Perchè la Chiesa non punisce i preti pedofili

di Michele Martelli
da www.micromega.net

Ultima notizia giornalistica dal fronte dei preti pedofili: papa Wojtyla autorizzò nel settembre 2001 il cardinale Castrillon Hoyos (prefetto della Congregazione per il Clero dal 1996 al 2006) a inviare all’episcopato di tutto il mondo una lettera di elogio e congratulazioni a monsignor Pierre Pican, vescovo francese di Bayeux, per «non aver denunciato un prete all’amministrazione civile» e «aver preferito la prigione piuttosto che denunciare il suo figlio-prete», rispettando la natura «sacramentale, non professionale della relazione tra i preti e i loro vescovi». Il figlio-prete era don René Bissey, condannato nel 1998 a 18 anni di carcere dalla magistratura francese per aver commesso negli anni Ottanta e Novanta violenze e abusi sessuali a danno di una decina di ragazzi (il testimone reticente vescovo Pican, che nel processo tenne un contegno distaccato e altezzoso, ebbe soltanto tre mesi con la condizionale).

Nell’episodio ci sono a mio parere tutti gli ingredienti che spiegano perché la Chiesa normalmente non punisce i preti pedofili. Esaminiamoli brevemente.

1) Potere gerarchico – sacramentale del clero. Tra i sette sacramenti della Chiesa, il sesto è quello dell’«Ordine sacro» o «sacerdozio ministeriale o gerarchico». Come spiega il Catechismo, «la parola ordo, Ordine, nell’antichità romana designava soprattutto il corpo di coloro che governano» (n. 1537). L’Ordine sacro è quello che, munito di «sacra potestas, sacra potestà», governa la Chiesa dei fedeli, ed è distinto nei tre gradi gerarchici dei vescovi, presbiteri e diaconi. Al vertice della gerarchia c’è il Sommo Pontefice. Ancora più importante è la supposizione che i sacerdoti e i fedeli «differiscano essenzialmente e non solo di grado» (n. 1547). I primi «sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa colla parola e la grazia di Dio» (Costituzione conciliare Lumen gentium, 1964, nn. 10-11). Dunque, se la differenza è la stessa che corre tra i pastori e il gregge, si tratterebbe di una differenza non funzionale, ma ontologica. Il clero sacerdotale sarebbe per investitura divina quasi un’altra specie. E perciò senza obblighi verso i comuni mortali, soprattutto se teneri adolescenti. Comunque una sacra, mistica corporazione, da separare e difendere dall’esterno.

2) Superiorità della giurisdizione canonica su quella civile. Rientra nella questione dei rapporti tra Stato e Chiesa. La Chiesa, in quanto parte della società civile, è sottoposta alla legge dello Stato, alla magistratura, e quindi al Codice civile e penale. In quanto societas perfecta, è sottoposta invece alla legge di Dio, alla gerarchia, e quindi al Codice di Diritto Canonico. Dove al papa, in quanto Christi Vicarius, si riconosce non solo la «potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale» (n. 331), ma anche quella di «iudex supremus, giudice supremo in tutto l’orbe cattolico», che «a nemini iudicatur, da nessuno può essere giudicato» (nn. 1404, 1442). Quando il diritto canonico confligge col diritto civile, prevale il diritto canonico. Che, per i delicta graviora, come la pedofilia, prevede l’ammonizione, il trasferimento, l’isolamento, la penitenza e la preghiera, la sospensione a divinis, fino alla riduzione allo stato laicale. Dunque, non la denuncia alla magistratura civile. Nelle ultime “Linee guide sugli abusi sessuali” pubblicate in questi giorni dalla Santa Sede, c’è un rigo con un generico accenno all’obbligo di «seguire la legge civile allorché preveda la denuncia dei crimini alle appropriate autorità» (chi deve denunciare chi? E se la legge civile di un paese non prevede tale denuncia, bisogna continuare a coprire il reato?). A parte questa pur apprezzabile novità, tutto il documento è dedicato alle procedure interne, tratte dal diritto canonico, relative alla serie di indagini ed eventuali misure disciplinari da adottare in casi di pedofilia, sotto la giurisdizione del Congregazione per la Dottrina della Fede e in primis del Sommo Pontefice. Nessun accenno al secretum pontificium, invocato nella famosa direttiva del 2001 dell’ex prefetto Ratzinger sulla pedofilia. Dunque, il segreto rimane in vigore, perché non c’è un giudice superiore al pontefice. E il prete pedofilo è tutt’al più un peccatore, un problema interno alla Chiesa. Non l’autore di odiosi crimini da denunciare all’autorità giudiziaria dello Stato.

3) Rifiuto dei diritti umani. La dottrina morale della Chiesa ha al suo centro la dignità della persona umana. Tuttavia, la Chiesa non ha mai sottoscritto le dichiarazioni dei diritti umani, politici, sociali e civili, da quella francese del 1789 a quella dell’ONU del 1948 a quella dell’UE del 2000, né le Convenzioni internazionali sulla parità uomo-donna, sulla protezione dell’infanzia ecc. (chi vuole approfondire il punto, può leggere il libro del teologo spagnolo José Maria Castillo, La Chiesa e i diritti umani, 2009). Nel Codice di Diritto canonico (1983) e nel Catechismo (2003) manca persino l’espressione «diritti umani o civili». Si può preservare la dignità della persona umana senza rispetto e garanzie concrete, politico-giuridiche, per l’esercizio o la protezione dei diritti di libertà, uguaglianza, sicurezza, integrità personale, autodeterminazione e così via? Un uomo senza diritti non è un uomo. La retorica moralistica della Chiesa gerarchica si palesa e infrange nella pratica del segreto pontificio che garantisce immunità e impunità ai preti pedofili, omo- o etero-sessuali che siano. Ma questo Bertone, nella foga di calpestare i diritti umani e civili degli omosessuali, non lo sa ancora. Chi glielo dice?