Intorno alle reti… si prendono i pesci

di Claudio Bellavita
da www.aprielonline.info, 15 aprile 2010

I parigini (che hanno anche più acqua dell’Italia del Nord, e che per fortuna hanno amministratori pubblici capaci, con il senso dello stato e non delle loro fondazioni), han deciso di ripubblicizzare l’acqua che era diventata troppo cara. In Italia, per difenderci dal decreto Ronchi che impone di dare ai privati almeno il 40% di tutte le municipalizzate, moltissime associazioni e sindacati stanno raccogliendo le firme per un referendum abrogativo. Di Pietro sta raccogliendo le firme per qualcosa di analogo. Però i suoi quesiti lasciano di fatto le cose come stanno. I quesiti del referendum delle migliaia di associazioni sono redatte dal Comitato Rodotà. In sostanza, il risultato che si propone Di Pietro è fare abortire entrambi i referendum…

La generazione nata nel dopoguerra si interroga: “Come è stato possibile che quasi senza accorgercene in pochi anni abbiamo buttato al vento buona parte delle conquiste che con infinite lotte e sacrifici il movimento operaio aveva raggiunto agli inizi del secolo?” Eppure è quello che è successo: la precarizzazione di gran parte dei nuovi posti di lavoro e persino di una parte di quelli vecchi, la privatizzazione dei servizi pubblici, in alcuni paesi anche delle pensioni e della sanità ha determinato minori salari e insicurezza sociale, aumento delle tariffe pubbliche e incertezza sui costi futuri. In poche parole, miseria e disperazione.

Ma perchè la sinistra, così potente in Europa nei partiti e nei sindacati, che proprio in questo dopoguerra ha governato molto a lungo, in certi casi coinvolgendo anche il movimento cattolico solitamente conservatore, ha lasciato succedere tutto questo? Se lo chiedono prima di tutto gli elettori, che alla sinistra non credono più.
C’è una componente di fondo: la globalizzazione conseguente all’eliminazione dei rapporti coloniali e al progressivo abbattimento delle barriere doganali ha messo tutto il mondo in concorrenza. La diffusione dell’istruzione anche tecnica e scientifica e la penetrazione dei mezzi di comunicazione permette ormai di produrre le stesse cose quasi ovunque, sempre che ci sia l’energia sufficiente e le possibilità di trasporto. Gli imprenditori vanno dove il rapporto tra costi, produttività e qualità è più conveniente, è il loro mestiere: quando, per restare o andare dove è meno conveniente, chiedono dei contributi, è perchè han cambiato mestiere, vogliono truffare lo stato.

Questo spiega una parte del problema, la precarizzazione, ma non la privatizzazione dei servizi pubblici. Che in Europa erano stati creati con investimenti pubblici a partire dal 1800:

-perchè i privati trovavano più elevato il rendimento degli investimenti industriali, e non restavano abbastanza capitali per quelli pubblici

-perchè in una situazione di obiettivo monopolio non si poteva lasciare ai soli privati la determinazione delle tariffe

-perchè in molti casi il servizio pubblico parte dalla concessione di un bene pubblico (le comunicazioni, l’energia, l’acqua, l’igiene cittadina, la sanità, la sicurezza sociale), concessione che comporta un prezzo di difficile determinazione, perchè è pure un bene pubblico che le tariffe conseguenti non siano troppo esose.

Per tutte queste ragioni, l’esercizio pubblico sembrava preferibile anche agli economisti liberali come Luigi Einaudi, soprattutto quando si trattava di un esercizio municipale, più facilmente controllabile dalla cittadinanza interessata.

Però… è successo che il rendimento degli investimenti industriali è progressivamente diminuito, conoscendo anche periodi di durissima crisi (lo aveva previsto un barbuto signore di Treviri).
E’ anche successo che si è creata una globalizzazione finanziaria, per lo meno tra gli stati dove vi è la certezza del diritto, per cui le operazioni redditizie sono alla portata degli investitori di ogni paese. E’ anche successo che la proprietà del capitale in molti casi si è spossessata della gestione, passandola a dei manager remunerati in base ai risultati a breve. Agli squali, insomma.

La privatizzazione dei servizi pubblici ha tutte le caratteristiche dell’operazione preferita da questo tipo di animali finanziari. Perchè non ci sono rischi, dato cha alla fine si tratta di collocare sul mercato delle azioni dal rendimento sicuro e garantito nel tempo. Perchè il guadagno tra l’acquisizione del servizio pubblico e il collocamento sul mercato può essere altissimo, tanto più quanto sono corrotti o stupidi i politici che cedono il servizio. Perchè, nel periodo di gestione da parte degli squali prima del collocamento ai risparmiatori, si possono ritagliare grossi guadagni sugli investimenti e sull’outsourcing.

