Via dalla guerra in Afghanistan!

di Flavio Lotti
da www.perlapace.it, 17 maggio 2010

“La guerra che stiamo conducendo in Afghanistan ci ha restituito questa mattina altri corpi straziati di soldati italiani. Altri morti, altri feriti, altro dolore, altro sangue che costringono tutti a riaprire gli occhi su questa tragedia. La morte, il dolore e il sangue scorrono tutti i giorni in Afghanistan ma a noi (ai nostri media, prima di tutto) fa impressione solo il sangue italiano. Ed è una vergogna che si aggiunge alla vergogna della guerra.

Di questa guerra gli italiani non sanno quasi nulla. Qui in Italia, nelle retrovie della guerra, siamo sottoposti al ferreo regime della censura. Qui (come in nessun altro paese al mondo), dall’11 settembre 2001 è persino vietato chiamare le cose con il loro nome. L’espressione “guerra in Afghanistan” è bandita. Ma tutto questo non ci aiuta a capire cosa dobbiamo fare.

“Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge. Qualsiasi appello all’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza deve esser vietato dalla legge.” Articolo 20 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ratificato dall’Italia nel 1977).

Il dolore dei famigliari dei soldati uccisi e l’angoscia di quelli feriti gravemente è anche il nostro. E’ un dolore forte che ci deve spingere a fare qualcosa in più per fermare e non continuare a combattere questa guerra.

I nostri giovani soldati muoiono perché il governo continua a scaricare sui militari il compito di risolvere un problema che i militari non hanno nessuna possibilità di risolvere. Per questo il mostro della guerra continua da nove anni a fare stragi di vite umane, di legalità, di diritto e di diritti.

L’Italia deve uscire da questa guerra. Subito.

L’Italia deve abbandonare la via della guerra e impegnarsi a costruire un’alternativa politica alla guerra senza limiti. L’exit strategy è una sola: dobbiamo passare dall’impegno militare ad un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime decennali della guerra, dell’oppressione e della miseria. Dobbiamo sostenere la società civile afgana che s’impegna per il rispetto dei diritti umani, la ricostruzione e la riconciliazione (la più importante leva della democrazia in Afghanistan). Dobbiamo aumentare decisamente gli interventi di cooperazione con l’obiettivo di rispondere ai bisogni vitali della popolazione.

Ce lo hanno chiesto in questi giorni a Perugia anche Najla Ayubi coordinatrice dell’Afghan Woman Network e Abdul Khalil Narmgui, presidente di un’associazione di giornalisti afgani. Con loro abbiamo marciato ieri da Perugia ad Assisi e oggi non possiamo stare zitti.

Al Parlamento chiediamo di convocare subito una seduta straordinaria dedicata alla guerra in Afghanistan, alla revisione della politica dell’Italia e delle iniziative urgenti da assumere a livello nazionale e internazionale.

Alla Rai, servizio pubblico, e a tutto il mondo dell’informazione, chiediamo di organizzare un serio dibattito sulla guerra in Afganistan per aiutare gli italiani a capire cosa è accaduto, cosa sta succedendo e come si può fare per evitare di continuare a piangere inutilmente.

Chiediamo che a parlare non siano invitati solo i militari e i cosiddetti “esperti” ma anche i costruttori di pace, quelli che ieri hanno partecipato alla Marcia per la pace Perugia-Assisi, quelli che lavorano tutti i giorni per evitare queste inutili stragi”.
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Campagna d’Afghanistan

di Enrico Piovesana
da www.peacereporter.net

Bala Murghab, luogo dell’agguato di oggi, è uno dei principali fronti italiani della guerra in Afghanistan, dove il nostro governo continua a mandare sempre più soldati, a uccidere e a morire per conto terzi

Il fronte settentrionale di Bala Murghab, dov’è avvenuto l’agguato di oggi, è il principale teatro di combattimento delle truppe italiane, assieme al fronte meridionale di Farah e a quello occidentale di Shindand e Zerkoh. Alpini, bersaglieri e paracadutisti sono impegnati da un anno in una lenta avanzata verso nord contro le forze talebane che controllano queste aride vallate a ridosso del confine turkmeno.

All’inizio dell’estate scorsa, tra maggio e giugno, le truppe italiane ottennero ”vittorie decisive” in questo settore, combattendo lunghe battaglie (video) con l’impiego di artiglieria e aviazione, e uccidendo centinaia di guerriglieri afgani (una novantina solo nel corso della battaglia del 9 giugno 2009, che vide impegnati i paracadutisti del 183° reggimento Nembo della brigata Folgore).

Ciononostante – dopo una breve tregua raggiunta in occasione delle elezioni presidenziali dello scorso agosto – per tutto l’autunno e l’inverno i talebani di Bala Murghab hanno continuato a impegnare senza sosta le truppe italiane, con agguati come quelli di oggi, con imboscate ai loro convogli e attacchi ai loro avamposti, spesso seguiti da duri scontri a fuoco.

L’ultimo attacco è avvenuto tre settimane fa contro l’avamposto ‘Columbus’, dove oltre alle truppe italiane sono acquartierati anche soldati americani e afgani: 48 ore di razzi contro la base, a cui gli italiani hanno risposto con i mortai della 106esima compagnia del 2° reggimento alpini di Cuneo. Questo è stato il ‘battesimo del fuoco’ per gli alpini della brigata Taurinense, che erano appena arrivati al fronte per dare il cambio alla brigata Sassari di fanteria meccanizzata.

L’impegno bellico dell’Italia in Afghanistan continua a crescere senza sosta, in termini di uomini e mezzi da combattimento inviati al fronte, e quindi anche di costi economici e, come si è visto oggi, umani. Sta iniziando infatti il dispiegamento dei famosi rinforzi promessi da Berlusconi a Obama, che nel giro di alcuni mesi porterà le truppe italiane schierate sul fronte afgano dalle 3.300 attuali ad oltre 4mila.

Tra poche settimane verrà inviato un quarto ‘battle group’ formato da due compagnie di bersaglieri della brigata Garibaldi con cingolati Dardo e da una compagnia della brigata di fanteria corazzata Pinerolo dotata dei nuovi carri Freccia. Il dispiegamento verrà completato dopo l’estate con l’invio del reggimento lagunari Serenissima, forti dei loro mortai da 120 millimetri.

Tutto questo farà lievitare ad almeno 750 milioni di euro il costo annuo della missione di guerra italiana in Afghanistan, che ancora oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini, si ostina a definire ”missione di pace”. Ma, soprattutto, farà inevitabilmente aumentare la probabilità di nuove perdite tra i nostri soldati, mandati a combattere, a uccidere e a morire dai nostri governanti non per difendere il nostro Paese, ”per tenere lontano il terrorismo dalle nostre case”, come ribadito oggi dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, ma semplicemente per salvaguardare l’alleanza (sarebbe meglio dire la sudditanza) nei confronti dell’alleato americano.