Wikileaks e le stragi ingestibili

di Pino Cabras
da www.megachipdue.info

La strage indiscriminata compiuta dal cielo sopra Baghdad non sembra perdersi nel grande e indistinto bagno di sangue mesopotamico. Stavolta si nota subito che quel che vediamo è insolito. Incontriamo da vicino il punto di vista sbrigativo e crudele degli occupanti statunitensi, sentiamo le loro parole irridenti mentre demoliscono ogni ipocrisia sulle “regole d’ingaggio”. Merito di Wikileaks, un sito che fa trapelare molte verità scomode, con una cadenza ormai così fitta da spingere il Pentagono a brigare per chiuderlo: il web è un fronte primario della lotta fra guerra e verità.

E mentre il giornalismo alla «Washington Post» vive ancora della rendita d’immagine del Watergate, uno scoop di oltre trent’anni fa, Wikileaks in tre anni di vita ha inanellato una serie impressionante di rivelazioni. In genere si tratta di dossier confidenziali ben documentati e sottoposti a preliminare verifica da parte di centinaia di collaboratori. Fra gli scoop: il ruolo della banca svizzera Julius Baer nel riciclaggio internazionale, il manuale delle procedure a Guantanamo, i negoziati segreti sul trattato dei diritti d’autore, i dettagli su Scientology, i retroscena del crac finanziario islandese, ecc. E ora lo “snuff movie” dell’invasione irachena.

Le fonti delle notizie trapelate sono i cosiddetti «whistleblowers». La parola non ne ha una che combaci nella nostra lingua. Letteralmente sarebbero coloro che fischiano e lanciano un allarme per via di una condotta illegale o minacciosa di un’organizzazione di cui fanno parte. Si tratta di funzionari, avvocati, impiegati, o anche semplici cittadini che si trovano fra le mani informazioni sensibili e decidono di farle conoscere. Nel farlo rivestono un ruolo misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”, mentre Wikileaks assicura loro un totale anonimato attraverso un sistema di codificazione dei dati. Una comunità di circa 800 giornalisti, informatici, matematici e attivisti cerca i riscontri alle informazioni e infine le pubblica sul sito.

Ovviamente siamo abbastanza grandicelli per comprendere come un tale sistema possa servire a certe cordate dei servizi segreti in lotta fra loro per guidare i meccanismi dell’informazione, con rivelazioni strategiche.

Anche il Watergate – che nell’interpretazione corrente è il trionfo del libero giornalismo anglosassone a guardia del potere – in realtà fu pilotato da “gole profonde” che davano voce a quella parte dell’establishment USA che voleva chiudere con la presidenza Nixon e la sua gestione della guerra del Vietnam. I funzionari che oggi sono così generosi di dossier a favore di Wikileaks sono espressione di una lotta di potere acuta, viste le difficoltà attuali sui fronti di guerra. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di militari che paventano l’ingestibile catastrofe etica della forza occupante, con soldati che dimenticano di non essere in un videogame, non usano la “forza minima necessaria” e attaccano chi soccorre i feriti. Così piovono dossier, denunce, filmati.

Il sito, con un modesto bilancio di 600mila dollari, addirittura non riesce a smaltire la tanta immondezza che gli viene riversata e raccontata in migliaia di files e schedature, tanto da scusarsene in homepage. Vagliare l’informazione costa tempo, denaro e risorse umane. Siamo esattamente agli antipodi di «Libero», il giornalismo emblema ormai planetario della notizia totalmente falsa.

Al di là degli usi strumentali possibili, questo porto franco dell’informazione, su cui transitano comunque documenti veri e verificati, preoccupa chi pianifica le guerre. Potremmo definirla una metarivelazione: Wikileaks il 5 aprile ha pubblicato un documento segreto proveniente da un’agenzia del Dipartimento della Difesa statunitense che indicava il sito come una «minaccia per la US Army». Nelle sue 32 pagine, dopo l’analisi sul rischio sicurezza addebitato a Wikileaks, il documento raccomandava di identificare e assicurare alla giustizia chi dà informazioni al sito, sputtanarlo con il massimo clamore, in modo da spezzare il rapporto di fiducia basato sul criptaggio promesso da Wikileaks.

Julian Assange, uno dei responsabili del portale delle soffiate, è tuttavia fiducioso: «ci sono tanti amici che ci vogliono bene» nel cuore dell’intelligence. Tanto che finora «nessuna fonte è stata rivelata dal momento della creazione del sito», nel dicembre 2006.

Se non interverrà il pugno di ferro, altre rivelazioni e immagini cruente seguiranno, come ad esempio i filmati dell’attacco aereo USA in Afghanistan del 7 maggio 2009, che uccise 97 civili.

La frontiera del nuovo giornalismo passerà anche su questi video.