Facciamo un esempio per capirci. Un certo servizio, mettiamo le autostrade al tempo di Prodi, ha bisogno di nuovi investimenti che l’azionista pubblico non vuol fare, anzi, ha bisogno di fare cassa presto per rientrare nei parametri dell’Euro. E’ soggetto a tariffe che vengono ritoccate sempre in ritardo, dopo lunghe trattative, e sempre meno del necessario. Per di più, la scadenza della concessione è vicina, e la prossima concessione potrebbe essere messa a gara.
Quindi i maggiori esperti internazionali concordano nel dare una valutazione bassa. Per l’acquisto ci sono poche offerte, anzi una sola.
Guarda caso, però, subito dopo l’acquisto, lo stato applica una rivalutazione automatica delle tariffe, tutti gli anni in base al costo della vita, e il caos dei servizi ferroviari affidati a un glorioso sindacalista garantisce l’assenza di concorrenza. A fronte di un piano di investimenti (terze e quarte corsie, nuove tratte, manto antisdrucciolo) la concessione viene rinnovata per molti anni e, naturalmente, le tariffe vengono ritoccate per dare un rendimento ai nuovi investimenti. Il valore delle autostrade balza a 10 volte quello dell’acquisto.
Non solo, ma si scopre che nella valutazione ci si era dimenticati che il concessionario delle autostrade può subconcedere delle cose. Per esempio la rete degli autogrill, il cui valore pareggia quello dell’acquisto iniziale. Tutto gratis, quindi, grande colpo.
Non basta ancora: prima di collocare in borsa e portare gli utili all’estero (non si sa mai, anche se chi vende sono i comunisti, qualcuno potrebbe farsi furbo e smettere di dire “oh,yes” a tutte le mode che arrivano dagli USA ; qualcuno potrebbe persino essere indotto a farsi furbo da una campagna di stampa da parte di un capitalista rimasto a bocca asciutta) si possono fare delle utili convenzioni, tipo la manutenzione affidata per molti anni a imprese collegate all’investitore iniziale, che magari da altri enti locali ha ottenuto a basso costo la concessione di cave di ghiaia vicino all’autostrada.

Insomma, una mangiata epica, che risveglia l’appetito di mezzo mondo. Se in Italia sono così fessi, che basta una campagna di stampa, una spintarella male interpretata dell’UE (i politici italiani leggono malvolentieri le lingue straniere), forse qualche mancia ben data per fare dei colpi da Banda Bassotti, buttiamoci anche noi.

Qualche consulente ha fatto anche una scoperta interessante: la tariffa del gas.
Era stata determinata in epoca di grande inflazione e prevedeva che il rendimento dei capitali investiti fosse pari al 7% (ma allora i BOT rendevano anche di più). Attenzione: per capitale investito non si intende solo quello azionario, ma anche gli utili reinvestiti e perfino gli ammortamenti anticipati (non ti faccio pagare le tasse, e ti remunero pure…) Ovviamente, quando c’è una concessione, bisogna anche fare l’ammortamento finanziario per riavere il capitale investito al termine della concessione, e questo accantonamento è esente da tasse. Se poi la concessione viene rinnovata, e l’ammortamento finanziario viene reinvestito, rende il 7% anche quello. Insomma, un mulino da utili. Tanto la maggior parte delle concessioni ce le aveva l’ENI, cioè lo stato, più alcune , piccole, in mano a democristiani e preti…

In sostanza, questo criterio del 7% verrà esteso a tutti i servizi pubblici italiani, che, forse , verranno privatizzati a condizioni meno disastrose per il venditore rispetto alle autostrade, ma daranno egualmente una redditività garantita, magari con qualche aggiustamento collaterale (la vendita degli immobili e delle aree, lo sfoltimento e la precarizzazione dei dipendenti, gli accordi di manutenzione a lungo termine con aziende amiche ecc.). Piatto ricco mi ci ficco, tanto i comuni, cui il governo Berlusconi taglia continuamente le entrate, sono alla canna del gas. Qualcuno se la è già messa in bocca, dando retta ai consulenti della “società civile” che gli vendevano derivati. Era tanto di moda, oh, yes..

Però, abbiamo cominciato a parlare di reti, e ci siamo soffermati di più sui pesci, cioè noi e i nostri eletti, grandi, onniscienti e “de sinistra”.

