Celebrare l’Unità per non cancellare 150 anni di storia

di Marcello Vigli
Controinformazione Ecclesiale – Roma

C’è ormai una diffusa consapevolezza che la Chiesa cattolica non coincide con la sua forma istituzionale. L’autonoma vivacità delle comunità ecclesiali nei diversi paesi e gli stessi conflitti interni alle gerarchie rendono obsoleto e inadeguato lo stereotipo di un “Vaticano” motore immobile di una macchina da guerra strutturata e obbediente.

Le stesse reazioni allo scandalo provocato dai goffi tentativi di coprire l’omertà nei confronti dei preti pedofili hanno rivelato l’esistenza di tale consapevolezza. Negli attacchi al centralismo autoritario, nel rilancio delle critiche al celibato obbligatorio dei preti, nelle denunce della sessuofobia diffusa nei seminari e nelle scuole cattoliche si confondevano stroncature feroci con auspici e proposte di riforma. Mentre, però, anche le denunce più severe e le analisi più puntuali raramente hanno assunto il carattere di invettive anticlericali, le repliche ufficiali e le difese d’ufficio dell’operato delle gerarchie e del papa hanno continuato ad esprimere la pretesa di insindacabilità, anche in presenza di ammissione di colpevoli responsabilità

In questa ottica assume un particolare significato e trova una corretta valutazione l’intervento al convegno su ‘L’unità nazionale: memoria condivisa, futuro da condividere’ – organizzato a Genova dalla Cei in vista della 46ma settimana sociale dei cattolici italiani – del suo Presidente cardinale Angelo Bagnasco in merito alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. L’ha definita parte del bene comune, trascurando di aggiungere che i suoi confratelli vescovi e il papa non la pensavano così nel tempo in cui quell’unità veniva conquistata.

Ha, invece, subito aggiunto che è necessario rigore culturale del dibattito sull’unità: “Serve una memoria storica critica, severa, accurata, aperta, scevra da denigrazioni e mitizzazioni, da nostalgie revisioniste come da fanatismi infantili e massimamente pericolosi. L’unica cosa che dobbiamo temere è una cattiva ricerca storica, una propaganda ideologica, di qualsiasi segno, spacciata per verità storica”.

Questo significa che, per consentire al Bagnasco di oggi di sentirsi in sintonia con i suoi confratelli di ieri s’intende riscrivere una Storia che, in verità, non ne ha bisogno? Questa pretesa è qualcosa di più di un’ennesima operazione di revisionismo: non si accetta che l’istituzione ecclesiastica è soggetta al divenire nel tempo, quasi che questo possa compromettere la sua “missione” e non, invece, solo la sua sacralizzazione.

La stessa esigenza di riscrivere la storia ha espresso Bossi.

Nel replicare alle parole di Napolitano, che aveva esaltato la presenza massiccia di lombardi, piemontesi e liguri fra i Mille partiti da Quarto, ha affermato categoricamente che : i lombardi volevano la loro libertà, all’unità d’Italia non ci pensavano ma si trovarono nei pasticci per colpa dei Savoia. Non può ammettere che si possa pensare che i “padani” di ieri abbiano contribuito a creare la realtà nazionale che quelli di oggi intendono distruggere.

Non c’è dubbio: i Savoia hanno combinato pasticci, ma tanti furono i lombardi loro complici, non certo i giovani garibaldini, ma tutti quelli che considerarono il Sud preda di guerra per drenare capitali da investire nel processo d’industrializzazione del Nord.

Rinnegare o falsare il passato è un’esigenza comune di chi non vuole misurarsi onestamente col presente che, nel bene e nel male, di quel passato è frutto.

Si rinnega l’unità e s’inventa il federalismo per sbarazzarsi di quel Sud che, depredato dal connubio fra borghesia “padana” e centralismo, sabaudo prima e fascista poi, oggi non è più utilizzabile. Allo stesso modo per confermare il disegno di fare dell’Italia unita una nuova forma di “potere temporale” più adeguata ai tempi,si pretende di cancellare la storia segnata dal Sillabo e dall’esecuzione di Monti e Tognetti, dal non expedit e dalla proibizione della sepoltura religiosa per il cattolico Alessandro Manzoni perché senatore di un Regno, unito ma scomunicato.

(8-5-2010)