Le modalità “consone” dello stupro

di Marcella Ràiola
da www.womenews.net

Si vorrebbe almeno una tregua, come nelle peggiori guerre pure è concessa, per raccogliere e seppellire i morti, ma a noi donne non è data tregua alcuna. Violenza, violenza e ancora violenza. Violenza fascista, violenza legalistica, violenza patriarcale, violenza paterna, violenza giornalistica.

Oggi, 10 maggio, il bollettino di guerra fa registrare due mostruosità: l’urlo degli squadristi di Fiore (Forza Nuova), a Massa, durante un convegno sulla RU486: “Stupratele, ché tanto abortiscono!” e la notizia del padre che, a Torino (non a Teheran, a TORINO, si badi bene), ha verificato di sua mano lo stato di verginità della figlia stuprandola, de facto, senza essere tuttavia accusato di stupro.

Due cose sbigottiscono, nella già di per sé atroce e incredibile vicenda: la diatriba giuridica idiota e ridicola sorta attorno al caso (un Azzaccagarbugli gesuita non avrebbe saputo far di peggio!) e le modalità con cui il giornalista del Messaggero ha riportato la notizia.

Partiamo da quest’ultimo ineffabile “professionista”. Nel suo pezzo, costui afferma che un padre ha “obbligato” al “test di verginità” la figlia, come se tale “test” esistesse, fosse legittimo e lecito e come se introdurre una mano nella vagina di una ragazza potesse essere considerato un “test”!

Dice, poi, però, che le modalità usate dal padre nel richiedere questo secondo lui evidentemente legittimo e normalissimo accertamento, non sono state “consone”. Ecco: io vorrei chiedere a questo giornalista quali siano, secondo lui, le modalità CONSONE tramite cui pretendere la violazione dell’habeas corpus! Esistono modalità di stupro “consone”, dunque?

E veniamo alla Legge. Il padre non è stato condannato in primo grado. Tutto normale, quindi. Denudare una ragazza e infilarle una mano in vagina umiliandola e violandola, in Italia, di primo acchitto, NON E’ REATO. Bisogna avere la forza, il coraggio e le risorse per insistere fino alla Cassazione, se si vuole un minimo di giustizia!

Poi, il secondo grado. Il padre è condannato solo per violenza privata, ma non per stupro, perché i magistrati ritengono che non abbia agito su impulso libidinoso. La Cassazione poi, ha stabilito di recente che non di può escludere tale impulso e che, comunque, l’intento punitivo poteva essere conseguito con modalità meno invasive della libertà di determinazione del soggetto passivo.

Io sono letteralmente esterrefatta: davvero un padre può punire una figlia “degenere” (chissà per quale educazione ricevuta: non se lo è chiesto, il padre-stupratore?) fino ad adire le vie di una violenza “quasi” barbarica? Qualcuno mi dice, poi, per favore, quali sarebbero le modalità MENO INVASIVE tramite cui un padre potrebbe permettersi di verificare se la figlia è sessualmente attiva?

Possibile, infine, che l’intenzione sia (solo quando si tratta di donne!) più importante dell’atto? Insomma: la ragazza è stata fisicamente violata e, nel contempo, ne è stata messa in discussione la libertà e calpestata la dignità: cosa importa che il padre, nello stuprarla e umiliarla, abbia provato o meno piacere sessuale?

Io non capisco se siamo ancora al diritto romano, con il ius vitae ac necis del pater familias sui figli e sugli altri sottoposti al suo dominium, o se l’Italia è piena di squallide ed insensibili creature che, nella violenza e nelle notizie di questo tipo, trovano alimento alla loro disgustosa morbosità, per cui dimenticano totalmente le vittime e si divertono ad arrovellarsi lubricamente e in modo farsesco sugli impulsi, i modi e le profondità della violenza più schifosa, più odiosa, più annichilante che esista.

Chiedo ufficialmente all’UDI e a tutte le altre Associazioni femministe e femminili di costituirsi parte civile nel nuovo processo contro questo stupratore. Che sia uno stupratore, non è da revocare in dubbio. Che si tratti del padre della vittima, è, semmai, una tremenda aggravante.