Alle sorelle e ai fratelli delle comunità cristiane di Palermo

Meglio essere feriti dalla verità che consolati dalla menzogna. (La Rochefoucauld)


Abbiamo seguito con sentimenti di incredulità, di sofferenza e di indignazione le notizie che nelle settimane scorse ci sono giunte sul reato di pedofilia perpetrato da sacerdoti cattolici.

Con la presente lettera vogliamo innanzitutto essere vicini alle vittime e alle loro famiglie che con coraggio denunciano gli abusi, alla ricerca di verità e giustizia; ma vogliamo anche stigmatizzare il comportamento assunto dai responsabili ecclesiali che, invece di cercare di ristabilire verità e giustizia, tante volte presentano un atteggiamento difensivo con l’intendimento di salvaguardare l’immagine della chiesa.

E’ una posizione antica: minimizzare l’accaduto, dare la colpa ai singoli invece che alla struttura, giungere a gridare al complotto, tirare in ballo una presunta campagna diffamatoria ai danni della chiesa cattolica e, per ultimo, associare il fenomeno della pedofilia alla omosessualità; dichiarazione aberrante, quest’ultima, che sacrifica altri innocenti alla logica del potere, anziché considerare eventuali responsabilità all’interno della Chiesa.

Parliamo di responsabilità ecclesiali pensando alla circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede, che, ancora nel 2001, richiamava il “segreto pontificio”, blindava gli abusi sessuali, imponeva il silenzio ai vescovi, avocava al Vaticano la competenza di tutti i reati sessuali ad opera dei religiosi di ogni parte del mondo, favorendo di fatto la copertura di questi abusi. E quando si è intervenuto, la tendenza è stata quella di considerare questi atti odiosi un “peccato” a cui porre rimedio con l’assoluzione e la penitenza e non anche un crimine che richiedeva la punizione della legge.

La principale preoccupazione non è stata quella di punire i colpevoli e rendere giustizia alle vittime, ma di evitare che lo scandalo colpisse il buon nome della chiesa.

In verità non mancano gesti e voci che nel popolo di Dio invitano a cambiare strada, dimostrando di aver capito che il bene delle persone è più importante della reputazione dell’istituzione ecclesiastica; richiesta che sale dal basso e, condivisa da settori della stessa gerarchia, chiede finalmente di fare piena luce sugli abusi, a qualsiasi costo e in qualsiasi contesto. A tal proposito vorremmo ricordare la coraggiosa testimonianza di padre Meli e padre Dominici, i quali per anni e con insistenza denunziarono tanti crimini di pedofilia nel nostro quartiere, anche se non sempre sostenuti dall’appoggio della gerarchia, se non proprio talvolta snobbati dai più.

Alla luce di quanto fin qui detto, ci chiediamo:

– Come mai i vescovi, che hanno il compito di curare le persone a loro affidate, soprattutto i più piccoli e indifesi, hanno accettato e mantenuto il segreto di simili crimini, diventando in tal modo corresponsabili non solo di coprire tali atti ma anche di impedire che potessero essere reiterati?

– Come possono i cristiani delle comunità non essere attanagliati dal dubbio che il proprio pastore sia uno dei tanti che, seppure a conoscenza di tali misfatti, ha taciuto?

Non ci nascondiamo che tale situazione ha incrinato quel rapporto di fiducia che dovrebbe esserci tra il responsabile di una diocesi e la sua comunità, tra la gerarchia ecclesiastica e tanta parte del popolo cristiano, fiducia che oggi attende di essere ristabilita inequivocabilmente e pienamente.

Infine, accettando volentieri l’invito alla conversione, a partire ‘dal capo fino a tutte le membra’ del corpo del Signore, chiediamo che:

– la verità sia riportata al centro della chiesa, la verità evangelica che ci rende liberi, memori in particolare del monito di Gesù contro chi scandalizza i piccoli: “sarebbe meglio mettersi una macina al collo”; e quindi venga fatta piena luce sugli abusi dei bambini e si collabori con la magistratura per la repressione del crimine;

– che, dietro quanto accaduto, si colga l’occasione di mettere in discussione tutto il sistema “ecclesiastico”; se è stato capace di consentire tutto questo è perché esso si sorregge su tante premesse sbagliate o almeno equivoche;

– che si superi quella impostazione paternalistica, così assurdamente espressa con l’imposizione del silenzio e la minaccia della scomunica, dando spazio piuttosto a una comunità di adulti: i vescovi siano adulti dinanzi a Roma, i presbiteri dinanzi ai loro vescovi, i laici dinanzi ai loro presbiteri; tutti abbiamo il diritto-dovere di sentirci, ciascuno secondo il proprio carisma, pienamente corresponsabili e partecipi della costruzione della vita ecclesiale.

In nome di questa corresponsabilità, forse sarebbe opportuno pensare anche ad una assemblea cittadina dove esprimere in maniera più partecipata le nostre opinioni e raccogliere ulteriori indicazioni.

Palermo, 9 maggio 2010

I cristiani della comunità di S. Francesco Saverio