Elezioni in Iraq, vince l’Iran

di Christian Elia
da www.peacereporter.net

Un’ondata di attentati ha colpito l’Iraq, come ormai avviene con meticolosa precisione in ogni momento chiave della politica del Paese. Sangue a Baghdad, Hilla e in altre città, permette a questo 10 maggio 2010 di essere rubricato, con le almeno 100 vite perdute, tra i giorni di sangue della terza fase di questa guerra.

Dopo l’invasione del 2003 da parte della Coalizione guidata dagli Usa, per un anno circa, la popolazione civile era in maggioranza grata a coloro che avevano posto fine alla dittatura feroce di Saddam Hussein. La luna di miele, però, è durata giusto il tempo di percepire la ‘liberazione’ come un’occupazione militare. La resistenza armata, guidata dagli ex militanti del disciolto partito Ba’ath di Saddam e dai sunniti esclusi dal nuovo Iraq, è stata un massacro che è costato la vita a un milione di persone. La terza fase, iniziata con l’alleanza tra i militari Usa e i sunniti moderati, contro gli estremisti, ha messo questi ultimi in una situazione di difficoltà. Ma non li ha sconfitti del tutto. Nonostante l’uccisione di alcuni leader, la terza fase del conflitto in Iraq si caratterizza per la concentrazione di una serie di attentati paurosi nel giro di poche ore. Nella seconda fase lo stillicidio di attacchi era quotidiano, mentre oggi le giornate scelte sono sempre simboliche.

In queste ore, infatti, si è portata a compimento la manovra politica che ha, con ogni probabilità, tagliato fuori Iyad Allawi e la sua lista laica dal prossimo governo del Paese. Allawi aveva ottenuto la maggioranza delle preferenze alle elezioni del 7 marzo scorso, vincendo 91 seggi al Parlamento di Baghdad. Non abbastanza per governare da solo, così che il premier uscente Nouri al-Maliki, dopo aver tentato di invalidare il voto, ha stretto un’alleanza chiave con l’Alleanza Nazionale Irachena, il blocco sciita duro e puro. Maliki, sciita, lui stesso, ha governato per anni senza l’appoggio degli sciiti più oltranzisti, ma adesso ha bisogno di loro. Le bombe di oggi sono un messaggio chiaro di quelle milizie sunnite radicali, spesso a sproposito unificate sotto il logo di al-Qaeda, che faranno di tutto per destabilizzare il futuro governo di Maliki che per loro ha un peccato originale inconfessabile: ha un filo diretto con Teheran.

Il blocco sciita, infatti, in passato si è scontrato duramente con Maliki, in particolare l’ayatollah radicale Moqtada al-Sadr. Adesso, però, le cose sembrano cambiate a scapito del segnale forte che la maggioranza della popolazione civile irachena aveva lanciato il 7 marzo scorso, votando per la lista di Allawi che faceva del laicismo e del multiculturalismo un punto di forza. Maliki e i suoi, in cambio del potere, sembrano pronti a trovare un accordo anche con coloro che hanno combattuto in passato. Magari Maliki lascerà la poltrona di premier ad al-Jaafari, suo predecessore, meno compromesso con gli sciiti. Ma quello che sembra evidente è il successo diplomatico dell’Iran che, come ha sempre fatto dal 2003, è arrivato alla fine a insediare i suoi uomini al governo. Lo scenario peggiore che a Washington potessero immaginare quando l’amministrazione Bush ha lanciato l’invasione dell’Iraq nel 2003 e quando l’amministrazione Obama ha calendarizzato il ritiro delle truppe Usa, che già ad agosto dovrebbero essere ridotte di parecchie centinaia di migliaia.
Mentre esplodono le bombe, si attende la formazione del nuovo governo in settimana. In attesa di capire se segnerà l’inizio di una quarta fase di questo conflitto: quella del coinvolgimento dell’Iran.