GB, la guerra alle opinioni

di Mario Braconi
da www.altenotizie.org

Contrariamente a quanto si ritiene comunemente, in Gran Bretagna non è sempre possibile esprimere liberamente il proprio pensiero: non solamente, infatti, le leggi britanniche sulla diffamazione mettono la mordacchia alla libertà di espressione dei cittadini, ma costituiscono un’attrattiva irresistibile per gli avvocati di tutto il mondo, facendo di Londra la “capitale mondiale dei sentimenti feriti”.

Quando si tratta di tutelare l’onore dei loro clienti “offesi” in qualsiasi parte del globo, il tipo di tutela che la legge inglese garantisce al “diffamato” è quasi sempre garanzia di successo. Ad esempio, nel 2005 Roman Polanski ha citato presso una corte londinese l’edizione americana di Vanity Fair per le affermazioni contenute in un articolo, nel quale si sosteneva che il discusso regista avrebbe tentato di sedurre una donna mentre tornava dal funerale della moglie Sharon Tate, assassinata dalla banda di dementi di Charlie Manson il 9 agosto del 1969. Anche se la rivista è americana e Polanski vive a Parigi, la corte inglese ha dato ragione al regista di origine polacca, condannando la rivista ad un risarcimento di 50.000 sterline.

Simon Singh, autore britannico di best seller di divulgazione scientifica, non è forse l’ultima vittima di questo sistema malato, ma sperabilmente ne sarà la nemesi. E’ il 2008 quando Simon, dopo la pubblicazione di un libro assai scettico sull’efficacia delle medicine alternative (“Aghi, pozioni e massaggi. La verità sulla medicina alternativa”), scrive un pezzo sul Guardian, nel quale attacca frontalmente le affermazioni della British Chiropractic Association (BCA), negando che la manipolazione spinale possa essere utilmente impiegata per trattare coliche, asma e pianto prolungato nei bambini; pertanto, prosegue il pezzo, ogni volta che BCA fa questo genere di affermazioni, sta promuovendo “cure fasulle”. La BCA ha immediatamente citato Singh per diffamazione. Per inciso, il fatto che la BCA abbia puntato Singh anziché il giornale (certamente più organizzato per affrontare simili eventi) dimostra l’intento “politico” di screditare e possibilmente rovinare finanziariamente un personaggio famoso, rispettato… e scettico.

La BCA, però, ha fatto male i suoi calcoli. Singh, scienziato dal sorriso contagioso e dal look anticonformista (occhiali alla John Lennon, taglio alla mohicana e completi da punk) ha raccolto il guanto della sfida: da scienziato ha infatti capito che non si trattava (solamente) di una questione personale, ma di una battaglia culturale per garantire libertà di scienza (una di quelle che in Italia si perdono a tavolino, per intenderci). E così è accaduto che il fisico delle particelle Simon Singh abbia impegnato oltre due anni della sua vita immerso nell’interpretazione della legge e dei suoi cavilli, al fine di affrontare al meglio possibile la sua battaglia giudiziaria contro la BCA.

Il caso BCA vs. Singh è stato la proverbiale palla di neve che in breve tempo si è trasformata in una valanga: il caso di uno scienziato censurato nella patria del pensiero liberale per aver espresso giudizi basati su dati di fatto ha attirato l’attenzione di tre importanti associazioni britanniche per la libertà di espressione (Pen UK, Index For Censorship e Sense About Science), che si sono aggregate in un cartello che fa pressione per una riforma della legge inglese sulla diffamazione.

Se il Ministro della Giustizia Jack Straw e il suo omologo del governo ombra conservatore, Henry Bellingham, hanno promesso una riforma della normativa in caso di vittoria della loro parte politica non è certo perché hanno in odio i chiropratici inglesi; quanto piuttosto perché interpretano correttamente un esprit du temps ormai chiaramente ostile a leggi liberticide ed incompatibili con gli ideali di “società aperta” con cui ogni politico (di destra o di sinistra) si riempie la bocca.

Da quando è stato strappato al laboratorio per passare le sue giornate in polverose aule di tribunale, la qualità della vita di Simon Singh è stata bruscamente ridimensionata: ha lavorato molto poco, ed inoltre ha dovuto sborsare più di 200.000 sterline (oltre 220.000 euro) per le spese legali. In ogni momento topico del processo, Singh si è consultato con la moglie per decidere quale strada prendere: affrontare la concreta possibilità della rovina finanziaria pur di salvaguardare onore e i princìpi, ovvero mollare tutto per limitare le perdite? “Anita mi ha sempre sostenuto,” confessa Simon al Times “ma devo dire che entrambi abbiamo imparato a nostre spese che l’unico modo razionale di affrontare l’attuale legge inglese sulla calunnia è quello di fare pubblica ammenda e lasciar perdere”.

Grazie al cielo, Singh è benestante e quindi può concedersi il lusso di non lavorare per qualche anno, e per giunta di pagare le parcelle degli avvocati (sia detto senza nulla togliere all’alto valore morale della sua condotta); ma non tutte le persone a rischio censura in Gran Bretagna si trovano nella stessa condizione di privilegio: ad esempio, Peter Wilmshurst, un cardiologo inglese che, per aver dichiarato che certi dispositivi cardiologici non funzionano, sta lottando da anni in tribunale contro la società americana che li produce, rischia la bancarotta se il processo si concluderà con una sua sconfitta.

Anche se la prima sentenza del caso BCA vs. Singh del maggio 2009 ha dato torto allo scrittore, l’appello ne ha ribaltato le conclusioni, dando ragione a Simon Singh. Il primo aprile Lord Neuberger e Lord Justice Sedley, infatti, hanno deliberato che la prima sentenza era errata dal punto di vista metodologico: le parole dell’articolo di Singh, per quanto si possa parafrasarle, costituiscono l’espressione di un’opinione e “consentire alla parte offesa la facoltà di obbligare un giornalista a provare in un tribunale la veridicità dell’opinione da lui espressa significa trasformare la corte in un Tribunale della Verità di orwelliano”.

Singh, pur accogliendo con tiepida soddisfazione quella che definisce una sentenza “brillante”, ha sottolineato sarcastico come l’interpretazione autentica di una frasetta gli sia costata oltre 200.000 sterline tra avvocati e spese processuali. In ogni caso, ora che la prima battaglia è vinta, la riforma della legge sembra davvero più vicina.