Superato il mezzo milione di firme, la raccolta va avanti

di Comitato referendum Acqua pubblica
da da www.acquabenecomune.org

516.615 firme raccolte in 25 giorni di banchetti e iniziative in tutta Italia

Un risultato incredibile anche per noi, raggiunto in poco più di tre settimane grazie all’impegno e all’entusiasmo di migliaia di cittadine e cittadini dell’acqua pubblica.

Dall’estremo Nord alle isole, la raccolta di firme racconta un’Italia della partecipazione, di migliaia di territori attenti e attivi sui beni comuni (vedere la mappa dei banchetti di raccolta firme su www.acquabenecomune.org).

E la raccolta firme non si ferma, ma rilancia. L’obiettivo che il Comitato Promotore si era posto (700mila firme) è ormai in vista e può essere superato. Da qui a luglio lanceremo eventi, feste, spettacoli per coinvolgere sempre più italiani in questa civile lotta di democrazia per togliere le mani degli speculatori dall’acqua riconsegnandola ai cittadini e ai Comuni.

Per questo fine settimana il Comitato Promotore lancia il “Giro d’Italia delle firme per l’acqua”; quale località, Comune, comitato cittadino sarà la maglia rosa della raccolta di firme di questa settimana?

Il Comitato Promotore ringrazia tutti quelli che si stanno impegnando per la riuscita dell’iniziativa referendaria, i media locali, le radio e i siti internet che stanno dando un esempio di attenzione e partecipazione che fa ben sperare anche per la libertà d’informazione nel paese.

Più firme raccoglieremo, più forte sarà la spinta verso il Referendum e il risveglio civile dei territori. Perché si scrive acqua, si legge democrazia.

Roma, martedì 18 maggio 2010

Luca Faenzi
Ufficio Stampa Comitato Referendum Acqua Pubblica
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MEZZO MILIONE

di Ugo Mattei
da il manifesto, 18 maggio 2010

Potrebbe essere stata raccolta in uno dei banchetti lungo l’itinerario della marcia per la pace Perugia-Assisi la simbolica firma 500.000 (mezzo milione) che ci consente di entrare in una nuova fase della nostra campagna per l’acqua bene comune. Naturalmente continueremo a raccogliere firme fino al 21 luglio perché il peso politico è direttamente proporzionale al loro numero, ma registriamo che finora si è fatto meglio che per l’aborto e il divorzio.

«Mission accomplished», «missione compiuta», verrebbe da dire evocando la follia di bushiana memoria, nel giorno in cui, significativamente assente Emergency cacciata da Kabul, si ritorna a parlare di una guerra assurda prima ancora che incostituzionale. Una guerra di aggressione, camuffata da missione di pace, di cui i nostri politici parlano oggi solo perché ha lasciato sul terreno altri due militari italiani. Dimenticando i tanti civili afghani uccisi e i quattro milioni di euro al giorno che ci costa.

«Missione compiuta», dunque, quanto meno dal punto di vista delle forme giuridiche necessarie per investire la Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei tre referendum con i quali il popolo italiano ha la possibilità concreta di invertire la rotta sull’acqua, rifiutando la teoria e la prassi della privatizzazione dei servizi pubblici e del bene comune. Certo la battaglia è ancora lunghissima e sarà molto difficile vincerla in un’Italia in cui un altro bene comune fondamentale, quello della libera informazione critica, è stato già privatizzato da molto tempo.

Infatti il 1994, anno della legge Galli che rende possibile la gestione privata del Servizio idrico integrato, è anche l’anno della discesa in campo di chi della libera informazione (tanto pubblica che privata) e della Costituzione che ripudia la guerra ha fatto più di altri strame. Presto i lettori dei giornali “normalizzati” che hanno fatto la fila ai banchetti del Forum cominceranno a domandarsi perché di quelle file non si dia alcuna notizia. Presto ci si domanderà perché ai talk show televisivi si parli di ogni rissa politica e non si dia invece conto di questa straordinaria mobilitazione democratica.

Il primo mezzo milione di firme è un segno che va oltre l’acqua. Dimostra che rispetto, inclusione, condivisione e pace possono prosperare soltanto all’interno di un settore pubblico efficiente, attento al bene comune e non colluso con gli interessi privati. Sostiene Ronchi che solo i privati possono apportare i 4-5 miliardi annui necessari per ristrutturare i nostri acquedotti e che quindi la loro gestione «va messa a gara». In verità nel decennio successivo all’entrata in vigore della legge Galli e della sua logica del profitto gli investimenti nel settore sono crollati e le tariffe aumentate.

In un paese in cui non dominasse il Caimano si “metterebbe a gara” lo spettro delle frequenze (un bene pubblico sovrano, secondo la definizione della Commissione Rodotà) che rende oggi alla collettività 50 milioni l’anno, a fronte dei 5 miliardi di sterline che la Gran Bretagna vi ricava annualmente. Ecco qui oltre quattro miliardi di denaro pubblico per riparare gli acquedotti, cui aggiungerne immediatamente un altro abbondante da dare magari alla scuola: quello che ci costa la carneficina afghana.