere il fango alle responsabilità, che pure sono evidenti e gravissime, dei sei medici coinvolti. Per lasciare pulite le tre guardie carcerarie e, insieme a loro, la macchina perfetta della violenza di Stato.

Stefano Cucchi era gracile, ma sano. Praticava sport e sua sorella Ilaria ha da sempre respinto il tentativo di occultare le fratture recenti addebitandole al passato. Oggi ci sono le prove autoptiche e la documentazione dei periti a dare forza alle parole dei suoi familiari. Le fratture non hanno callo osseo e concordano con i segni feroci che abbiamo visto tutti su quel corpo ridotto a uno scheletro di sangue.

Queste ultime perizie, va precisato, non spostano l’attenzione e l’occhio della Procura dalle omissioni dei medici, dall’ingiusta disparità di trattamento e cure tra cittadini liberi e detenuti, dalla disumanità in cui i sanitari hanno lasciato Stefano da solo, agonizzante. Ma strappano i poliziotti indagati dal comodo silenzio in cui erano finiti in questi ultimi mesi. Ricorda all’opinione pubblica che qualcuno ha picchiato, qualcuno in divisa ha dato calci e pugni fino al punto di uccidere il giovane Cucchi.

Per la Commissione d’inchiesta Parlamentare Stefano è morto di disidratazione. Il dottor Albarello, direttore dell’Istituto di medicina legale della Sapienza di Roma, a capo del pool di medici, consulenti del pubblico ministero che conduce l’inchiesta, parla certamente di terapie sbagliate e di responsabilità per i medici che hanno preso in carico il giovane. Ma le evidenzia come responsabilità omissive che non scagionano più, come sarebbe accaduto senza questa perizia, i poliziotti indagati.

Aver parlato di malasanità, d’imperizia medica, di condizioni disumane dei detenuti, avrebbe annebbiato il caso, avrebbe dissolto gli assassini in una riflessione generale sulle carceri e le morti dietro le sbarre. Quelle che suscitano formale tristezza, ma che si dimenticano in fretta. Quelle che quasi sembrano naturali, quando non sono addirittura invocate come meritate, per chi finisce ai ferri.

Questo non si può più dire. O almeno sarà sempre più difficile. I medici avrebbero potuto salvare Stefano Cucchi con una diversa terapia, ma non l’hanno fatto. La loro colpa è di averlo condannato a morte. I poliziotti a calci e pugni gli hanno procurato un trauma che ha iniziato a ucciderlo lentamente, nelle sequenze di una lucida agonia. Lucida fino a quando Stefano è riuscito a chiedere aiuto. Un familiare, un legale.

Questa è la disperazione che ci racconta la sorella di Stefano dall’ultima conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Immaginarlo in quegli ultimi attimi di vita. Quando forse avrà creduto di esser stato lasciato da tutti, di esser stato dimenticato lì. Le sue parole obbligano a non scantonare nelle questioni generali e a non cancellare i nomi e i cognomi.

Oggi non parliamo di carceri e di dignità dei malati in carcere. Ma di Stefano e dei suoi assassini. Di un detenuto ucciso, degli uomini in uniforme che l’hanno massacrato di botte e di quelli in camice bianco che non l’hanno salvato. Parliamo dei suoi assassini. Per non dimenticare chi era Stefano e non dimenticare come è stato ucciso.