La rete è quella che rende possibile la fruizione del bene pubblico: pensiamo alla distribuzione dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua, delle comunicazioni fisiche(ferrovie, autostrade e strade) e delle telecomunicazioni, di internet e della tv. Insomma un bene delicato, strategico (l’arma dei carabinieri ha una propria rete di TLC) e essenziale.
Non ci sono limiti al desiderio dei liberisti di privatizzare quello che rende (soprattutto al 7% moltiplicato e garantito). Per un principio di concorrenza, però, si è affermato il principio che tutti , pagando un corrispettivo tariffato, possono accedere alle reti altrui. E’ già successo per l’elettricità, e per la rete telefonica. Per il gas e il petrolio c’è una resistenza a oltranza (puoi usare la rete in Italia ma su quella estera viaggia solo l’ENI: cioè puoi distribuire tu quello che devi comprare solo dall’ENI). I privati possono far viaggiare i loro treni sulla rete FS, ma sarà un bel casino con i ritardi, probabilmente finiranno per non pagare nulla a forza di multe alle FS per inefficenza.
Gli aeroporti non sono ancora del tutto liberalizzati, perchè bisogna mantenere l’Alitalia.
La rete TV costa poco, il problema era l’assegnazione delle frequenze. Adesso che ce ne sono di più , non si può più dire no alle new entry, anche se Berlusconi vorrebbe. Ma in questo campo e soprattutto su internet l’evoluzione tecnica è così veloce che non si fa in tempo a regolamentarla e neanche a creare degli oligopoli. è la nostra speranza di democrazia futura.
Dove la rete esiste, ed è pubblica, ma ha bisogno di interventi costosi di manutenzione e di ammodernamento si sta affermando il principio di darla in concessione a privati, che provvedano loro rifacendosi con le tariffe: faccenda pericolosa e niente trasparente, che può nascondere trappole pericolosissime, anche perchè, nonostante la moltiplicazione delle Authority, non c’è in Italia nessuna chiarezza sulle tariffe e sui rendimenti. E neanche sul destino dei membri delle authority e dei loro familiari se attaccano l’asino dove vuole il padrone.

In questo momento le mutinazionali in tutto il mondo stanno cercando di accaparrarsi l’acqua, che è un bene essenziale per la vita e con l’aumento della popolazione e dell’inquinamento sta diventando un bene raro. In Italia, soprattutto al Nord ce ne è tantissima, tanto che costa molto poco: anzi, i comuni di montagna danno la concessione delle loro fonti di minerale per pochi euro, sperando di portare occupazione sul posto.
La maggior parte degli acquedotti è vetusta e nel trasporto si perde dell’acqua: in una certa misura è una faccenda fisiologica, ma si sta montando una campagna di stampa “pubblico trascurato e sprecone – privato efficiente e attento”. Palle delle lobby: nessun privato si sogna di fare investimenti non redditizi, rende l’acqua che si vende e se tutti ce l’hanno 24 ore su 24, il di più va nelle fontane, direttamente nei fiumi o si perde per la strada, è lo stesso.
Ma su questa campagna si monta la necessità di fare degli investimenti (che verranno effettuati dalle ditte di lor signori privatizzatori), da pagare con un cospicuo aumento delle tariffe, che tengano finalmente conto del famoso 7%.
Proprio per questa ragione, i parigini (che hanno anche più acqua dell’Italia del Nord, e che per fortuna hanno amministratori pubblici capaci, con il senso dello stato e non delle loro fondazioni), han deciso di ripubblicizzare l’acqua che era diventata troppo cara. Le lobby sono ammutolite, ma stan preparando una campagna per spiegare che non è proprio così. Forse la farà Feltri….

In questo momento, per difenderci dal decreto Ronchi che impone di dare ai privati almeno il 40% di tutte le municipalizzate (applicando con frettoloso entusiasmo una direttiva generica UE, che sarebbe bene tradurre meglio e poi far ritirare dal parlamento europeo), moltissime associazioni e sindacati stanno raccogliendo le firme per un referendum abrogativo: si dovrebbe cominciare il 22 o il 24 aprile: c’è bisogno di gente ai banchetti.
Di Pietro, non si sa se per fare propaganda al suo partito monofamiliare, o perchè stimolato da qualche lobby, sta raccogliendo le firme per qualcosa di analogo. Però i suoi quesiti, non si sa se solo per il conclamato analfabetismo del nostro, lasciano di fatto le cose come stanno. I quesiti del referendum delle migliaia di associazioni sono redatte dal Comitato Rodotà. In sostanza, il risultato che si propone Di Pietro è fare abortire entrambi i referendum. Ignoranza o malafede? A pensar male….