Netanyahu, ruspe sulla pace

di Luca Mazzucato
da www.altrenotizie.org, 14 maggio 2010

Almeno un merito va riconosciuto al premier israeliano Netanyahu: la chiarezza. Mentre si parla di riapertura dei canali negoziali con i palestinesi, Bibi ha subito messo le mani avanti: “Continueremo a costruire a Gerusalemme,” con riferimento alle recenti polemiche sugli insediamenti ebraici nella parte araba della città. Tutto questo accade durante le celebrazioni per il Jerusalem Day, che commemora l’occupazione di Gerusalemme e la sua annessione unilaterale ad Israele nel lontano 1967.

“Non rifaremo mai di Gerusalemme una città divisa, disunita e isolata,” continua il premier durante il recente dibattito alla Knesset, ribadendo che la priorità abitativa assoluta del Paese va allo sviluppo di zone residenziali a Gerusalemme. Il ministro dell’interno Aharonovitch si spinge oltre e precisa che la priorità è la costruzione di nuove colonie per soli ebrei nella parte orientale della città.

Negli ultimi mesi si è aperta una crepa nelle relazioni diplomatiche tra Israele e Stati Uniti a causa del netto contrasto tra i due governi sull’espansione delle colonie ebraiche nei Territori Occupati, in particolare a Gerusalemme Est. L’annuncio di un piano di demolizioni di case nei quartieri arabi della città, per rimpiazzare case palestinesi con nuovi insediamenti di coloni ebrei, aveva sollevato un coro di condanna unanime in tutto il mondo, portando alla sospensione degli ordini di demolizione. Il ministro Aharonovitch ha spiegato mercoledì che “le demolizioni sono state posticipate per non rovinare gli sforzi dell’inviato americano George Mitchell tesi a riprendere i negoziati di pace. Ma,” prosegue il ministro, “se c’è stato un blocco delle demolizioni, ora quel blocco finisce.” E avanti con le ruspe!

Come al solito, il monito del Segretario di Stato Clinton è arrivato a stretto giro di boa: “Chiediamo che entrambe le parti evitino azioni provocatorie a Gerusalemme,” ribadendo che lo status della città verrà deciso con quei negoziati bilaterali ormai attesi da quarantatré anni. Il gruppo pacifista Peace Now, che monitora la crescita illegale delle colonie, ha rivelato che è già cominciata la costruzione del più grande insediamento ebraico a Gerusalemme Est (annunciata e poi smentita con grande imbarazzo durante l’ultima visita di Joe Biden in Israele): 104 nuove case per creare la colonia di Ma’aleh David.

Nell’era dei premier Barak, Sharon e Olmert, la politica israeliana si è basata sul sottile doppiogioco della road map e dei colloqui di pace (vedi Annapolis), con il totale appoggio dell’Amministrazione Bush, che otteneva qualche foto di gruppo alla Casa Bianca e l’occasione per millantare storici accordi. All’estero, il governo israeliano ostentava una faccia da colomba sotto i razzi Qassam, mentre in Palestina finanziava a pioggia l’espansione delle colonie illegali.

Con l’avvento del governo di estrema destra Netanyahu-Barak-Lieberman, c’è stato un significativo cambiamento di strategia. L’establishment israeliano ha riveduto la propria posizione rispetto agli Stati Uniti, con la verosimile conclusione che il finanziamento miliardario del Congresso americano allo Stato ebraico (circa tre miliardi di dollari all’anno a fondo perduto) non sarà mai messo in discussione e dunque la politica della doppia faccia non ha motivo d’essere.

Le intenzioni israeliane riguardo ai Territori Occupati sono dunque sotto gli occhi del mondo intero, senza censura. Appoggio incondizionato ai coloni in West Bank e ai loro piani di espansione; demolizione di quartieri palestinesi di Gerusalemme, che verranno sostituiti da quartieri per soli ebrei, abitati in maggioranza da religiosi ultra-ortodossi; completa rimozione della catastrofe umanitaria a Gaza, sotto assedio israeliano ormai da quattro anni.

Se all’inizio Netanyahu si trovava in imbarazzo a sventolare i suoi piani radicali di fronte al governo americano, ora ha calato la maschera tanto da non rispondere nemmeno ai “severi moniti” di Hillary Clinton. Il Ministro della Difesa Ehud Barak è riuscito, per vanità personale, a cancellare dalla scena lo storico Labour Party, e con esso qualsiasi traccia di sinistra vagamente sensibile alle questioni palestinesi. L’unica opposizione rimasta nel paese è quella dell’ex-agente del Mossad, Tzipi Livni, alla guida di Kadima, il partito fondato da Sharon e Olmert. Si può star certi che non sentiremo parlare di trattati di pace per un bel po’.