La manovra salva guerra

di Antonio Marafioti
da www.peacereporter.net, 4 giugno 2010

Il provvedimento del ministro dell’Economia Giulio Tremonti taglia tutto, dagli stipendi statali alle auto blu, ma non i fondi destinati al rifinanziamento delle missioni di pace all’estero.
Chi più chi meno pagheranno tutti. Di più, manco a dirlo, gli impiegati statali che avranno gli stipendi bloccati per i prossimi tre anni. Di meno i rappresentanti della ormai famosa “casta”: ministri e i sottosegretari che, seppur in modo meno amaro, si dovranno arrendere all’emergenza prospettata da Bruxelles e rinunciare al 10 percento di tutti i compensi, comunque lauti, che superano gli 80 mila euro annui. Nella manovra da 24 miliardi di euro sono poche le macroaree di intervento non coinvolte dai pesanti tagli ideati dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Fra queste non poteva mancare la voce “rifinanziamento delle missioni internazionali di pace” che da sola vale più di un decimo della manovra: 1,5 miliardi di euro solo per il 2011.
Attualmente l’Italia è impegnata in 21 paesi con 33 missioni e 9295 militari, 3300 dei quali sono in Afghanistan. Il governo ha deciso di decurtare del 50 percento le missioni “ad esclusione – riporta la bozza di legge – delle missioni internazionali di pace nonché di quelle strettamente connesse ad accordi internazionali indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari”.
Come dire che si può concepire tutto, anche l’abbassamento – seppur ridotto rispetto alle attese – degli stipendi dei parlamentari e delle oltre 600mila auto blu che trasportano loro e le loro famiglie in giro per il bel Paese, ma non ci si può permettere di abbandonare campi di battaglia dove in nome della pace sono morti, solo dal 2000, sessantacinque militari italiani. Uomini alla cui morte “non ci si abitua mai”, come ha sostenuto qualche giorno fa il ministro della Difesa Ignazio Larussa, ma che in vita sono solo persone che fanno il loro dovere, che hanno scelto di fare quel lavoro. E allora, in nome di uno “sforzo” economico che dev’essere di tutti a quegli uomini la manovra finanziaria sopprime una parte delle indennità di impiego operativo che verrà corrisposta, riporta il disegno di legge, “nella misura del 70 percento di quello determinato per l’anno 2009″.
Soldi su soldi. Dopo aver appreso le linee del provvedimento di Tremonti tanto i parlamentari, “abbiamo un mutuo da pagare” hanno detto, quanto il premier Silvio Berlusconi, “non è la finanziaria che avrei scritto io” ha chiosato il Cavaliere, hanno dimostrato di non digerire l’austerità della manovra che, invece, ha ottenuto il plauso dell’Ocse. Per salvarsi da un tracollo simile a quello greco solo la Germania sta per avviare una misura più aspra di quella varata dal titolare di via XX settembre. La cancelliera Angela Merkel si sarebbe infatti detta pronta a tirare la cinghia per arrivare a un risparmio di dieci miliardi l’anno. Ancora non è dato sapere se anche la Germania salverà le spese relative alla voce Difesa. Il dato che invece appare scontato è che, in Italia, la crisi non tocca le guerre anche se i due fenomeni sono spesso fortemente legati.
Per garantire l’impegno internazionale il governo ha, solo qualche settimana fa, raschiato il fondo del barile delle casse statali introducendo, nel decreto legge incentivi, un comma – il quinques Utilizzo maggiore entrate dei giochi- all’articolo 2 dove viene stabilito che le maggiori entrate derivanti dal riordino in materia di giochi dello Stato siano destinate per quest’anno al fondo per le missioni internazionali di pace. La cifra, che dovrebbe aggirarsi intorno agli 800 milioni di euro, verrà impiegata il prossimo anno per rifinanziare il 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per poi reindirizzarsi, definitivamente dal 2012, alle “esigenze di finanziamento delle spese militari all’estero”.
Il che apre un dilemma politico fra la necessità di richiamare tutti gli italiani al sacrificio e l’opportunità di proseguire, senza soluzione di continuità, nel pompare soldi pubblici nel grande calderone bellico mondiale. Prima in virtù di un provvedimento ideato per incentivare le attività finanziarie e combatere l’evasione, poi, solo quindici giorni dopo, con una manovra storica, in quanto a tagli e lotta agli sprechi, nella quale si spende più per i carri armati a Beirut e Kabul di quanto non si faccia per lo sviluppo del Mezzogiorno.
E questo la dice lunga sul fatto che la classe politica italiana non riesce proprio a fare a meno della partecipazione ai conflitti in giro per il mondo come strumento di potere diplomatico. L’imperativo rimane quello di sedersi, sempre e comunque al tavolo delle trattative e parteciparvi in qualità di superpotenza amica, anche a costo di doverci andare col tram piuttosto che con l’auto blu.